Niger, la trincea insanguinata del Califfato africano
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Niger, la trincea insanguinata del Califfato africano

Sette Paesi sui 10 più pericolosi del mondo sono nel continente, sotto il Sahara. A cui se ne aggiungono altri 9 che prima erano ritenuti sicuri. Il Niger è tra questi

L'Isis in Africa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Marzo 2021 - 15.57


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E’ di almeno 37 morti il bilancio di una serie di attacchi condotti domenica da uomini armati in motocicletta contro i villaggi nigerini di Intazayene, Bakorat e Akifakif, nella regione di Tahoua, non lontano dal confine con il Mali.

Lo ha annunciato il portavoce del governo del Niger, Zakaria Abdourahmane, in una dichiarazione letta in televisione. Il nuovo massacro di civili segna un ulteriore aggravamento delle condizioni di sicurezza nella zona di confine con il Mali, dove operano diversi gruppi terroristici, in particolare lo Stato islamico nel Grande Sahara. Una tensione che ha esacerbato i conflitti intercomunitari e la cui gestione costituirà una delle massime priorità del neo eletto capo di Stato, Mohamed Bazoum.

Il bilancio, che era stato inizialmente fissato a 60 vittime, rende la strage la più grave mai avvenuta in Niger a essere attribuita a sospetti jihadisti. “Nell’utilizzo sistematico della popolazione civile come obiettivo, questi banditi armati hanno fatto un ulteriore passo nell’orrore e nella barbarie”, ha dichiarato il portavoce, “il governo condanna queste brutali azioni perpetrate da individui che non conoscono né legge né fede”. 

Tra miseria e jihadismo

Con 7,6 figli per donna, il Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, detiene il record di fertilità planetaria. Il tasso di crescita annuale della popolazione è del 3,9% all’anno, un record mondiale. A questo ritmo, se non cambia nulla, la popolazione crescerà da 23 milioni di oggi a 70 milioni nel 2050. 

Le organizzazioni europee per la difesa dei diritti umani si occupano in genere dei diritti di libertà (di stampa, di espressione, di manifestazione ecc.). Qui in Niger abbiamo compreso che la varietà dei diritti negati è molto più ampia e ricomprende prima di tutto quelli elementari alla sopravvivenza, alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’energia e, perfino, allo stato civile (dal momento che solo il 30% dei bambini sono registrati alla nascita). L’insicurezza alimentare è il primo problema del Niger. Il Paese si colloca all’ultimo posto (182° su 182) nell’indice PNUD 2009 dello sviluppo umano. E tutte le cifre sono spaventose: il reddito medio per abitante è di 627 dollari all’anno, la speranza di vita è di 50,1 anni, il tasso di mortalità infantile è altissimo, quello di scolarizzazione bassissimo…”, documenta Nicola Quatrano su Osservatorio internazionali dei diritti. E ancora: “Precarietà e disoccupazione sono generalizzate e ognuno è costretto a darsi vorticosamente da fare, nei modi più vari, per mettere insieme il pasto della sera. Niamey, la capitale, è un immenso mercato, dove ogni marciapiede, ogni spazio, è occupato da venditori, che sembrano essere di gran lunga più numerosi degli acquirenti. Moltissimi bambini, anche piccolissimi, chiedono l’elemosina, la maggior parte sono figli di famiglie povere che sono stati affidati a un marabutto (una sorta di sacerdote, titolare di una scuola coranica) e sono costretti dal loro “maestro” a mendicare. Chi non porta la somma pattuita resta senza mangiare, o addirittura viene percosso. Ma è possibile assistere ad altre scene tremende: i redattori del giornale ‘Alternative’ hanno raccontato di avere incontrato delle donne (tra cui Aissa, 70 anni) che fanno ogni giorno diversi chilometri a piedi per recarsi nella discarica della fabbrica di riso di Tillaberi, dove passano la giornata a cercare qualche grano di riso che potrà servire a preparare il pasto della sera….”. L’economia si basa per l’80% sull’agricoltura di sussistenza e l’allevamento del bestiame. Ma l’agricoltura in Niger è costretta a lottare contro molte insidie: siccità e inondazioni, scarsa qualità del terreno, mercati sottosviluppati in tema di sementi e fertilizzanti, povertà dei pascoli. 

