Libia, il "ruggito dei conigli" europei
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Libia, il "ruggito dei conigli" europei

Francia, Germania e Italia minacciano sanzioni alle potenze straniere che violano l'embargo decretato dall'Onu sulle armi in Libia. Ma...

Mercenari e milizie in Libia
Mercenari e milizie in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Luglio 2020 - 14.25


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Libia, il “ruggito dei conigli”. Che dire: l’Europa non finisce mai di sorprenderci. In negativo. Per la sua ambiguità, per la mancanza di vergogna, per gli impegni presi e mai realizzati, per la pletora di conferenze spacciate per decisive e finite nel nulla, per il doppiogiochismo imperante, per missioni varate e fallite sul nascere. E ora per sanzioni minacciate ma che non verranno mai applicate

La farsa continua

Francia, Germania e Italia minacciano sanzioni alle potenze straniere che violano l’embargo decretato dall’Onu sulle armi in Libia. “Chiediamo a tutti gli attori stranieri di cessare le loro interferenze e rispettare l’embargo sulle armi stabilito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, affermano in una dichiarazione congiunta il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera Angela Merkel e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

I tre leader europei si sono detti “disposti a considerare l’applicazione di sanzioni se continuano le violazioni dell’embargo” sulle armi. Preoccupati dall’escalation militare in Libia, Merkel, Conte e  Macron chiedono un cessate il fuoco. Nella nota pubblicata dall’Eliseo si legge: “ci siamo riuniti oggi (ieri, ndr) a Bruxelles a margine del Consiglio europeo per parlare della situazione in Libia. Condividiamo le serie preoccupazioni per l’aumento delle tensioni militari in quel Paese e per il rischio crescente di un’escalation regionale. Chiediamo quindi a tutti i partiti libici e ai loro sostenitori stranieri di fermare immediatamente i combattimenti e di porre fine all’escalation militare in corso in tutto il Paese”. 

Cinquanta sfumature di grigio.

Notate le sfumature diplomatiche, perché in esse risiedono sostanza e…fregature. I tre leader si sono detti “disposti a prendere in considerazione etc”. In cosa potrebbero consistere queste ipotetiche sanzioni, nessuno lo sa.   Sai che paura per gli Erdogan, i Putin, gli al-Sisi, gli emiratini, i sauditi, insomma, per tutti quegli attori esterni che hanno fatto di quella libica una guerra per procura, imbottendo di armi, consiglieri militari, mercenari e tagliagole, le parti in conflitto

Un capitolo a parte merita la Francia. I nostri “fratelli-coltelli” europei. A meno che non abbia un clone o sia in stato avanzato di dissociazione mentale, il Macron che minaccia sanzioni è lo stesso che sostiene sottotraccia, ma neanche troppo, il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, nemico giurato di quel Fayez al-Sarraj a capo del Governo di accordo nazionale (Gna) che pure Parigi riconosce, al pari dell’Italia.

Il Sultano versus il Faraone

E così, mentre a Bruxelles si dilettano a vergare dichiarazioni senza costrutto, i due player sunniti affilano, non metaforicamente, le armi.. Il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha incontrato ieri i capi tribù della Cirenaica e ha assicurato che “l’Egitto non rimarrà inerte nel conflitto libico di fronte alla ‘minaccia diretta’ alla sicurezza nazionale”. 

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Da parte loro, i leader tribali gli hanno dato il mandato di intervenire in Libia in caso di una spinta verso Est da parte delle forze governative di Tripoli. E si tratta del terzo disco verde che arriva dalla Cirenaica, dopo quelli del Parlamento di Tobruk e dell’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar che ormai non può nulla contro l’offensiva del Governo di accordo nazionale della capitale, guidata dalla Turchia.

