Ucraina, Borse in calo, gas e petrolio alle stelle a causa dell'ipotesi di embargo alla Russia
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Ucraina, Borse in calo, gas e petrolio alle stelle a causa dell'ipotesi di embargo alla Russia

Le possibili sanzioni europee e americane nei confronti di Mosca portano ad un calo delle quotazioni nelle Borse. Lo stop alla Russia colpirebbe il 5% delle forniture globali di greggio

Ucraina, Borse in calo, gas e petrolio alle stelle a causa dell'ipotesi di embargo alla Russia
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7 Marzo 2022 - 11.06


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La crisi in Ucraina ha forti ripercussioni sull’economia mondiale, e il prezzo di gas e petrolio sale, a fronte del possibile embargo nei confronti della Russia. Le Borse, dominate da timori e preoccupazioni relative alla guerra in Ucraina, registrano un nuovo calo, mentre continua il rialzo delle quotazioni di gas e petrolio: lunedì mattina il gas ha toccato il massimo storico di 230 euro per megawattora, e con l’annuncio Usa di un possibile embargo – insieme all’Ue – al petrolio russo il prezzo del greggio ha ripreso a salire (mentre in Italia la benzina ha sfondato quota 2 euro al litro anche in modalità self e il diesel è ai massimi dagli anni Ottanta). E contemporaneamente continuano a crescere anche le quotazioni delle materie prime, in particolare il nichel e il palladio, ma anche oro, alluminio e rame.

Ma che cosa accadrebbe se la paventata messa al bando del petrolio russo si concretizzasse con sanzioni europee e americane? Secondo un’analisi del Financial Times, lo stop colpirebbe il 5% delle forniture globali di greggio e il 10% dei prodotti raffinati. Ma anche se non si arrivasse a un embargo, le sanzioni già decise contro Mosca hanno determinato un fuggi-fuggi di imprese, investimenti e tecnologie che può comunque danneggiare le capacità di produzione russa.

Secondo il quotidiano economico americano, le impennate dell’oro nero potrebbero essere destinate a proseguire come già accaduto nel 2008, anno del precedente picco di prezzo del petrolio: allora la Russia stava per invadere la Georgia e i Paesi occidentali premevano sull’Arabia Saudita, primo produttore globale e dell’Opec, per aumentare l’offerta e cercare di contenere le quotazioni.

La crisi attuale, però, arriva dopo una lunga fase in cui, a seguito delle scelte di transizione energetica e “green”, in molti Paesi gli investimenti in nuova produzione sono stati frenati e le forniture non tengono in passo della domanda. In questo modo, in un tempo relativamente breve si è passati dalla convinzione che la rivoluzione su petrolio e gas di scisto Usa avesse creato un’era di abbondanza delle forniture a una situazione diametralmente opposta.

Il Financial Times cita quindi le previsioni di un analista che si spinge a ipotizzare un barile a 200 dollari. Ma menziona anche fattori sul versante opposto, in particolare la possibilità che una delle ricadute della guerra in Ucraina sia un pesante indebolimento dell’economia, che freni anche la domanda di greggio. Senza contare che un eventuale accordo diplomatico con l’Iran sbloccherebbe ulteriori forniture. Ma tra i fattori che aumentano l’imprevedibilità dei prezzi ci sono anche i forti stimoli all’economia che arrivano dopo la crisi innescata dalla pandemia, e che potrebbero far pensare agli operatori che vi siano margini per assorbire altri rialzi.

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