Guerra all'Iran, neanche Netanyahu dà più retta a Pompeo
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Guerra all'Iran, neanche Netanyahu dà più retta a Pompeo

Le ultime 'rivelazioni' dell'amministrazione Trump sulla presenza di Al Qaeda in Iran. Ma nemmeno Israele ci crede...

Mike Pompeo e Netanyahu
Mike Pompeo e Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Gennaio 2021 - 17.28


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Sembra essere una scena da thriller di un film di spionaggio. L’incontro avviene lunedì scorso nel popolare ristorate di Washington “Café Milano”. Al tavolo siedono due persone che hanno le mani in pasta nelle segrete vicende mediorientali: il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e Yossi Cohen, il capo del Mossad, il servizio di sicurezza esterno d’Israele. Tra una settimana, il 20 gennaio, giorno della cerimonia d’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, per Pompeo i giochi finiscono. C’è però ancora il tempo per piazzare dei colpi che potrebbero incendiare la polveriera mediorientale.

I due uomini vanno al sodo e pianificano gli attacchi che di lì a quarantott’ore, Israele scatenerà contro obiettivi iraniani in Siria.

L’incontro pianificatore

Quei raid aerei sono anche un messaggio che Benjamin Netanyahu intende inviare al neo presidente democratico: con l’Iran non si tratta. Con l’Iran si fa la guerra. Per ora una guerra a bassa (ma neanche tanto) intensità, ma comunque guerra. E quella di queste ultime 24 ore è cronaca di guerra. E’ di 40 uccisi il bilancio di raid aerei attribuiti a Israele nella Siria sud-orientale al confine con l’Iraq. Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), secondo cui 31 miliziani filo-iraniani sono stati uccisi nei bombardamenti assieme a nove soldati governativi siriani.

Si tratta, secondo l’Osservatorio, del più sanguinoso raid aereo compiuto nella zona contro postazioni filo-iraniane negli ultimi due anni e mezzo. Nel giugno del 2018, 55 tra miliziani filo-iraniani e soldati governativi siriani erano morti in bombardamenti aerei nella zona. Dal canto suo l’agenzia governativa siriana Sana ha confermato i raid aerei, attribuendoli al “nemico israeliano”, senza però fornire dettagli in merito.  Secondo l’Ondus, i raid della scorsa notte sono stati almeno 10 e hanno colpito tre diverse aree dove sono concentrate forze iraniane e filo-iraniane al confine siriano con l’Iraq. Le fonti locali affermano che sono stati colpiti postazioni e depositi di armi del Battaglione Fatimida, milizia filo-iraniana composta da combattenti afgani, degli Hezbollah libanesi e di gruppi armati iracheni che operano sotto l’ombrello dei Pasdaran iraniani. Le località colpite sono la periferia della città di Dayr az Zor, Albukamal e la periferia di Mayadin, tre città lungo la bassa valle del fiume Eufrate. Già ieri si erano registrati attacchi di non meglio precisate aviazioni militari contro postazioni filo-iraniane al confine tra Siria e Iraq. 

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Al “Cafè Milano” è avvenuto qualcosa di inedito nella cooperazione tra Stati Uniti e Israele: gli americani non solo hanno fornito informazioni di intelligence al capo del Mossad, ma hanno copartecipato alla scelta degli obiettivi da colpire.

Israele ha lanciato centinaia di attacchi contro obiettivi militari collegati all’Iran in Siria nel corso degli anni, ma raramente riconosce o discute tali operazioni.   Gli attacchi sono avvenuti in mezzo alle crescenti tensioni nella regione e alla preoccupazione che l’Iran possa effettuare attacchi per vendicare l’uccisione, lo scorso anno, di uno dei suoi principali comandanti, il generale Qassem Soleimani.

“Questi attacchi  – annota Amos Harel, analista di punta di Haaretz – sfruttano quella che sembra essere sia una debolezza tattica che una confusione strategica da parte dell’Iran. Lo sforzo dell’Iran di approfondire il suo radicamento militare in Siria ha incontrato difficoltà, soprattutto dopo l’assassinio americano del generale  Qassem Soleimani, il comandante della Forza Quds, il reparto di élite  dei Guardiani della rivoluzione iraniana, nel gennaio 2020. Le agenzie di intelligence occidentali condividono la valutazione secondo cui il suo sostituto, il generale  Esmail Ghaani, sta avendo difficoltà a prendere il posto di Soleimani e a condurre una campagna organizzata per conto degli interessi iraniani come ha fatto il suo predecessore. Nel frattempo, Teheran sta contando i giorni che mancano a Donald Trump per lasciare la Casa Bianca il 20 gennaio. Per ora gli iraniani si stanno concentrando su passi simbolici per inviare segnali all’America, come l’annuncio della ripresa dell’arricchimento dell’uranio ad un livello del 20 per cento. Contrariamente ai timori espressi sia in America che in Israele, non sono noti tentativi iraniani di utilizzare l’anniversario della morte di Soleimani della scorsa settimana per compiere un attacco di vendetta. Tuttavia, Israele non è ancora completamente convinto che il pericolo sia passato.

