Haftar alza la posta del ricatto e accusa i pescatori di essere trafficanti di droga. Che dice Di Maio?
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Haftar alza la posta del ricatto e accusa i pescatori di essere trafficanti di droga. Che dice Di Maio?

I 18 pescatori si trovano nel carcere di El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi. Sin dall'agguato la vicenda viene monitorata dalla Farnesina e dall'intelligence

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22 Settembre 2020 - 15.34


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Per il generale-sequestratore, non si tratta di pescatori ma di trafficanti di droga. E come tali intende trattarli. Dieci involucri di colore giallo, disposti su due file a terra davanti a una nave che ha il nome “Medinea”, lo stesso di quella sequestrata dai libici di Bengasi e il cui equipaggio, insieme a quello del peschereccio “Antartide”, è da 23 giorni nelle mani del generale Khalifa Haftar.

Nelle stesse ore in cui le famiglie dei pescatori di Mazara del Vallo sono a Roma per cercare di incontrare il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’Agi è venuta in possesso delle foto con cui, secondo gli stessi pescatori, il generale cerca di “incastrarli” e aumentare la posta del negoziato con Roma mettendo sul tavolo l’accusa di traffico di droga.

Un’altra foto colloca alcuni involucri – dieci anche questi, probabilmente gli stessi – all’interno della nave, e sullo sfondo le cassette per contenere il pesce.

Gli equipaggi furono sequestrati la sera del primo settembre a 38 miglia dalle coste libiche, all’indomani di una visita in Libia fatta dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per suggellare l’accordo tra il presidente del consiglio riconosciuto dall’Onu, Fayed Al Sarraj e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh.

Da allora i 18 pescatori si trovano nel carcere di El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi. Sin dall’agguato la vicenda viene monitorata dalla Farnesina e dall’intelligence

In questi giorni i familiari dei pescatori sono riusciti a parlare telefonicamente con il capitano del Medinea, Piero Marrone, che oltre a rassicurarli sulla loro condizione, ha chiesto “fate di tutto per riportarci in Italia”.

Durante la telefonata, a una domanda dell’armatore del peschereccio, Marco Marrone, dice: “Ci accusano che hanno trovato droga a bordo”. La frase inedita è stata ripresa da un cellulare, durante una conversazione in viva voce, a margine di una diretta televisiva rilanciata ieri dall’Agi. “E’ chiaro che vogliono alzare l’asticella”, dice nella stessa conversazione l’armatore del Medinea, Marco Marrone. Nessuna conferma da parte della Farnesina, che assieme all’intelligence sta conducendo le trattative per il rilascio dei 18 marittimi. I due motopesca dalla sera del sequestro si trovano incustoditi nel porto di Bengasi. Nel corso delle trattative le autorità dirette dal generale Khalifa Haftar hanno chiesto al Governo italiano uno ‘scambio di prigionieri’ con quattro libici condannati in Italia a 30 anni di carcere e tuttora detenuti con l’accusa di essere tra gli scafisti della cosiddetta ‘”Strage di Ferragosto’”in cui morirono 49 migranti, in asfissia nella stiva di un’imbarcazione.

Vergogna in mare

 “Ci accusano di salvare ‘sistematicamente’ persone, fino a contestare il numero eccessivo di giubbotti di salvataggio a bordo. Mentre il dovere di ogni nave di assistere imbarcazioni in difficoltà viene del tutto ignorato. Le autorità italiane provano a fermare le organizzazioni umanitarie – che cercano solo di salvare vite in mare come richiesto dal diritto marittimo internazionale – mentre disattendono i loro stessi obblighi di soccorso, con l’assenso se non il pieno appoggio degli stati Europei” denuncia Marco Bertotto, responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere. Non solo gli Stati europei non stanno fornendo un sistema di ricerca e soccorso coordinato e dedicato – aggiunge Bertotto – ma hanno cooptato la Guardia costiera libica per pattugliare il Mediterraneo centrale. Dall’inizio del 2020, quasi 8.000 rifugiati e migranti sono stati intercettati in mare e riportati forzatamente in Libia dalla Guardia costiera libica, il 32% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel frattempo, il numero di persone bloccate nei centri di detenzione ufficiali libici continua a crescere, nonostante sia noto che la Libia non è un posto sicuro.

La rotta algerina

Con gli ultimi sbarchi registrati nelle ultime ore sono in tutto 1.011 gli algerini sbarcati irregolarmente sulle coste dell’Italia dall’inizio del 2020, pari al 4 per cento degli arrivi totali. E’ quanto emerge dai dati giornalieri sugli sbarchi diffusi oggi, 22 settembre, dal Viminale. Superano di poco quota mille anche i migranti irregolari provenienti dalla Costa d’Avorio, in tutto pari a 1.007, mentre fra gli altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo seguono immediatamente il Marocco (605) e l’Egitto (533). La cifra registrata per i primi nove mesi del 2020 è supera il numero totale di algerini sbarcati in Italia in tutto il 2019 (1.009 al 31 dicembre dell’anno scorso, secondo dati del Viminale) ma ancora inferiore al numero totale di algerini sbarcati nel 2018 (1.213 al 31 dicembre 2018). L’Algeria, al pari dell’Italia, fa parte del gruppo 5+5 (Italia, Germania, Francia, Spagna, Malta da una parte, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania dall’altra) che sta cercando di trovare un modo congiunto e coordinato di prevenire e combattere la tratta di esseri umani.