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Con circa il 60% della popolazione che vive sotto della soglia di povertà, i consumi alimentari delle famiglie sono un grave problema legato alle stagioni. Per molti abitanti del paese l’insicurezza alimentare e la fame sono croniche. I tassi di malnutrizione sono altissimi: la piaga colpisce circa il 40% dei bambini, e la malnutrizione acuta grave raggiunge un allarmante 10%.

Il Niger è il Paese dove i bambini sono maggiormente minacciati ed esposti a rischi per la loro vita e il loro sviluppo, seguito da Angola, Mali, Repubblica Centrafricana e Somalia, documenta Save the Children, nel nuovo rapporto “Infanzia rubata”, l l primo Indice globale sull’infanzia negata nel mondo, presentato il primo giugno 2017. “chi ha fame – sottolinea un missionario che da anni vive in Niger – non si ferma con gli eserciti, ma con lo sviluppo”. Che in questo abisso do senza fondo di miseria e degrado possano attecchire jihadisti e trafficanti non dovrebbe destare sorpresa.

Nel 2017, ricorda Amnesty International nel suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani e civili nel mondo,  è proseguito il conflitto armato, in particolare nella regione sudorientale di Diffa, dove la maggior parte degli attacchi è stata compiuta dal gruppo armato Boko Haram. Almeno 300.000 persone necessitavano di aiuti umanitari, a seguito dei combattimenti e del prolungato stato d’emergenza. Oltre 1.400 sospetti membri di Boko Haram erano in carcere, per lo più trattenuti per lunghi periodi in detenzione preprocessuale, in condizioni deplorevoli e a rischio di tortura. I diritti di rifugiati e migranti in transito nel Niger sono stati violati. A fine 2016, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Office for Coordination of Humanitarian Affairs – Ocha), nella regione di Diffa, almeno 300.000 sfollati necessitavano di assistenza umanitaria. Questi comprendevano oltre 184.000 sfollati interni del Niger, 29.000 cittadini nigerini rientrati nel paese e 88.000 rifugiati nigeriani. Molti vivevano in condizioni deplorevoli all’interno di accampamenti improvvisati. La situazione d’insicurezza ha bloccato l’accesso a beni di prima necessità e a servizi essenziali come cibo, acqua e istruzione, mentre il perdurare dello stato d’emergenza ha ostacolato le attività economiche. Il Niger accoglieva nelle regioni di Tillabéri e Tahoua almeno 60.000 rifugiati del Mali, anch’essi bisognosi di assistenza. Il numero delle persone che transitavano attraverso il Niger, nel tentativo di raggiungere l’Europa – rimarca AI – è continuato a crescere nel 2017 e Agadez è divenuta il principale nodo di transito per i migranti provenienti dai Paesi dell’Africa Occidentale. Ad Agadez, denunciano i 15 sindaci della regione, non è stato fatto nulla per offrire alternative al business dei migranti. “Questi ragazzi si sono fidati di noi e hanno smesso di trasportare persone in Libia. Si aspettavano alternative, come promesso dall’Europa, ma ancora non abbiamo visto niente”, si legga in un comunicato diffuso lo scorso aprile. I sindaci inseriscono poi una critica radicale al metodo della cooperazione allo sviluppo europea. “Le agenzie europee gestiscono i loro progetti senza coinvolgerci. Si comportano come se non esistessimo. I Paesi che fanno partnership con le nostre autorità devono capire che non si può fermare il traffico di migranti se non si coinvolge la gioventù locale, se non coinvolgono noi”.

