Il debito pubblico dell’Italia è sostenibile?
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Il debito pubblico dell’Italia è sostenibile?

Dopo ciò che sta succedendo nell’economia reale e dopo gli interventi che lo stato sta mettendo in campo, ricorrendo a nuovo indebitamento, molti si stanno chiedendo se sarà possibile rientrare

Conte e Gualtieri
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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

30 Aprile 2020 - 16.30


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Leggendo il Documento di Economia e Finanza del 2020 a pag17 si trova questo passaggio: “il debito pubblico dell’Italia è sostenibile e il rapporto debito/pil verrà ricondotto verso la media dell’area euro nel prossimo decennio, attraverso una strategia di rientro che oltre al conseguimento di un congruo surplus del bilancio primario si baserà nel ritorno degli investimenti, pubblici e privati, grazie anche alla semplificazione delle procedure amministrative. Tanto maggiore sarà la credibilità delle riforme strutturali messe in atto, tanto minore il livello dei rendimenti sui titoli di stato, agevolando il processo di rientro.”

A seguito di ciò che sta succedendo nell’economia reale e dopo tutti gli interventi che lo stato italiano sta mettendo in campo, ricorrendo a nuovo indebitamento, molti italiani (e non solo), per varie ragioni, si stanno chiedendo se questa affermazione è davvero credibile.

I motivi di questa preoccupazione derivano dal fatto che:

 

molti italiani sono, per via diretta o indiretta, possessori di titoli di stato; per questo temono per la stabilità dei loro risparmi in generale e si domandano come proteggersi;

 

molti altri sono preoccupati (giustamente) dalle gravi conseguenze  che potrebbero essere associate ad un eventuale default del debito italiano e si domandano cosa si può fare per scongiurare una tale terribile eventualità.

 

Come per altri interrogativi che abbiamo affrontato durante questa crisi cerchiamo di dare una risposta provando a fare un’analisi di sintesi sugli aspetti basilari del tema in argomento.

Seguendo questo schema possiamo in primo luogo focalizzare l’attenzione su alcune importanti considerazioni di principio.

La prima considerazione da fare è la seguente: qual è il debitore che dice che il proprio debito non è sostenibile?

Tutti i debitori ritengono e sostengono, fino a quando la bancarotta non diventa conclamata che il loro debito è sostenibile, e si affannano a trovare argomentazioni per giustificare la loro convinzione per non perdere la possibilità di continuare a ricevere i finanziamenti di cui hanno un forte bisogno.

Sulla base di questa prima considerazione possiamo innanzitutto stabilire che un giudizio attendibile sulla sostenibilità di un debito non può derivare dai debitori ma dai creditori e dalla formazione del loro giudizio indotto da valutatori indipendenti.

Sono i creditori e gli investitori che stabiliscono quando il debito diventa insostenibile ed il loro giudizio è l’unico che conta veramente.

Tale principio è valido erga omnes e quindi anche per uno stato.

Nel caso di uno stato, i creditori, gli investitori e le agenzie di rating, nelle loro valutazioni sulla rischiosità di un debito pubblico concentrano la loro attenzione su un parametro fondamentale: la crescita del pil in termini quantitativi e qualitativi; se il pil, che rappresenta la fonte delle  entrate per lo stato, tende a crescere ad un ritmo più sostenuto della crescita del debito, la loro fiducia sale ed ovviamente avviene il contrario negli scenari diversi; tenendo presente che lo scenario peggiore è quello in cui il debito aumenta vertiginosamente ed il pil cala in misura consistente: come nella situazione in atto.

Un’altra considerazione da fare è quella sulla effettiva sussistenza del problema.

Se uno stato nei propri documenti ufficiali sente il bisogno di affermare che il proprio debito è sostenibile e gli esponenti del governo lo dichiarano a più riprese pubblicamente, vuol dire che il problema sussiste perché è lo stesso debitore a porlo e/o ad affrontarlo.

Una terza considerazione da fare nella catena del ragionamento che stiamo seguendo è che il tema della sostenibilità del debito viene riportato nello stesso identico modo nei documenti programmatici dei governi sin dal 2008 (prima grande crisi degli ultimi anni) fino ad oggi; e cioè da quando avevamo un rapporto debito/pil del 102%, il nostro debito era di 1670 miliardi di euro ed i giudizi delle agenzie di rating cominciavano a scendere.

A fine 2020 saremo, secondo le previsioni presenti nel DEF, a 155.7% nel rapporto debito/pil   ed il volume del debito sarà vicino a 2600 miliardi di euro (+ 54% di incremento in valore assoluto negli ultimi 12 anni, su 75 anni di storia repubblicana), mentre il valore del pil sarà allo stesso livello del 2008  (1670mld).

