Libia, i pescatori di Mazara del Vallo in ostaggio e i "pizzini" di Haftar
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Libia, i pescatori di Mazara del Vallo in ostaggio e i "pizzini" di Haftar

Qualcosa si è mosso, dicono a Globalist fonti autorevoli, i nostri servizi sono impegnati h24, ma qualcosa bisognerà concedere ad Haftar. Ma cosa? Soldi o riconoscimenti politici?

Khalifa Haftar
Khalifa Haftar
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Ottobre 2020 - 16.03


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Sono ostaggi da oltre un mese di un signore della guerra che ogni giorno che passa alza il prezzo del riscatto. E i nostri 007 impegnati sul campo fanno fatica a stare dietro ai cambi di umore e di richieste del generale Kalifa Haftar. A 37 giorni dal sequestro in Libia, non sappiamo nulla dei nostri pescatori: siamo disperati. Alcuni hanno bisogno di cure, di farmaci, sono diabetici”.

Sono sconfortate le parole che l’armatore trapanese Leonardo Gancitano pronuncia durante l’intervento a Tgcom24. “In concreto non abbiamo notizie, ci sono 18 famiglie allo sbando”, ha aggiunto. Nel frattempo i parenti degli uomini trattenuti da Tripoli hanno manifestato a Roma, davanti a Montecitorio.

La vicenda

 Il 1° settembre, a poche ore di distanza dall’incontro tra Luigi di Maio e Fayez al Serraj, capo del governo libico, il peschereccio “Antartide” veniva sequestrato insieme al “Medinea” nel porto di Bengasi, perché entrati in acque libiche. Le imbarcazioni, provenienti da Mazara del Vallo (Trapani), avevano a bordo rispettivamente dieci e sei membri dell’equipaggio. A compiere il sequestro la Marina di Haftar, che è ancora a capo dell’autoproclamato esercito libico dell’Est del Paese.

La Farnesina ha più volte ribadito attenzione sul caso, mentre dalla Libia venivano avanzate richieste di scambio di prigionieri. La proposta, giunta intorno al 15 settembre, aveva come obiettivo la scarcerazione di quattro uomini condannati in Italia a 30 anni per traffico di essere umani e l’omicidio di 49 migranti. Proposta ritenuta dal governo italiano “irricevibile”.

Le condizioni dei pescatori
Il sito di news libico in inglese Libyan Address Journal ha riportato le parole di Khaled Al-Mahjoub, alto funzionario dell’esercito nazionale libico, che appoggia Haftar: secondo Al-Mahjoub, “è noto” che i libici trattino i propri prigionieri “nel rispetto dei diritti umani” e le condizioni di salute dei pescatori fermati sono “eccellenti”. In Libia, ha poi aggiunto: “Non viene arrestato nessuno a meno che non infranga la legge”.  Il funzionario ha spiegato che i 18 pescatori sono sotto indagine per aver violato la competenza territoriale ed economica delle acque libiche e pertanto verranno processati secondo le leggi del paese, avendo diritto all’assistenza legale. Inoltre, Al-Mahjoub ha detto di  “aver appreso” che i pescatori hanno potuto contattare le proprie famiglie.

Le cose però non stanno proprio così. Si sa che dal primo settembre c’è stata soltanto una  telefonata: quella che il capitano della Medinea, Piero Marrone, ha fatto alla madre per spiegare che l’equipaggio sta bene, ma che ha bisogno d’aiuto. Marco Marrone, armatore dello stesso peschereccio e portavoce delle famiglie dei pescatori, e ha detto al Giornale di Sicilia che: “Continuiamo a non avere contatti con i nostri pescatori che il 20 ottobre saranno processati a Bengasi. Ci vengono date rassicurazioni, ma non siamo riusciti né a sentire i marittimi né a ricevere una loro fotografia». In più, secondo il telegiornale regionale della Sicilia la Libia avrebbe trattenuto i pescherecci perché stavano trasportando anche sostanze stupefacenti, un’accusa che secondo i familiari dei pescatori sarebbe falsa.