Proprio da Ankara arriva l’ammonimento del presidente Recep Tayyip Erdogan che ha definito i passi di Egitto e Emirati Arabi (l’altro sponsor di Haftar) “illegali e inaccettabili”. “Continueremo a tenere fede a tutte le responsabilità che ci siamo presi. Non lasceremo soli i nostri fratelli libici, perché le nostre relazioni con la Libia sono vecchie di 500 anni. Siamo un governo legittimo che combatte contro i golpisti”, ha rincarato il capo di Stato turco che ora non esclude “un nuovo accordo con Tripoli sulla base del vecchio accordo di Skhirat“.     

Il fronte decisivo resta quello di Sirtea metà strada tra Tripolitania e Cirenaica e da anni sotto il controllo del sedicente esercito di Haftar. Ora ha alle sue porte ci sono le milizie della capitale, forti del sostegno turco dopo aver cacciato tutti gli uomini di Haftar da Tripoli che aveva tentato una fallimentare offensiva nell’aprile 2019. L’eventuale avanzata su Sirte, potrebbe innescare un intervento militare dell’Egitto che – ha avvertito – la considera la linea rossa da non oltrepassare. Per il Gna si è tratta di una “dichiarazione di guerra”. 

In una dichiarazione rilasciata nella notte tra lunedì e martedì, il Parlamento di Tobruk, braccio legislativo del maresciallo Haftar, si è detto d’accordo sull’intervento dell’esercito egiziano in caso di minaccia alla sicurezza delle due nazioni. Il giorno dopo, ha confermato il benestare anche il portavoce dell’Esercito di Haftar, Ahmed al Mismari.

Senza dignità

Quanto all’Italia, è meglio stendere un velo pietoso. Globalist ha dato conto della rivolta dell’Ong e delle associazioni umanitarie per il rifinanziamento della cosiddetta Guardia Costiera libica. Un’ondata di indignazione ha travolto soprattutto il Partito democratico e il suo silente segretario, Nicola Zingaretti.  A sintetizzare  con efficacia questa deriva italiana, è il titolo dell’articolo di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, pubblicato dal Corriere della Sera: “Libia, l’Italia non ha coraggio e perde dignità”. Rimarca Riccardi:” Il voto del Pd stupisce, ma non troppo: già nella passata legislatura ha lasciato cadere la cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia. Il vero problema è «svuotare i centri di detenzione»: è una questione da gestire senza paura”.

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E il Pd, che con alcune lodevoli eccezioni, ha votato per il rifinanziamento? Non pervenuto. Roberto Saviano continua chiedere chiarimenti sul decreto missioni che prevede il rifinanziamento della Guardia Costiera libica votato dal Pd, e questa volta lo fa via Twitter. E si rivolge al segretario Nicola Zingaretti: “I militanti del Pd scrivono a Zingaretti per chiedere conto del voto favorevole dei gruppi parlamentari al rifinanziamento degli aguzzini libici che qualcuno, per lavarsi la coscienza, ancora chiama Guardia Costiera libica”. E aggiunge: “Ma il segretario del Pd non risponde. Non risponde a me che ho chiesto conto del cambio di rotta su @repubblica e, peggio, non risponde alla sua base. Ma è normale: lui è lui e per la nomenclatura del Pd i migranti in Libia sono meno di niente”. E conclude: “Il silenzio del segretario del Pd sul rifinanziamento della Guardia Costiera libica può essere interpretato solo come il silenzio dei complici”.

