Nello Schiaccianoci “urban” del Balletto di Roma (dal 18 al 20 dicembre all’Auditorium Conciliazione), Massimiliano Volpini – regista e coreografo – sposta la fiaba fuori dai salotti: al posto della casa borghese, una periferia metropolitana abitata da ragazzi senzatetto, separata dal centro da un muro. È lì che nasce l’eroe-Schiaccianoci: non un giocattolo incantato, ma la promessa di attraversare le barriere della povertà e finire, per una volta, “dall’altra parte”. Nel nuovo allestimento 2025 entra in scena Tommaso Stanzani. Tommaso, già protagonista ad Amici (2020), volto di Viva Rai 2 con Fiorello tra 2023 e 2024 e dal 2024 protagonista e co-protagonista di Bellamà su Rai 2 con Pierluigi Diaco, è qui nel ruolo di Drosselmeyer.
Con lui abbiamo parlato di pregiudizi, disciplina, emozione e del corpo come unico vero curriculum quando si chiudono le quinte.
Quando hai capito che non ti bastava più essere “Tommaso di Amici”?
In realtà non ho mai avuto l’ambizione di essere solo “il ragazzo Tommaso di Amici”. Amici io l’ho visto come un inizio, non come un punto di arrivo. Quindi sicuramente è stato l’inizio di tutto ciò che ho fatto successivamente, ma non ho sono mai sentito, onestamente, che ci fosse un solo Tommaso Stanzani. Anche perché ho sempre sperimentato e spaziato in diversi ambiti.
Il mondo della danza, spesso, è ostile a chi non ha una formazione strettamente accademica. Ti sei sentito giudicato, passando dalla tv al classico? Hai dovuto dimostrare di valere il doppio rispetto agli altri?
Sì. Io non penso che ci sia danza di serie A e di serie B. Sono semplicemente due mondi differenti: televisione, teatro, classico. Però bisogna essere onesti: chi viene dal mondo più commerciale viene additato come ballerino “più debole” rispetto a chi ha studi accademici. Quindi sì, ho dovuto dimostrare che ero riuscito a studiare e a recuperare tutta una parte di studio, anche solo teorico.
Quando andavo in sala con un coreografo, all’inizio mi rendevo conto che, quando mi parlavano delle sequenze di passi, mi guardavano come per dire: “capisci cosa intendo?”. E invece sì, capisco.
Quando mi presento in sala sono rispettoso, pronto, non mi faccio mai ripetere le cose due volte. Non è stata un’impresa titanica dimostrare che riesco a stare al passo. Non è facile, però se uno sta lì con la testa, questi pregiudizi non sono impossibili da far cambiare.
Il tuo primo giorno in sala col Balletto di Roma: hai mai pensato “mollo”? Un momento in cui hai detto “ma chi me l’ha fatto fare”?
No, nel caso del Balletto di Roma no. La verità è che sono anche più grande. I ragazzi mi hanno accolto con gentilezza. Ovvio: all’inizio, quando ho iniziato a fare la sbarra di classico, con colleghi diplomati alla Scala o in in altre accademie, alcune differenze si notavano… Quando sei in plié alla seconda e vedi che le tue anche non sono ruotate perfettamente come quelle degli altri, un pochino dici: “cavolo, ma io…”.
Poi però la danza è anche altro: non è solo l’esercizio eseguito in maniera perfetta, è anche emozione. E al Balletto di Roma fanno un lavoro sull’interpretazione e sull’emozione molto bello. Mi sono trovato subito… forse un po’ i muscoli… era da un po’ che non facevo tutti i giorni allenamenti alla sbarra e alcuni muscoli che non li sentivo da un po’; adesso li risento tutti!
Volpini cosa ti ha chiesto su Drosselmeyer: più virtuosismo, più recitazione? Qual è stato il suo approccio?
Un po’ di tutto. Nel primo atto abbiamo lavorato molto sull’interpretazione, per dare un senso anche di paura, di angoscia, al momento iniziale dei bambini che giocano fra di loro: io entro in scena in maniera un po’ cupa.
Dal secondo atto in poi c’è anche la parte più virtuosistica: è quella faccio un passo a due di classico con la ragazza sulle punte. Volpini ha richiesto un po’ di tutto.
Cosa significa fisicamente passare dal linguaggio accademico all’energia “street” che Volpini ha messo dentro questo Schiaccianoci?
Per me sono due linguaggi completamente diversi che però insieme si sposano alla perfezione. L’eleganza del balletto classico, una linea che forma il corpo, è messa in contrapposizione con la forza e gli scatti delle danze più hip hop, più street: il risultato è potente. Io stesso mi sono sorpreso di quanto mi piacesse vedere quei movimenti così forti e veloci sulle musiche di Čajkovskij.
Se tra dieci anni un ragazzo ti dicesse: “ho iniziato a danzare perché ti ho visto in questo Schiaccianoci”… cosa speri ricordi di te?
In realtà mi è capitato: un ragazzo mi ha detto già che ha iniziato a ballare vedendomi.
Ovviamente a me fa solo piacere: se riesco anche minimamente a trasmettere un po’ di passione a qualcun altro, allora dico: ok, forse sto facendo la cosa giusta, forse è meglio continuare per questa strada nel mondo dell’arte.
Amici è sicuramente un talent commerciale, ma ha aperto le porte alla danza maschile…
Sì: Amici è l’unico che dà possibilità alla danza, perché gli altri sono quasi solo canto. Rispecchia anche la società: molti ragazzi hanno iniziato a ballare guardando Amici e quindi adesso non è così strano vedere i ragazzi che fanno danza.
Tutti abbiamo amato Nureyev, Baryshnikov…amiamo Bolle, però quando un figlio ti dice “faccio danza”…
Sì, è vero, sembra strano. Però quello è un controsenso della vita in generale. Oggi è un dato di fatto che sempre più ragazzi decidano di studiare danza