Il dilemma delle banche centrali per fronteggiare l’alta inflazione
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Il dilemma delle banche centrali per fronteggiare l’alta inflazione

Dai primi mesi del 2022, l’inflazione europea e mondiale, oltre a raggiungere bruscamente livelli del tutto inaspettati, ha perso, a giudizio di tutti gli esperti, quel suo aspetto di transitorietà che gli era stato attribuito inizialmente.

Il dilemma delle banche centrali per fronteggiare l’alta inflazione
Il palazzo della Bce
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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

16 Dicembre 2022 - 17.02


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Nel corso della crisi pandemica acuta, il mondo si è trovato, dopo un decennio di ciclo economico caratterizzato da bassa inflazione e da politiche monetarie ultra accomodanti, in una fase di risorgimento del deprezzamento monetario che tutte le banche centrali del mondo hanno definito, per molti mesi, “transitorio”, essendo riconducibile a fenomeni non monetari.

Dai primi mesi del 2022, l’inflazione europea e mondiale, oltre a raggiungere bruscamente livelli del tutto inaspettati, ha perso, a giudizio di tutti gli esperti, quel suo aspetto di transitorietà che gli era stato attribuito inizialmente.

Siamo pertanto entrati in una fase in cui gli squilibri provocati dalle misure di contrasto alla pandemia nell’ultimo biennio sono diventati l’elemento di attenzione prevalente nelle scelte di politica monetaria delle banche centrali; squilibri che esse stesse avevano contribuito a determinare assecondando, in forma generalizzata, la fase di “dominanza fiscale” dei governi (bonus a pioggia, agevolazioni fiscali su larga scala,  associate a politiche di bilancio e monetarie ultra espansive) che aveva caratterizzato il 2020 ed il 2021.

Dopo aver sperimentato pressioni inflazionistiche molto più elevate del previsto, le banche centrali si sono trovate di fronte ad un dilemma:

  1. intervenire in modo molto duro, adottando criteri Tayloriani di contrasto all’inflazione, ossia con tassi di interesse reali che raggiungono in tempi rapidi un livello di “neutralità” inflattiva ma che rischiano di provocare una crisi economica e sociale con conseguenti problemi anche di ordine pubblico?
  2. o intervenire con un approccio morbido, rischiando che l’incendio inflattivo continui ad avanzare, innescando dinamiche fuori controllo? 

Il dilemma trova le sue origini anche nelle molteplici cause/effetti che hanno originato l’attuale scenario inflazionistico che possono essere così identificate:

  • l’aumento esponenziale dei prezzi dell’energia, delle materie prime e dei prodotti alimentari;
  • la combinazione di una guerra e di sanzioni al principale fornitore mondiale di combustibili fossili;
  • il caos nella global supply e value chains e le strozzature conseguenziali diffuse dal lato dell’offerta;
  • la disarticolazione e i colli di bottiglia nei sistemi logistici e distributivi;
  • il disallineamento tra domanda e offerta post pandemia;
  • l’eccesso di risparmio;
  • la carenza di lavoratori particolarmente accentuata in alcuni settori;
  • la frammentazione geoeconomica;
  • la tenuta delle produzioni agricole dovuta ai cambiamenti climatici;
  • le aspettative generalizzate di rialzo continuo dei prezzi.

Su questa diagnosi che vede una rara convergenza di calamità ed un’alta inflazione che da transitoria, come si pensava originariamente, possa diventare endemica, minacciando seriamente la stabilità finanziaria, tutti gli esperti concordano.

Per contro, sulle terapie, che trascendono in ogni caso i confini nazionali, le posizioni sono sostanzialmente polarizzate su due correnti di pensiero prevalenti.

La prima ritiene che accettare una dinamica dei prezzi nettamente superiore agli obiettivi di stabilità rappresenta un prezzo da pagare per sostenere la crescita. Questi economisti capeggiati dal premio Nobel Stiglitz ritengono in pratica che contenere l’eccesso di domanda mediante l’aumento dei tassi d’interesse non sarebbe la scelta più opportuna a causa dei gravi problemi esistenti dal lato dell’offerta, e avrebbe l’effetto certo di aggravare la crisi economica globale. Essi ritengono che la lotta all’inflazione, nell’attuale contesto, vada condotta: assegnando un ruolo maggiore alle politiche di bilancio nella eliminazione delle strozzature dell’offerta, da attuare attraverso nuovi investimenti pubblici e favorendo quelli privati; con la crescita della concorrenza del mercato e del commercio mondiale; con il contrasto alle posizioni dominanti sui mercati; e con lo sviluppo di politiche sociali e per l’ambiente. 

La seconda corrente sostiene che creare aspettative di politica monetaria negli operatori economici non ancorate alla stabilità dei prezzi, aggraverebbe la situazione attuale, espandendo l’incendio inflattivo e ciò comporterebbe il ritorno obbligato a lunghi anni di restrizioni della domanda, prima di ritornare ad una fase di politiche monetarie non restrittive o accomodanti. In questa ottica, secondo questa teoria (coerente con le teorie di J. Taylor che prevedono di adeguare in modo rigido i tassi d’interesse reali agli shock inflazionistici), i tassi di interesse reali attuali sono troppo bassi per frenare l’inflazione. Per questi economisti capeggiati da L. Summers, la politica di bilancio in questa fase dovrebbe comunque essere indirizzata a finanziare investimenti ad alto rendimento sociale.