Nel suo articolo del 17 luglio su Repubblica, Saviano c’era andato giù pesante: E per questa tragedia abbiamo un pantheon di responsabili ed è giunto il momento di inserire tra loro il segretario del partito democratico Nicola Zingaretti. Il Pd, sotto la sua guida, ha prorogato, in Consiglio dei ministri, il finanziamento della Guardia costiera libica, ovvero degli aguzzini dell’uomo morto in mare (e di migliaia di altre persone, tra cui molti, moltissimi minori), ovvero dei trafficanti di esseri umani che con i nostri soldi torturano, imprigionato ed estorcono altro denaro ai disperati. L’Assemblea nazionale del Pd aveva votato all’unanimità contro il rifinanziamento, e questo solo cinque mesi fa. Ancora trovate sul sito del Pd, a caratteri cubitali, titoli come questo: ‘L’Assemblea nazionale Pd approva all’unanimità l’odg sulla Libi?”. Allora – sottolinea Saviano – non sarà lecito domandarsi perché il Pd nel Consiglio dei ministri non abbia seguito le indicazioni dell’Assemblea? L’Assemblea nazionale del Pd quindi non conta nulla? Lo immaginavamo e ora ne abbiamo la prova finale. Ma ripeto la domanda al segretario del Pd, la grido: perché i ministri del suo partito hanno tradito la volontà del voto?
Finanziare gli aguzzini libici, per caso, significa prendere parte alla guerra civile libica? Significa tenere un artiglio nel Paese dai cui interessi e dalle cui sorti siamo stati estromessi? Lo si dica apertamente ma non così: mascherando, mentendo, tradendo, sacrificando vite umane. Quando tra qualche anno guarderemo film o leggeremo racconti sull’inferno libico — così ci è capitato vedere i lager nazisti, i gulag sovietici, i campi cambogiani, lo Stadio di Pinochet — dobbiamo ricordarci che l’orrore di oggi ha delle responsabilità. Sui «taxi del mare» di Luigi Di Maio e sulle «crociere» di Matteo Salvini credo di non dover aggiungere nulla, salvo questo: la ferocia di Di Maio e di Salvini non venga utilizzata come paravento da chi ha le medesime responsabilità mentre sbandiera i diritti umani come proprio vessillo…”.

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Venerdì scorso, scrive Nello Scavo su L’Avvenire, “l’Ue ha comunicato che, grazie al piano da 455 milioni, a breve verranno firmati contratti per l’acquisto e la spedizione a Tripoli di sei gommoni veloci da nove metri, mentre sarà indetta una gara d’appalto per altri 14 gommoni. Le prossime consegne, dopo i 30 veicoli donati in occasione della visita del ministro degli Interni Lamorgese, includeranno 40 suv, 13 autobus e 17 ambulanze. In altre parole si rende più efficiente l’apparato per la cattura dei migranti in mare e a terra, mentre in cambio da Tripoli non arriva alcun concreto impegno formale per migliorare le condizioni dei campi di prigionia. Attualmente, 2.234 rifugiati e migranti sono detenuti nei centri di detenzione in Libia. Di questi, 1.211 sono persone più a rischio secondo Unhcr-Acnur. Eppure dall’inizio dell’anno, informa l’agenzia Onu per i rifugiati, sono state intercettate dalle motovedette libiche e riportate a terra 5.650 migranti. All’appello mancano 3.416 persone…”.

A ribadire che l’Onu non può essere usata come un ombrello per le autonome scelte dei governi, erano arrivate le parole di Federico Soda, capo dell’Organizzazione internazionale dei migranti a Tripoli. Se è vero che il 2 luglio l’Italia, come riferito da Di Maio, ha “ottenuto l’impegno del governo libico a modificare il memorandum”, è altrettanto vero che nelle due settimane successive non c’è stato alcun gesto di buona volontà.

“Si dovrebbe parlare più della fine della detenzione arbitraria che c’è in Libia e della fine di queste condizioni inaccettabili», ha detto Soda intervenendo su Radio Vaticana. ”Gli abusi sono ben documentati, ben raccontati e, nonostante la consapevolezza di tutti, continuano – denuncia il referente dell’agenzia Onu –. È questo che preoccupa, è questo che è grave, come è possibile che non si possa mettere fine a questa situazione?”, e soprattutto “dal terrore che le persone si imbarchino e arrivino in Europa”.

Sono le milizie libiche, dunque, a dettare le condizioni, osserva ancora Scavo. “Perciò sarà interessante notare se l’approvazione dei nuovi fondi italiani modificherà temporaneamente la frequenza delle partenze dalla Libia e dalla Tunisia, dove i boss libici stanno gradualmente spostando i loro interessi”.

Con buona pace degli improbabili “sanzionatori”.

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