Dai Fasci di combattimento alla nascita della dittatura fascista
Top

Dai Fasci di combattimento alla nascita della dittatura fascista

Una breve panoramica storia dalla nascita dei Fasci di Combattimento alla marcia su Roma e poi al delitto Matteotti fino all'instaurazione della dittatura

Dai Fasci di combattimento alla nascita della dittatura fascista
Preroll

globalist Modifica articolo

6 Giugno 2023 - 09.20


ATF

La Prima Guerra Mondiale aveva prodotto effetti destabilizzanti non solo sul piano geopolitico, con ad esempio la fine dell’Impero Asburgico, la Rivoluzione Russa e la pace punitiva imposta alla Germania, ma cambiamenti sociali profondi.

Nell’Italia del dopoguerra, provata economicamente, si assisteva a un inasprimento delle tensioni sociali, come dimostravano lo sviluppo dei sindacati e la nascita di importanti partiti di massa come il Partito Popolare di Don Luigi Sturzo (1919), e il Partito Comunista d’Italia fondato da Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga (1921).

Nel 1919 nasceva un altro movimento, destinato a segnare indelebilmente la storia italiana, il fascismo, guidato dall’ex socialista Benito Mussolini. Inizialmente tale movimento prendeva il nome di Fasci Italiani di combattimento e aveva carattere elitario, non di massa. Alla sua fondazione, il 23 marzo 1919, a Milano in Piazza San Sepolcro, erano presenti principalmente nazionalisti, reduci della Grande Guerra, ex sindacalisti rivoluzionari, repubblicani, dannunziani e alcuni futuristi marinettiani.

Nel 1920 ebbe inizio in Italia il Biennio Rosso, un periodo di ferventi lotte operaie caratterizzato dall’occupazione delle fabbriche. Questo avvenne dopo mesi di scioperi causati dall’aumento dei prezzi e dalle difficili condizioni lavorative, dovute alla conversione della produzione bellica in produzione civile. Al contempo, anche i contadini si unirono alle rivendicazioni, lottando per ottenere la terra.

Le zone più colpite dalla lotta contadina furono la Val Padana e la Puglia. Qui, i proprietari terrieri e i membri dei Fasci di combattimento si allearono e ricorsero sistematicamente alla violenza degli squadrismi. Queste azioni punitive, compiute da gruppi di fascisti, prendevano di mira le Camere del Lavoro, le Case del popolo, le sedi dei partiti e delle cooperative, e talvolta anche singole persone. Le forze dell’ordine spesso ignoravano tali azioni in modo complice.

Nel 1921, il capo del governo Giovanni Giolitti (1842-1928), non considerando il fascismo un fenomeno sovversivo e pericoloso per la stabilità dello Stato, accettò che alcuni candidati fascisti partecipassero alle elezioni all’interno dei blocchi d’ordine formati dai liberali. Li vedeva come alleati nella lotta politica per contenere socialisti e popolari. Di conseguenza, l’influenza fascista crebbe e gli squadristi cominciarono ad agire impunemente anche nei centri industriali. La borghesia e il ceto politico in generale ritenevano che il movimento potesse essere facilmente controllato una volta cessata la sua utilità sociale.

Leggi anche:  X Mas: non eroi, non patrioti ma criminali fascisti asserviti agli occupanti nazisti

Nel 1922, Mussolini abbandonò due principi dei Fasci di combattimento: il repubblicanesimo e l’anticlericalismo. Presentò il fascismo come l’unica alternativa politica e ideologica valida al comunismo, criticando il Partito Popolare per la sua apertura verso i socialisti. Parallelamente all’azione propagandistica e politica di Mussolini, continuarono le azioni squadriste volte a colpire i punti di riferimento e di aggregazione delle lotte popolari.

Il 24 ottobre 1922 si era svolta a Napoli una grande adunata di migliaia di camicie nere, simbolo del movimento fascista, in occasione della marcia su Roma. Il Presidente del Consiglio Luigi Facta aveva presentato al re Vittorio Emanuele III il decreto per proclamare lo stato d’assedio, ma il re rifiutò di firmarlo. Ciò aprì la strada ai fascisti, che infine entrarono a Roma il 28 ottobre.

Mussolini, temendo una possibile reazione del re, non partecipò personalmente alla marcia, ma rimase a Milano per monitorare la situazione. Quando il re non firmò il decreto, Mussolini decise di unirsi ai suoi sostenitori.

Il re gli affidò l’incarico di formare il nuovo governo, che fu composto da membri del partito fascista, liberali, popolari e indipendenti. Mussolini presentò un programma che soddisfaceva i conservatori, abbandonando l’approccio giolittiano che aveva colpito i profitti di guerra. Sciolse le amministrazioni comunali e provinciali guidate da socialisti e/o popolari, e limitò le libertà sindacali. Tuttavia, rimase il problema della normalizzazione degli squadrismi, poiché i conservatori si aspettavano che una volta al potere, il fascismo si conformasse alle leggi. 

