L'incubo americano, tra storia e paranoia. E quelle parole di Berlinguer
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L'incubo americano, tra storia e paranoia. E quelle parole di Berlinguer

L'America riforniva di armi letali l’Ucraina ben prima del 24 febbraio, giorno della guerra russa in Ucraina. Dunque, se la resistenza fomentata, addestrata, riempita di armi letali, era precedente il 24 febbraio, La colpa della guerra è degli Usa e non d

L'incubo americano, tra storia e paranoia. E quelle parole di Berlinguer
Vladimir Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Aprile 2022 - 17.58


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Eccola dunque la parola magica. Quella che smonta la tesi della guerra d’aggressione. La parola magica è (per) “procura”. Ecco svelata la “verità” che la stampa al servizio degli imperialisti americani, oscura: in Ucraina è in atto una guerra che l’America, la Nato, la succube Europa stanno conducendo attraverso il loro burattino-Zelensky. C’è poi chi si spinge oltre, imbracciando un retroscenismo complottista degno di quello fabbricato per l’11 Settembre, quando si disse e scrisse che l’attacco alle Torri Gemelle era stato opera della Cia e del Mossad, tant’è che quel giorno gli ebrei non erano andati al lavoro nelle Twin Towers.

Oggi la cosa si ripete. Il retroscenismo s’inventa questa narrazione: l’America riforniva di armi letali l’Ucraina ben prima del 24 febbraio, giorno d’inizio dell’”Operazione” (il termine guerra non è gradito al Cremlino) russa in Ucraina. Dunque, se la resistenza fomentata, addestrata, riempita di armi letali, era precedente il 24 febbraio, ecco che la guerra per procura diventa, per Mosca e i suoi ultrà di casa nostra, una sorta di guerra di difesa. Da chi? Ma dall’America imperialista che intende mettere all’angolo, mortificare, la Russia. La tragedia è che questa narrazione trova ascolto e amplificazione anche tra persone in buona fede, convinti che Putin non sia certo un sincero comunista ma vuoi mettere l’America con il Vietnam, il Cile, l’Afghanistan, la Palestina, l’Iraq…La realtà viene capovolta: l’aggredito diventa se non l’aggressore di certo il provocatore. Questa non è ideologia. E’ paranoia. Che porta a vedere in Biden, che di muscolare non ha niente, come una reincarnazione politica di George W.Bush, quello che utilizzò la bufala dell’esistenza di armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, per giustificare e legittimare la guerra in Iraq. Più o meno, la narrazione si rinnova oggi sul fronte Est.

E la mattanza di Bucha? Quei cadaveri in strada? Le fosse comuni? Tutto falso. Tutto costruito ad arte dalla bieca macchina propagandistica occidentale. Ci sarebbe da ridere se non fossimo di fronte ad una tragedia immane. In questa narrazione pro-Putin, l’America si erge come la potenza che vuole imporre il proprio ordine e i propri interessi al mondo intero. E se non ti assoggetti, vieni spazzato via. In questa fiction, Putin non fa la parte del “buono”, sarebbe troppo anche per i teorici di cui sopra, ma di certo non indossa i panni del “cattivo”, dello sterminatore, del criminale di guerra e genocida, quei panni che la propaganda occidentale, con la sua vox ucraina, gli ha confezionato. Tutto questo nell’anno di grazia 2022.

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Confesso che nel leggere certe esternazioni, torno giovane. Ai tempi in cui si scandiva con assoluta convinzione lo slogan “Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia”. Gli anni dei cortei per il Vietnam, del Kissinger boia, per il sostegno americano al boia Pinochet, e via ricordando. Erano i tempi della Guerra fredda, in cui, sia pure con sfumature diverse, chi era di sinistra doveva scegliere da che parte stare. E quella parte non poteva essere l’America. Erano gli anni della battaglia non violenta contro l’installazione degli euromissili a Comiso, ma anche, questo c’è chi se lo dimentica, del “No” all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Armata Rossa. Chi scrive, rivendica fino in fondo la partecipazione a quei cortei, ai sit in non violenti davanti alla base di Comiso, con tanto di cannoni ad acqua contro i pacifisti…Ma non stare dalla parte dell’imperialismo americano, per una parte di noi, non so quanto grande, mai ha coinciso con lo sposare il socialismo reale dell’Urss, che di reale, quanto alla lotta alla dissidenza interna, aveva tanto e di socialismo ben poco. Ed oggi neanche quello. 

Ma la Guerra Fredda è finita nell’89, anche se, come qualcuno aveva scritto e altri sperato, la Storia non è finita con il crollo del Muro di Berlino e dell’impero sovietico. Oggi, si dice e scrive, siamo tornati ad una sorta di Guerra Fredda 2.0, con l’America che intende regolare definitivamente i conti con la Russia. 

