"Giuseppe Tallarita - Un sogno spezzato", il libro di Valerio Esposti con la prefazione di Moni Ovadia
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"Giuseppe Tallarita - Un sogno spezzato", il libro di Valerio Esposti con la prefazione di Moni Ovadia

Nella prefazione, Moni Ovadia scrive: “conoscere la storia di questo grande uomo è un’opportunità che nessuno dovrebbe perdere.” L’artista, amico di lunga data della famiglia, conosceva la vittima.

"Giuseppe Tallarita - Un sogno spezzato", il libro di Valerio Esposti con la prefazione di Moni Ovadia
Lo scrittore Valerio Esposti e il libro "Giuseppe Tallarita - Un sogno spezzato"
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24 Agosto 2023 - 12.39


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Giuseppe Tallarita era un pensionato, ex impiegato al petrolchimico di Gela. Aveva 66 anni e un amore smisurato per la sua famiglia: la moglie, i figli, gli adorati nipoti. Abitava a Butera, un piccolo centro in provincia di Caltanissetta.

Nella prefazione, Moni Ovadia scrive: “conoscere la storia di questo grande uomo è un’opportunità che nessuno dovrebbe perdere.” L’artista, amico di lunga data della famiglia, conosceva la vittima.

Fece enormi sacrifici e investì parecchie risorse in un podere nelle vicine campagne; al centro dei campi dominava una casa che divenne il luogo in cui custodire i momenti e gli affetti più cari. Coltivava un sogno che cresceva di anno in anno, come i suoi ulivi: godersi serenamente la vecchiaia in quel piccolo angolo di quiete vicino al mare e vedere i suoi nipoti crescere. Un sogno spezzato da mani crudeli e criminali.

Venne trovato morto il 28 settembre 1990 di fronte alla sua tenuta. Lo uccisero due killer agli ordini di un boss della “Stidda” (dopo Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Cosa Nostra, viene considerata la ‘quinta mafia’); l’allora pastore che qualche anno prima si vide rifiutare il transito abusivo del gregge, più volte reiterato nel tempo. Quel rifiuto, a distanza di anni, fu pagato con la vita. Un uomo semplice e giusto, ucciso per non aver ceduto alla prepotenza, per aver saputo dire ‘No!’ alla sopraffazione.

L’autore, Valerio Esposti, racconta il processo creativo dell’opera. “Questo progetto è iniziato quando il mondo si è fermato: a gennaio 2020 Rosy Tallarita (nipote di Giuseppe, abita con la famiglia a Peschiera Borromeo, in provincia di Milano) mi propose di scrivere un libro sulla storia di suo nonno. Al termine di una breve chiacchierata, accettai immediatamente, convinto del fatto che la vicenda meritasse senza dubbio di essere raccontata in un libro”.

“Nel marzo 2020, in piena pandemia, cominciai a intervistare alcuni parenti di Giuseppe Tallarita, a partire da Rosy. Videochiamate, telefonate, messaggi, e-mail: niente incontri di persona, a causa del lockdown”.

“I contatti con i familiari furono assidui e produttivi: molteplici le testimonianze, che si rivelarono ben presto un valido supporto al mio lavoro. Non appena possibile (estate 2020) mi recai a Butera, il paese dove si svolsero i fatti; vidi i luoghi, andai ovviamente anche in contrada Desusino, oggi splendida tenuta circondata da ulivi (la realizzazione del sogno di Giuseppe Tallarita)”.

“C’è una parte nel libro in cui a un certo punto smetto i panni dello scrittore e torno a indossare quelli del giornalista. Approfondisco, cerco e consulto svariati documenti: sono consapevole del fatto che per ricostruire la storia del loro congiunto, le testimonianze dei parenti non sarebbero bastate, per quanto preziose e utili. Realizzo la necessità di realizzare un’inchiesta, basandomi su molteplici fonti. Sentenze, articoli di giornali che risalgono agli anni ’90, libri che ho letto prima e durante la stesura del libro”. 

“Con grande pazienza ascolto diverse deposizioni del processo ‘Livatino Ter’: sento che cosa dicono i boss. Fanno nomi e cognomi, rivelano episodi e circostanze. Prendo nota di tutto, comincio a “scavare” e focalizzo l’attenzione sulla Stidda, una consorteria criminale che alla fine degli anni ’80 in una parte della Sicilia decide di sfidare lo strapotere di Cosa Nostra, allora capeggiata da Totò Riina”.

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