Il tema del contrasto ai flussi migratori irregolari è stato affrontato dalla ministra dell’Interno dell’Italia, Luciana Lamorgese, durante la sua visita in Algeria lo scorso 15 settembre, durante la quale la titolare del Viminale ha incontrato l’omologo algerino, Kamel Beldjoud, e il presidente della repubblica, Abdelmajid Tebboune. Nel paese nordafricano, Lamorgese ha proposto il testo di un nuovo accordo in materia di sicurezza che prevede l’adozione di rafforzate forme di cooperazione fra le forze di polizia per prevenire e contrastare la criminalità ed il terrorismo, con particolare riferimento ai settori della criminalità transnazionale, traffico di stupefacenti, reati economici e finanziari, tratta di persone e traffico di migranti.
Le autorità algerine  hanno sventato negli ultimi giorni il tentativo di 485 “harraga” (migranti illegali) di arrivare in Italia via mare e hanno recuperato i corpi di 10 persone annegate per raggiungere la Sardegna. “In prosecuzione degli sforzi compiuti dalle nostre forze navali per frenare il fenomeno delle migrazioni illegali, le unità della Guardia costiera hanno potuto, dal 15 al 19 settembre 2020, attraverso 42 distinte operazioni nelle nostre acque territoriali, intercettare 485 persone che hanno tentato di emigrare illegalmente”, si legge in un comunicato stampa del ministero della Difesa. “Tutti i migranti sono stati portati presso centri di detenzione dalle autorità competenti, mentre sono stati recuperati i corpi dei dieci clandestini annegati perché le loro barche si erano capovolte”. Centinaia di clandestini algerini sono sbarcati nelle ultime settimane in Sardegna, un fenomeno che preoccupa anche in ottica Covid-19. Durante le misure di quarantena applicate per fermare la diffusione del coronavirus in Algeria, molti giovani (e talvolta anche i meno giovani) hanno cercato di raggiungere le coste europee sfruttando il bel tempo e le condizioni di navigazione favorevoli.
La storia di Ahmed

A bordo di un’imbarcazione di fortuna, Ahmed, un giovane algerino di Annaba (Algeria orientale), ha percorso 230 chilometri per raggiungere l’isola di Sardegna quattro anni fa. Ahmed, che attualmente vive a Parigi, ha spiegato ad “Agenzia Nova” come è stato in grado di raggiungere l’Europa usando la Sardegna come punto di transito e non di destinazione finale. “La parte più difficile è stata lasciare la costa algerina. Ero con un gruppo di giovani composto da circa 20 persone a bordo di un’imbarcazione improvvisata”, ha aggiunto Ahmed. “Ho pagato circa 1.000 euro ai trafficanti locali, abbiamo scelto un punto di partenza vicino a Cap Rosa d’El-Kala (dipartimento di El-Tarf)”, ha rivelato il giovane. La Guardia costiera della Marina militare algerina, nonostante i rinforzi e le attrezzature ricevute dall’Europa, non riesce a contenere questo fenomeno. Molti giovani algerini, infatti, vogliono tornare a tutti i costi dalle loro famiglie o dai loro amici residenti principalmente in Francia. Ahmed ha rivelato che “trafficanti stranieri e anche italiani mi hanno aiutato ad attraversare l’Italia: l’obiettivo della stragrande maggioranza di noi era raggiungere la Francia”. Gli emigranti illegali algerini che vogliono raggiungere l’Europa soprattutto provengono dalle città orientali del Paese, tra cui Annaba, Costantina, Skikda, El-Tarf e Jijel.
Secondo il professore berbero Mahrez Bouiche, dell’università di Bejaia, a est di Algeri, “le rigide misure di contenimento applicate per più di tre mesi sono una delle concause della nuova ondata migratoria verso l’Europa”. Durante lo scorso anno l’Algeria è stata scossa da un grande movimento popolare pro-democrazia (noto come Hirak) e il tasso di emigrazione clandestina è diminuito. “Ora con l’arrivo della pandemia di Covid-19 le cose sono diventate sempre più complicate per i giovani algerini, molti dei quali lavorano in nero; con la serrata diventa difficile guadagnarsi da vivere in tali condizioni”, ha detto Bouiche. Nonostante la legge del 2009 abbia imposto sei mesi di reclusione per chi tenta di emigrare illegalmente e cinque anni di reclusione per i trafficanti, questo fenomeno è ancora diffuso tra i giovani.
Il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, all’inizio di quest’anno ha affermato che l’Algeria è pronta a collaborare con le autorità italiane “per rimpatriare gli algerini privi di documenti”, chiedendo al contempo che “siano rispettati i loro diritti da parte dalle autorità dei paesi in cui si trovano”. Il capo dello Stato algerino ha rimarcato che “qualsiasi umiliazione o violenza” nei confronti di cittadini algerino espatriati è “inaccettabile”. “Ho parlato personalmente con il primo ministro italiano (Giuseppe Conte), gli ho chiesto di applicare le leggi del suo paese senza umiliare o violare i nostri cittadini. (…) Non perdo la speranza. Voglio costruire un’Algeria dove i cittadini vogliano vivere serenamente”, ha detto Tebboune.

E così, dopo la rotta libica, la rotta tunisina, la rotta marocchina, ecco aprirsi anche la rotta algerina. E l’Europa sta a guardare. E l’Italia chiude i porti e non trova di meglio che ostacolare l’opera salva vita delle Ong nel Mediterraneo e finanziare la cosiddetta Guardia costiera libica per fare il lavoro sporco: sparare sui migranti o ricacciarli nei lager dai quali tentano di fuggire.

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