Insomma, Biden come Reagan. Il tempo va all’indietro e riattualizza miti e incubi del passato. L’America imperiale torna a dettare legge in Europa! Ma quando, ma dove. E almeno dalla presidenza Obama che l’America guarda ad Oriente. L’Europa, così come il Medio Oriente, non è più centrale nella visione geopolitica statunitense. Lo scontro non è più con l’”orso russo” ma con il “dragone cinese”. Uno spostamento geopolitico che prosegue con la presidenza Trump e continua con quella di Biden. Per parafrasare l’affermazione di un importante dirigente della sinistra, non è più tempo del sostenere che “capo tavola è dove si siede l’America”. Un tempo, era così. Oggi non più. Certo, l’America non è un gigante dai piedi d’argilla, sul piano militare è ancora l’iper potenza mondiale, ma quello che ha sostituito l’ordine bipolare, è un multilateralismo confuso ma reale. E il “tavolo” planetario, quanto a governance, ha aumentato le sedie. E se un capotavola va per forza cercato, sta a Pechino non a Washington. Che l’America intenda continuare ad essere il “poliziotto del mondo” è nella testa di chi ragiona come se il mondo fosse fermo a al secolo scorso. Fare il poliziotto costa, e le priorità di coloro che ambiscono a sedersi nello Studio Ovale della Casa Bianca, sono tutte rivolte all’interno, specie dopo la doppia botta degli ultimi quindici anni: la crisi finanziaria del 2007-2008, quella del crollo di Wall Street, e poi la pandemia.

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Né Trump né Biden, hanno conquistato la maggioranza degli elettori americani per le loro idee, ammesso che ne avessero qualcuno, in politica estera. E se c’è un filo conduttore nelle ultime tre presidenze Usa, quel filo è riconducibile alla parola “ritiro”. Ritiro dall’Iraq, dalla Siria, dall’Afghanistan. Altro che interventismo. Quanto alla Russia, vale ciò che disse, sprezzantemente Barack Obama, derubricandola a “potenza regionale”, con grande incazzatura di Putin. Quanto agli alleati europei, sia Obama, sia Trump, sia ora Biden hanno chiesto, sia pure in toni diversi, la stessa cosa: volete sicurezza? Pagatevela. E quindi, comprate i nostri F-35, portate al 2% del Pil le spese militari, e contribuite maggiormente al bilancio Nato.

Ora, tutto questo sarebbe scomparso di punto in bianco, l’America torna a mordere in Europa, riallinea gli alleati, accerchia la Russia, l’attira nella trappola ucraina, puntando a farne una sorta di nuovo Afghanistan. Ora, chi scrive ha dedicato decine di articoli e interviste che chiamavano in causa una certa stampa mainstream, mettendo in guardia dai rischi di un pensiero unico in mimetica, esecrando quei direttori in divisa e quei filosofi con l’elmetto che alzavano l’indice accusatorio contro quei cattivoni pacifisti al soldo di Mosca. Globalist non ha mai amoreggiato con questa gente. Ma questo non vuol dire in alcun modo cadere nelle braccia di coloro che sostengono, più o meno velatamente, che quella di Bucha è una montatura, e che sul banco degli imputati, in una “Norimberga” ucraina, dovrebbe sedere Biden e non Putin. Così come consideriamo ignobile, riprovevole, contrapporre i bambini uccisi in Iraq o in Siria o in Palestina ai bimbi morti nella guerra in Ucraina. Una guerra d’aggressione. 

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Di certo, l’America non è, né mai è stata, l’”Impero del Bene”. Troppe tragedie ha determinato nel mondo. E per chi, come il sottoscritto, ha frequentato per oltre trent’anni il Medio Oriente, di queste tragedie ne è stato testimone diretto. Ma, ecco, su quei teatri di guerra ho avuto modo di conoscere tanti bravi reporter americani, alcuni dei quali per raccontare quelle guerre ci hanno rimesso la vita. Raccontavano quello che vedevano senza fare sconti all’uomo che in quel momento rappresentava, in quanto presidente eletto, il commannder in chief.  Sia chiaro: non c’è Paese al mondo in cui la libertà d’informazione è garantita in toto. Così come i teatri di guerra sono stati frequentati anche dal giornalismo embedded. Tentativi, più o meno evidenti, di pressione erano e sono all’ordine del giorno. Anche in Europa, anche negli States. Ma né in Europa né in America giornalisti e oppositori sono stati fatti fuori col polonio o assassinati con un 

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