Allo stato attuale, la FED sembra essere orientata a fronteggiare l’alta inflazione perseguendo un approccio ortodosso che implica l’adozione di politiche monetarie adeguatamente restrittive fino a placare in modo tendenzialmente adeguato le spinte inflazionistiche nocive per la stabilità economica e finanziaria. La BCE appare leggermente più prudente e riflessiva ma il suo orientamento non sembra discostarsi di molto da quello della FED se la situazione di alto livello del tasso di inflazione (5 punti superiore al picco degli ultimi 30 anni) continuerà a persistere. Su entrambi i versanti i policy makers degli stati sembrano attribuire una funzione egemonica alle politiche monetarie per contrastare le pressioni inflazionistiche, rispetto ad altre opzioni eventualmente possibili, nel presupposto (illusorio) che i banchieri centrali detengano una specie di onnipotenza nelle possibilità d’intervento incisivo sull’economia reale.   

Tuttavia, nello scenario in atto, dove l’incertezza diventa sempre più il dato più certo, rimane un dato di fondo incontrovertibile: se le cause dell’inflazione non sono univoche, le soluzioni non possono essere univoche. Se l’inflazione attuale non ha origini solo monetarie, le azioni di contrasto non possono essere solo di natura monetaria, portando esse, come noto, effetti collaterali non trascurabili. L’aumento rapido e corposo dei tassi d’interesse, infatti, inasprisce le condizioni dei finanziamenti, mette tensione su famiglie ed imprese troppo indebitate, può generare forti restrizioni del credito, provocare una crescita esponenziale delle crisi d’impresa con conseguenti shock occupazionali e in tal modo si possono deprimere ulteriormente e pesantemente le economie già stagnanti. Se le strozzature dal lato dell’offerta dovessero persistere (una ipotesi altamente probabile in assenza di interventi mirati), le politiche monetarie restrittive potrebbero rivelarsi non solo infruttuose ma anche essenzialmente dannose per l’economia nel suo insieme, in quanto lo spettro di un’alta inflazione e una stagnazione economica potrebbe manifestarsi presto e consolidarsi nel tempo, rendendo estremamente complesso riuscire a trovare strumenti efficaci di contrasto.

Peraltro, in una tale situazione i paesi a più alto debito pubblico, potrebbero vedere accrescere la loro vulnerabilità ed essere costretti ad adottare politiche di austerità per mantenere la loro capacità di rifinanziare il proprio debito sui mercati.

Tuttavia, anche le politiche basate essenzialmente sugli interventi mirati sul fronte dell’offerta presentano forti aspetti di debolezza. Essi sono intimamente legati al fattore tempo. Servono infatti tempi lunghi per ristabilire una maggiore integrazione internazionale delle economie, ridurre le barriere agli investimenti, eliminare tutti i problemi di rottura delle catene distributive, logistiche e di approvvigionamento di materie prime che la pandemia e la guerra hanno fatto emergere in modo dirompente; e nel frattempo se l’incendio inflattivo non viene contenuto, potrebbe espandersi ed entrare effettivamente in una dinamica fuori controllo. 

In definitiva la situazione attuale richiede un approccio combinato delle due scuole di pensiero, da attuare:

  1. con politiche di contrasto all’inflazione nociva sia monetarie che non monetarie, possibilmente concertate a livello di G20 in forma permanente fino al superamento delle maggiori criticità contingenti;
  2. con interventi di contrasto alla speculazione; libero mercato non può sempre ed in ogni circostanza declinarsi con libera speculazione; in fasi di shock avversi le attività speculative andrebbero sottoposte ad adeguate limitazioni, a livello globale, tali da evitare le amplificazioni dei fenomeni ad essi connessi;
  3. una gestione dinamica delle politiche di bilancio che privilegino investimenti in innovazione tecnologica, intelligenza artificiale, tutela dell’ambiente e crescita della produttività, utilizzando prevalentemente, ove richiesto per evitare squilibri, la tassazione degli utili inaspettati delle imprese;
  4. canalizzazione dell’eccesso di risparmio privato verso il finanziamento di investimenti che favoriscono la crescita della competitività e della ricchezza sociale.

E a prescindere da quello che potrà essere deciso a livello globale che al momento può essere e può rimanere, ad evidenza, solo un ardente auspicio, a livello nazionale, l’Italia, essendo un paese con i rischi di instabilità maggiori tra il gruppo dei paesi del G7, dovrebbe porsi come strategia di fondo della propria politica economica gli interventi strutturali, e primo fra tutti la crescita del livello di competitività del paese, nel suo complesso. Convogliando su questo obiettivo buona parte delle risorse disponibili e/o individuabili con approcci non convenzionali. Altrimenti la “Nave Italia” (figura evocata di recente dal nuovo Presidente del Consiglio), è destinata a restare pericolosamente in balia delle acque tempestose che caratterizzano in modo chiaro gli scenari economici mondiali attuali. E con poche ancore per resistere adeguatamente prima di approdare in un porto sicuro.  

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