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Israele è rimasto in allerta relativamente alta nelle ultime settimane a causa della sua valutazione che l’Iran avrebbe cercato di colpire obiettivi americani e israeliani per vendicare sia la morte di Soleimani che l’assassinio del capo del programma nucleare militare iraniano, il professore Mohsen Fakhrizadeh, alla fine di novembre. Quest’ultimo attacco, avvenuto a est di Teheran, è stato attribuito al Mossad.

Israele si è preparato alla possibilità di un attacco a lungo raggio da parte di iraniani o di milizie e gruppi ribelli sponsorizzati dall’Iran in Siria, Iraq o anche Yemen. Anche se il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah si è affrettato a dire che la sua organizzazione non avrebbe partecipato ai piani iraniani in questo caso, anche il confine libanese è stato tenuto in qualche modo all’erta.

L’establishment della difesa si è preparato a una serie di scenari. Questi includono il lancio di razzi, di missili balistici a lungo raggio, gli attacchi dei droni, i missili cruise e i tentativi di assassinare un diplomatico israeliano o di attaccare un’ambasciata o un consolato israeliano all’estero.

Finora non è successo nulla di tutto ciò – rimarca Harel -. Ciò può essere dovuto in parte alle difficoltà operative della Forza Quds in Iraq e in Siria. Tuttavia, l’ipotesi di lavoro di Israele è che gli iraniani considerano ancora il conto in sospeso, e che un attacco di vendetta arriverà ogni volta che Teheran ne vedrà l’opportunità.

I portavoce israeliani hanno recentemente parlato molto del dispiegamento dell’Iran nello Yemen per assistere i ribelli Houthi. Due settimane fa, i ribelli hanno effettuato un ambizioso attacco al nuovo governo yemenita proprio mentre i suoi ministri atterravano all’aeroporto di Aden, usando sia il fuoco dei razzi che i droni d’attacco. Più di 20 persone sono state uccise.

In un passo insolito, una batteria antimissile Iron Dome è stata recentemente dispiegata a Eilat. Nelle ultime settimane c’è stata anche un’attività insolita da parte di jet da combattimento nel sud di Israele. Apparentemente, questi fanno parte dello sforzo di Israele per interrompere ogni possibile attacco dal sud da parte di milizie filo-iraniane. Un tale attacco potrebbe comportare una minaccia diretta al territorio israeliano o una minaccia alla navigazione israeliana nel Mar Rosso.

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Il Centro di ricerca sulla politica e la strategia marittima dell’Università di Haifa ha pubblicato la scorsa settimana la sua valutazione strategica per il prossimo anno. In essa il direttore dell’istituto, il dottor Shaul Chorev, ha discusso la crescente importanza del Mar Rosso.

“In questa regione, una delle principali rotte di navigazione del mondo, si sta svolgendo una battaglia per il controllo tra molti attori”, ha scritto. “Data la crescente importanza del commercio israeliano con l’Asia, che passa attraverso queste rotte, così come gli stretti legami che diversi attori locali hanno con gli attori regionali e globali (come gli Houthi con l’Iran), Israele deve monitorare gli sviluppi in questa regione in modo approfondito e regolare”.

L’Iran nel mirino

Per tornare a Pompeo, il fedelissimo di Trump ha accusato ieri l’Iran di essere la “nuova base” dell’organizzazione jihadista al-Qaeda, “peggio” dell’Afghanistan al momento degli attentati dell’11 settembre.   In un discorso al National Press club di Washington, il capo (uscente) della diplomazia americana ha inoltre confermato ufficialmente per la prima volta l’uccisione a Teheran del numero due di al-Qaeda Abdullah Ahmed Abdullah, nome di battaglia Abu Muhammad al-Masri.

 Stando a fonti bene informate a Tel Aviv, Pompeo avrebbe sollecitato Israele a sferrare un attacco diretto contro l’Iran, garantendo la copertura di Trump. Ma questo è sembrato troppo anche all’amico e sodale di The Donald, Benjamin Netanyahu. 

Va bene condizionare Biden, ma metterlo di fronte, neanche insediato alla Casa Bianca, a una guerra totale tra Israele e l’Iran, è un azzardo ritenuto tale anche dai falchi di Tel Aviv. Al segretario guerrafondaio non resta che consolarsi con il rosso Pompeo,  il vino, che porta il suo nome,  offertogli  in regalo dal proprietario delle cantine Psagot, sulle colline a est di Ramallah, nel corso della recente visita  dell’ex capo della Cia in Israele.

 

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