Mussolini era consapevole che era stato grazie all’appoggio della monarchia e delle classi conservatrici che era riuscito a salire al potere, quindi si impegnò a compiacere queste forze. Tuttavia, all’interno del partito, la corrente guidata da Roberto Farinacci (1892-1945) si oppose ai tentativi di moderazione. Per mantenere la sua leadership, Mussolini adottò uno stratagemma: trasformò le squadracce fasciste in Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Successivamente istituì il Gran Consiglio del Fascismo, che riuniva i suoi principali esponenti diventando un organo decisivo nella vita politica italiana, trasformandosi presto in un organo costituzionale dello Stato. 

Leggi anche:  X Mas: non eroi, non patrioti ma criminali fascisti asserviti agli occupanti nazisti

La legge elettorale venne modificata per garantire la maggioranza alla lista fascista, mentre i popolari vennero esclusi dal governo a causa delle loro posizioni apertamente antifasciste.

Il 6 aprile 1924 si svolsero nuove elezioni politiche, caratterizzate da un clima di pesanti intimidazioni. Grazie alla legge elettorale maggioritaria, il “listone” vinse, con esponenti fascisti accanto a nomi della tradizione liberale. Nonostante le violenze, i partiti democratici ottennero risultati importanti e la tanto attesa normalizzazione dello squadrismo, ora coperto da un velo di legalità, non si verificò.

L’esponente socialista Giacomo Matteotti denunciò alla Camera i brogli elettorali e il clima di violenza in cui si erano svolte la campagna politica e le stesse elezioni. Nel suo discorso, il deputato antifascista citò anche il nome di un candidato emiliano (Antonio Piccinini) assassinato dagli squadristi prima delle elezioni. L’obiettivo di Matteotti era ottenere che la Camera indagasse sui metodi utilizzati nelle elezioni e che, una volta scoperti, queste venissero invalidate.

Per lungo tempo si ritenne che l’unico motivo dell’assassinio di Matteotti fosse questo discorso, ma una recente storiografia ha avanzato ipotesi che mettono in luce anche una motivazione di natura economica. Sembra infatti che il deputato stesse preparando, per la seduta del 10 giugno – giorno in cui sarebbe stato rapito – un dossier sulla cosiddetta “convenzione Sinclair”, stipulata nel marzo precedente. Questa convenzione concedeva alla società americana Sinclair Oil il monopolio della ricerca petrolifera in Italia, a condizioni svantaggiose per l’interesse pubblico. In cambio, la società aveva elargito consistenti finanziamenti al partito fascista. È quindi possibile che sia stata l’annunciazione delle rivelazioni che Matteotti si apprestava a fare a scatenare l’intervento della squadra fascista. Ma questa è una testi che non convince tutti gli storici: alcuni ritengono che Mussolini aveva voluto eliminare Matteotti che aveva le potenzialità di diventare l’unico leader dell’opposizione capace di coalizzare le forze che fermassero il nascente fascismo.

Leggi anche:  X Mas: non eroi, non patrioti ma criminali fascisti asserviti agli occupanti nazisti

Il 10 giugno del 1924 Matteotti si stava avviando a piedi alla seduta quando fu rapito. La scomparsa del deputato fu denunciata e le ricerche furono avviate immediatamente. Le prime prove furono trovate in agosto e successive indagini portarono poi alla scoperta del cadavere. Era il 16 agosto.

Inizialmente Mussolini attribuì l’assassinio ai suoi avversari politici, accusandoli di tramare contro di lui, indignato come tutta l’opinione pubblica dall’evento. Lo scandalo tuttavia fece scricchiolare il governo e dalle indagini furono identificati gli autori fascisti del rapimento e dell’assassinio e i loro mandanti che facevano direttamente capo a Mussolini.

Nel frattempo i gruppi dell’opposizione, dopo che il re aveva dichiarato di rimettersi alla maggioranza parlamentare (fascista), abbandonarono il Parlamento chiedendo l’abolizione della milizia e il ripristino della legalità. Questo evento fu conosciuto come “secessione dell’Aventino” e, pur avendo suscitato un’enorme eco, andò lentamente alla deriva per la mancanza di un programma e di direttive unitarie.

Avvantaggiato dalla crisi dell’opposizione, Mussolini riprese in mano la situazione, forte anche dell’appoggio dei conservatori, dei clerico-moderati, della milizia, degli ambienti militari e di quelli monarchici, che temevano un ritorno alla situazione del primo dopoguerra, con i partiti di massa protagonisti. Il governo riprese così coraggio, riaprì il Parlamento e, con il famoso discorso del 3 gennaio 1925 – in cui assunse la responsabilità morale del delitto Matteotti – Mussolini attuò il colpo di Stato. Quello stesso giorno il duce parlò alla Camera sfidando i partiti aventiniani, che accusò di sedizione, così da precludere loro il ritorno in aula.

Erano in tal modo gettate le premesse del regime autoritario.

Native

Articoli correlati