Se continuiamo a dichiarare che il nostro debito si mantiene sempre sostenibile perché abbiamo intrapreso azioni di contenimento, ma poi la situazione peggiora notevolmente, c’è un problema che tende certamente a crescere, ed è quello della nostra credibilità.

Abbiamo un rapporto debito/pil che è di oltre 50 punti percentuali superiore alla media dei paesi europei, di oltre  75 punti percentuali superiore a quello della Germania, siamo il terzo paese più indebitato al mondo da molto tempo e continuiamo ad affermare che il nostro debito è sostenibile; trascurando di evidenziare che “sostenibile” non significa essere in un area di sicurezza e soprattutto di  rimarcare che occorrono piani ed interventi straordinari urgenti per uscire da una situazione molto insidiosa. 

Una quarta considerazione che va fatta, come conseguenza delle prime tre è che a fronte di queste dichiarazioni contenute nei DEF, alquanto autoreferenziali, non è mai stata indicata qual è la soglia che demarca il confine della sostenibilità da quello della insostenibilità.

Questa carenza segnaletica potrebbe portare a credere che siamo in grado di affrontare il peggioramento della situazione senza particolari preoccupazioni, ritenendo possibile allargare a nostro piacimento la linea del confine, in qualunque scenario, tanto c’è la BCE che può sempre risolvere i nostri problemi finanziari.

Questa supposizione è fondamentalmente sbagliata in quanto quella linea la tracciano altri soggetti (creditori, investitori ed agenzie di rating) sulla base delle valutazioni condotte su un insieme di fattori endogeni ed esogeni alle politiche intraprese dai governi e che possono cambiare improvvisamente in relazione agli eventi straordinari che si verificano nello scenario globale.

Di conseguenza è evidente che la sostenibilità di un debito statale è un concetto tanto più aleatorio quanto più alto è il livello di indebitamento raggiunto e quanto più debole è la consapevolezza della governance politica che occorrono misure straordinarie per allontanare i rischi gravosi correlati ad una situazione di alta vulnerabilità.

La quinta ed ultima considerazione preliminare che facciamo sulla soglia che stiamo cercando di individuare è che essa si determina oltre che su base oggettiva anche su base soggettiva; quest’ultima si ha quando, permanendo condizioni di criticità croniche, si forma una convinzione diffusa tra gli stakeholders che la situazione di difficoltà economica-finanziaria di uno stato non è più nè reversibile nè sanabile senza consistenti aiuti pubblici esterni.

Sulla base delle considerazioni precedenti possiamo quindi stabilire qual è questa soglia in termini concreti? Si può attribuire un valore definito? E quanto siamo vicini?

Per arrivare a definire la risposta conclusiva dobbiamo aggiungere alcune precisazioni essenziali che riguardano le peculiarità del debito di cui stiamo parlando.

 

Il debito di uno stato, normalmente, se contratto verso investitori privati, si rimborsa attraverso l’assunzione di altro debito, e a differenza di quanto avviene nel settore privato non contempla rate di rimborso tra l’accensione del debito e la sua scadenza.

 

Il debito di volta in volta assunto, verso investitori privati, può avere scadenze molto corte o molto lunghe e in ogni caso mantiene sempre la stessa caratteristica, viene rimborsato alla scadenza mediante la emissione di nuovi titoli di stato. Questo rappresenta un bel vantaggio per il debitore stato, determinato dal fatto che se peggiorano le sue condizioni economiche, il creditore non può chiedere il rimborso anticipato del proprio credito, così come avviene nel settore privato.

Ciò implica che tranne rarissime eccezioni, i debiti pubblici degli stati nel mondo tendono sempre a crescere in valore assoluto parallelamente allo sviluppo del pil in valore nominale.

Una dinamica che rimane valida ed accettata fino a quando si rimane dentro il confine della sostenibilità.

Il livello del debito pubblico in rapporto al pil per gli stati rappresenta quindi un indicatore molto importante della loro solidità e della loro capacità di assorbire shock avversi. Uno stato con un debito pubblico basso rispetto alla ricchezza prodotta ha molte riserve per finanziare il rilancio della propria economia e per attenuare gli impatti sociali che si susseguono alle fasi  recessive acute del ciclo economico; al contrario uno stato con un alto debito pubblico ha spazi di manovra molo limitati, subisce pesanti contraccolpi negativi nelle fasi di contrazione del pil su vasta scala e rischia di entrare in un circolo vizioso con vie d’uscita molto ristrette.   