A ottobre, uno studio condotto dall’Iom ha rilevato che il 70%delle persone arrivate in Italia via mare, molte delle quali erano transitate in Niger, era stato vittima della tratta di esseri umani o di sfruttamento, comprese migliaia di donne e ragazze costrette a prostituirsi in Libia o Europa. Nonostante l’approvazione nel 2015 di una legge contro la tratta, poco è stato fatto per prevenire questa pratica in Niger. Dopo l’annuncio del premier italiani in molti si sono cimentati nell’”arte”, si fa per dire, degli strateghi o dei geopolitici. Nella stragrande maggioranza in Niger non hanno messo mai piede. A differenza di Luca Raineri  un ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che ha svolto diverse ricerche sul campo per lo più nel Sahel, in Mali, in Niger e nel Senegal. Questa la sua riflessione: “L’industria del traffico di esseri umani  contribuisce all’aumento del reddito del Niger e alla stabilità del suo attuale Governo. Ad esempio, si dice che le società di autobus – che sono strettamente legate al contrabbando di esseri umani – appoggino l’attuale governo. Così, qualora quest’ultimo volesse interrompere tale traffico, queste persone – che sono molto potenti e rappresentano, forse, la fonte di economia più importante del Paese, indirizzerebbero altrove il loro sostegno, il che comprometterebbe la stabilità del regime. Inoltre, coloro che guidano le auto, i pullman e i furgoni con a bordo i migranti attraverso la città di Agadez, alle porte del Sahara, sono spesso anche le stesse persone che alcuni anni prima prendevano parte a insurrezioni e rivolte. Pertanto, si capisce come il Governo non abbia intenzione di lasciare questi individui senza lavoro, nonostante non svolgano la loro attività in modo legale. Il terzo elemento – prosegue Raineri – che vale la pena sottolineare è che anche l’esercito, approfittando dell’industria del traffico umano, sta facendo tanti soldi. Un esempio di questo fiorente mercato è dato dall’applicazione di una tassa che viene fatta pagare a tutti coloro che passano sulle principali rotte di contrabbando nel Paese. Il Niger, in realtà, è una nazione in cui hanno avuto luogo diversi colpi di Stato, cinque o forse di più, e tutti hanno provocato il rovesciamento dei precedenti regimi. Da questo si può capire quanto sia fondamentale la stabilità dei poteri al fine di assicurare la tranquillità del sistema di sicurezza. Ed è dunque, forse, questo il motivo per cui coloro che sono al potere vedano il perpetrarsi di tale istigazione sistematica alla corruzione o ad attività di traffico, a scapito dei migranti, come una sorta di male minore rispetto a un’eventuale destabilizzazione del Paese...”.

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Considerazioni che portano ad una prima conclusione: in Niger, come in Mali, e negli altri Paesi dell’Africa subsahariana o subsaheliana di origine e di transito di migranti, pensare di contrastare i trafficanti e i loro alleati jihadisti senza attivare nel contempo progetti volti a migliore le condizioni di vita della popolazione locale, più che una illusione appare un pericoloso azzardo. Tanto più alla luce del fatto che i nostri 470 militari dovranno non solo assistere le forze nigerine nel training ma compiere anche missioni più dirette, come “attività di sorveglianza e controllo del territorio”. E controllo e sorveglianza implicano azioni molto impegnative.  Frase generica che implica molto lavoro, piuttosto impegnativo. Inizialmente gli italiani – potrebbero essere i parà della Folgore i primi a partire – lavoreranno a Niamey insieme ai francesi, presenti nell’area del Sahel con gli oltre 3mila militari dell’operazione “Barkhane”. A Barkhane partecipano anche le forze armate di 5 ex colonie francesi (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Si tratta di una regione dove è forte e radicata la presenza di milizie jihadiste, che vanno ben oltre l’Isis, che nelle aree di frontiera tra Niger, Libia e Algeria (a Ovest) e Niger, Libia e Ciad (a Est) hanno assorbito i reduci delle lunghe battaglie algerine e ha sfruttato la frammentazione della Libia per rafforzarsi e diventare sempre più insidioso. 