Ricatti e depistaggi

Una storia di ricattti, ripicche e depistaggi raccontata, con la consueta perizia documentale, da Nello Scavo su Avvenire: “L’Italia, a quanto risulta da varie fonti, ha cercato di riportare il generale a più miti consigli coinvolgendo il triumvirato che ha sostenuto Haftar in questi anni: Russia, Egitto ed Emirati Arabi. Negli ultimi mesi, però, proprio questi Paesi hanno mostrato insofferenza nei confronti del ‘maresciallo’, incapace di completare l’assedio su Tripoli e mostratosi più volte sordo ai consigli dei suoi foraggiatori. ‘Unica opzione praticabile – suggerisce una fonte diplomatica – sarebbe coinvolgere la Francia, cui Haftar deve molto, compreso l’avergli salvato la vita quando era stato colpito da un grave ictus’. E anche in questo caso Roma dovrebbe pagare un prezzo altissimo – rimarca Scavo-. Oltre alle annose partite per l’assegnazione delle esplorazioni petrolifere e lo sfruttamento dei giacimenti, che in Cirenaica hanno visto le società francesi surclassare quelle italiane, Khalifa Haftar ha l’occasione per una ripicca. Un anno fa Federpesca stipulò un accordo con i fedelissimi del generale. La trattativa venne a lungo tenuta riservata; si trattava di un accordo privato, di durata quinquennale ‘tra Federpesca e la Libyan Investment Authority’, si leggeva in una delle scarne comunicazioni ufficiali. Il patto era più simile a un dazio mafioso. Veniva consentito a una flottiglia di 10 motopesca di gettare le reti nelle acque reclamate dai libici, in cambio di una ‘tassa’ da diecimila euro al mese per peschereccio e a 1,5 euro per ogni chilo di pescato, pesato però a Malta. In cambio, gli armatori siciliani avrebbero potuto rifornirsi rifornirsi di carburante in Libia, a un prezzo più basso così da compensare il ‘pizzo’ mensile. Ogni passaggio di denaro sarebbe dovuto avvenire attraverso società di intermediazione maltese che avrebbero incassato il denaro per conto di Haftar. Dopo i primi viaggi dei pescherecci siciliani la protesta del governo di Tripoli, riconosciuto dall’Italia che invece disconosce le autorità di Bengasi, costrinse Roma a far retrocedere Federpesca dall’intesa. Oggi Haftar ha l’occasione per la rivincita su Roma. Sul piatto c’è anche l’operazione navale internazionale Irini, a guida italiana, che nelle ultime settimane più volte ha ostacolato la consegna di armi da guerra alle milizie della Cirenaica. A pagare il prezzo sono i 18 marittimi e le loro famiglie, che da giorni non riescono neanche ad avere contatti telefonici con la prigione in cui sono rinchiusi”.

Vicolo cieco

Che l’Italia possa liberare quattro criminali condannati per la “strage di Ferragosto” è fuori discussione. E allora? Le bocche sono cucite, a Palazzo Chigi come alla Farnesina, alla Difesa come al Viminale, tuttavia a forza di insistere qualcosa trapela. E Globalist ha raccolto queste voci. Il presidente del Consiglio e il titolare della Farnesina hanno investito della vicenda i Paesi che più sostengono il generale Haftar: Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, chiedendo loro di premere sul loro “protetto” per arrivare alla liberazione dei nostri connazionali. Qualcosa si è mosso, dicono a Globalist fonti autorevoli, i nostri servizi sono impegnati h24, ma “qualcosa bisognerà concedere ad Haftar”. Un riconoscimento politico, ad esempio, del ruolo importante che il generale di Bengasi ha nel processo di stabilizzazione della Libia. Su questo, Roma non ha problemi. Ma da solo quel riconoscimento non può bastare. Ecco allora spuntare la pista dei soldi, di un riscatto da pagare per la liberazione degli ostaggi.  D’altro canto, fa notare la fonte, in altre circostanze l’Italia si è comportata così per ottenere la liberazione di nostri connazionali. Ufficialmente questi pagamenti sono sempre stati negati, ma ci sono stati, questo è sicuro.

Armi ad Haftar

Haftar ricatta l’Italia, forte del sostegno militare degli Emirati Arabi Uniti.  Secondo un rapporto riservato delle Nazioni Unite, nel 2020 gli Emirati Arabi Uniti avrebbero aumentato il loro rifornimento di armi al maresciallo libico, che è a capo delle milizie legate al governo della Libia orientale. A riportare la notizia è il Wall Street Journal, che scrive che gli EAU avrebbero rifornito di armi Haftar, violando gli embarghi internazionali, per ostacolare l’influenza della Turchia nell’area. Tra gennaio e aprile di quest’anno l’aeronautica militare degli Emirati avrebbe inviato circa 150 forniture di munizioni e di sistemi di difesa. Decine di voli di rifornimento, tramite un aereo da trasporto militare C-17 di fabbricazione statunitense, sono continuati durante l’estate, anche dopo le sconfitte di Haftar durante l’offensiva contro Tripoli. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero utilizzato anche navi per rifornire di carburante l’aviazione militare sotto il controllo di Haftar.

E allora se non è solo questione di soldi, e ancor meno di armi, e se lo scambio con i quattro scafisti condannati in via definitiva a 30 anni di carcere, non è ricevibile, come uscire fuori da questo vicolo cieco? Una cosa è certo: ci vorrà tempo. Fonti contattate da Aki – Adnkronos International ricordano come in passato “ci siano voluti mesi” per risolvere casi analoghi in Libia, dal momento che le autorità libiche “considerano quelle acque zone di interesse economico esclusivo libico” e non tollerano “violazioni dei propri diritti economici sulle proprie acque”.

Haftar deve rivalersi dello “sgarro” subito, a suo dire, dall’Italia. E in questa logica mafiosa, c’è da attendersi  di tutto.

 

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