Il debito italiano prima della crisi epidemiologica si attestava su un livello di circa 2400 miliardi (134% del pil) e aveva una durata media di circa 8 anni. Pertanto le scadenze del debito italiano sono per la parte maggiore di lunga durata, per cui il governo si deve preoccupare di rifinanziare solo il debito in scadenza nell’anno (circa 300 mld nel 2020). Di conseguenza se lo spread dovesse tendere a salire in modo esponenziale, fino ad esempio a 500 punti base, questo maggior onere si rifletterebbe solo sul debito in scadenza da rinnovare, limitando così l’impatto del maggior costo di interessi sul bilancio dell’anno in cui lo spread si mantiene così alto. Sotto tale profilo il debito italiano risulta abbastanza protetto da rialzi dello spread non eccesivi, perché ci sarebbe il tempo per ricreare le condizioni per un suo ridimensionamento attraverso sane politiche di bilancio.

E siamo così arrivati a toccare un aspetto estremamente sensibile per delineare le nostre risposte. Questo riguarda il volume degli interessi annui che uno stato paga sul volume del debito accumulato. Se questo volume è già molto elevato e il suo trend di crescita diventa troppo consistente, diventa estremamente complesso ridurre il rapporto debito/pil ed il raggiungimento della soglia della insostenibilità si avvicina pericolosamente.

A questo punto, stabilito quali sono i fattori oggettivi e soggettivi che influenzano il problema della sostenibilità del debito possiamo dare dare una prima risposta certa: la soglia di cui stiamo parlando è una soglia mobile e dipende essenzialmente da tre elementi basilari di contesto:

  1. volume del debito raggiunto rispetto al pil;
  2. prospettive future di sviluppo del pil in correlazione allo sviluppo del debito;
  3. condizioni complessive del mercato finanziario (spread, liquidità e percezione del rischio da parte degli investitori).

Su quest’ ultimo aspetto gioca un ruolo fondamentale la BCE; tuttavia, se le variabili descritte nei punti “a” e “b” continuano a deteriorarsi, anche l’azione della BCE può diventare inefficace.

Ritornando ad esaminare il caso specifico del nostro paese, abbiamo da almeno 30 anni un livello di interessi che dobbiamo spesare nel bilancio elevatissimo (quasi sempre il doppio della media dei paesi europei), tuttavia nello stato attuale delle cose, fino a quando permane una situazione di forte sostegno da parte della BCE, data la forza complessiva della nostra economia, siamo ancora in grado di fronteggiare un aumento del costo del debito attraverso un aumento delle entrate (imposte) e/o una riduzione delle spese.

 

Quindi possiamo acquisire un’altra risposta; il nostro debito, anche in virtù delle sue caratteristiche di composizione (scadenza media lunga), nello stato attuale, grazie al sostegno assicurato dalla BCE, può essere ancora “sostenibile” purchè si verifichino  due condizioni:

  1. che il governo voglia e abbia la forza di attuare una politica convincente di riequilibrio del bilancio di lungo termine;
  2. e che abbia la capacità di attuare riforme incisive per realizzare una congrua crescita del potenziale di sviluppo della ricchezza (PIL).

Senza l’avvio rapido di queste azioni anche con la permanenza del sostegno della BCE la soglia in questione si avvicinerà molto rapidamente.

 

In definitiva possiamo giungere alle seguenti conclusioni finali:

  1. il debito dello stato italiano è nonostante le evoluzioni determinate dalla crisi in corso ancora “sostenibile”;
  2. ci siamo avvicinati comunque notevolmente alla soglia di insostenibilità per effetto dell’incremento consistente del volume del debito che dobbiamo necessariamente assumere per salvare la nostra economia, e non siamo mai stati così vicini negli ultimi 100 anni;
  3. se non utilizzeremo in modo efficace il nuovo indebitamento assunto e se non adotteremo con la massima tempestività adeguate politiche di rilancio e di risanamento, l’insostenibilità diventerà entro un breve tempo (mesi e non anni) un fatto conclamato (vedi articolo del 4.4.2020 “la guerra in economia la vinceremo con le nostre forze: 15 midure da mettere in campo”).

 

E in tal caso gli effetti conseguenziali, in termini di un generale e profondo impoverimento del paese, sarebbero devastanti.

L’acquisizione di queste consapevolezze al livello dei policy makers è un prerequisito, ora più che mai, fondamentale per riprendere un percorso di sano sviluppo. 

Ancora possibile grazie alle virtù del nostro sistema imprenditoriale e alla consistenza delle nostre ricchezze private che anche per tale motivo dobbiamo salvare a tutti i costi.

Ma dal dibattito politico in corso, l’aspettativa di vedere comprendere finalmente che al punto in cui ci troviamo servono solo politici con un alto senso dello stato e non esperti di cattura del consenso, continua a rimanere, al momento, solo una bella speranza.

 

 

 

 

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