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Africa, trincea jihadista

Rimarca Raffaella Scuderi su Repubblica: “L’Africa del Sahel e della fascia subsahariana si sta facendo sempre più insicura. Il terrorismo indebolisce i governi, le forze di sicurezza governative sempre più fragili abusano della popolazione civile e i gruppi jihadisti si rafforzano e si espandono. È il quadro che emerge dall’ultimo rapporto di Verisk Maplecroft, società internazionale di ricerca strategica e analisi dei rischi, che ogni trimestre stila un indice di pericolosità a livello globale.
L’ultima relazione parla di Africa in caduta libera. Sette Paesi sui 10 più pericolosi del mondo sono nel continente, sotto il Sahara. A cui se ne aggiungono altri 9 che prima erano ritenuti sicuri. La percentuale di aumento del rischio terrorismo rispetto all’analisi del 2019, è del 13%. Burundi, Costa d’Avorio, Tanzania, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Kenya, Mozambico e Senegal, sono diventati più pericolosi dell’anno scorso. Solo Ruanda e Repubblica Centrafricana sono più sicuri”.

Radiografia dell’arcipelago jihadista

A fornirla, è un documentato report di Roberto Colella su ilfattoquotidiano.it: “In Africa restano saldi la Jamaat Nusrat al-Islam wal-Muslimin (Jnim) e soprattutto Al Shabaab. La prima incentrata sul Mali, che opera anche in Burkina Faso e Niger, istituita nel marzo 2017. Si tratta di una federazione di gruppi jihadisti filo-qaedisti guidata dal carismatico Iyad ag Ghaly. La seconda, Al-Shabaab – un affiliato di al-Qaeda in Somalia, specializzato soprattutto in attentati e rapimenti”. Quanto allo Stato islamico, annota Colella, 2 seppur privo di un leader carismatico, gode in Africa di una organizzazione meticolosa. Nel marzo 2015, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, aveva prestato giuramento ad Abu Bakr al-Baghdadi e allo Stato Islamico. Da allora il nome Boko Haram scomparve, cedendo il posto all’Iswap oggi definito un protoesercito. Shekau fu poi rimpiazzato dalla testa dell’Iswap che scommise le sue carte su Abu Musab al-Barnawi, figlio del fondatore di Boko Haram, Mohammad Yusuf.  Shekau continua oggi ad operare vicino alla foresta di Sambisa con una fazione di 1.500 combattenti, sotto il nome internazionale di Boko Haram o con quello locale di Jama’at Ahl as-Sunnah lid-Da’wah wa’l-Jihad (Jas), ma è spesso citato come seconda branca dell’Iswap, avendo rigettato il decreto dell’Isis.

Il gruppo salafita-jihadista affiliato allo Stato islamico, Wilayat Sinai (Ws) è invece la principale minaccia alla sicurezza nazionale egiziana. Dal 2013, il gruppo ha compiuto quasi 2000 attentati, causando oltre un migliaio di vittime solo tra i militari. Infatti, il 1° maggio 2020 un attacco contro un convoglio dell’esercito avvenuto a Bir al-Abd, nel Sinai del Nord, ha ucciso 14 soldati. Varie fonti stimano gli affiliati africani all’organizzazione intorno ai 6.000 uomini.

C’è poi l’Islamic State in Greater Sahara (Isgs) nato a metà del 2015, quando Adnan Abu Walid al-Sahraoui, dirigente degli Almoravidi qaedisti, ha prestato giuramento di fedeltà al (defunto) califfo Al Baghdadi Un atto sconfessato e rigettato dal capo degli Almoravidi che ha defenestrato Al-Sahraoui e mantenuto la linea qaedista. A quel punto Al-Sahraoui e altri almoravidi filo-Daesh hanno abiurato per formare lo Stato Islamico in Mali, poi denominato Isgs.

Nell’ottobre 2017 l’Isis ha cominciato a integrare le azioni dell’Isgs nella sua propaganda. La forza dello Stato islamico nel Grande Sahara è di 425 jihadisti. Il tutto sotto la regia dell’Isis che rilancia l’idea del califfato in salsa africana”.

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