Falsificazione storica e giornalismo d’accatto: via Rasella e le Fosse Ardeatine
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Falsificazione storica e giornalismo d’accatto: via Rasella e le Fosse Ardeatine

In occasione dell'anniversario delle Fosse Ardeatine la destra - in un vergognoso tentativo di revisionismo storico - ha rimesso in giro molte menzogne. Tra cui quella della rappresaglia perché gli attentatori di via Rasella non si sarebbero consegnati

Falsificazione storica e giornalismo d’accatto: via Rasella e le Fosse Ardeatine
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

26 Marzo 2023 - 22.37


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L’uso pubblico della storia è tra i nodi irrisolti su cui da decenni si sofferma la riflessione degli studiosi. Partendo dalla massima orwelliana, “Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato”, ci si interrogano sui modi in cui la falsificazione degli eventi trascorsi serva al potere di turno per affermare, consolidare e perpetuare il proprio dominio. 

In Italia il revisionismo che sfocia in aperta mistificazione riguarda soprattutto la narrazione del fascismo e dell’antifascismo. Storici che si pongono al servizio del potentato di turno non mancano – perlopiù personaggi con scarsi titoli di merito –, ma la nostra lunga tradizione storiografica sembra avere in sé gli anticorpi per combattere tali derive: il dibattito anche acceso sul nostro passato recente viene condotto con metodi scientifici, con l’uso accorto delle fonti e un’adeguata attività di ricerca. Piuttosto, il problema della falsificazione storica da noi è una questione che investe il giornalismo: schiere di pennivendoli si trasformano in cassa di risonanza del messaggio loro infuso dall’alto.

Intervenendo sulla polemica contro il Presidente del Consiglio in carica, che nell’anniversario della strage nazifascista delle Fosse Ardeatine ha genericamente etichettato le vittime come “italiani” e non come “antifascisti” (concetto che proprio non riesce ad articolare), Alessandro Sallusti, direttore di “Libero”, ha ripescato un clamoroso falso storico difficile da estirpare, malgrado le doviziose ricostruzioni delle fonti fatte negli anni da fior di ricercatori.

Secondo Sallusti – e i figuri che gli soffiano alle spalle – le Fosse Ardeatine sarebbero state la conseguenza dell’applicazione di una direttiva tedesca che prevedeva l’uccisione di dieci italiani per ogni soldato teutonico vittima di attentato messa in atto per la codardia dei partigiani. Queste le sue illuminate parole: “Un gruppo di partigiani del Partito comunista organizzò, nonostante fosse conscio che ci sarebbe stata una rappresaglia, un attentato in via Rasella contro un plotone di soldati tedeschi”.

Sallusti non si ferma qui: “Ovviamente nessuno degli ideatori e degli esecutori dell’attentato ebbe il coraggio di consegnarsi ai tedeschi per evitare la rappresaglia. Anzi, alcuni di loro fecero poi una discreta carriera nelle fila del Partito Comunista”.

Infine, il tocco da maestro: “I neo-partigiani farebbero bene a volare basso su quella tragica storia, che loro hanno raccontato in un modo, ma che la storia dice di essere andata in un altro”. Un clamoroso autogol, che naturalmente non ha impedito che la calibrata ricostruzione di Sallusti fosse ripresa in gran tromba dalle bocche di fuoco dell’impero mediatico berlusconiano.

Ora, nel caso delle falsificazioni storiche i casi sono due: o si ripetono a pappagallo, per pura ignoranza, versioni ripetutamente smentite da scientifiche e condivise ricostruzioni; o lo si fa consapevolmente, prestandosi con scelta precisa al gioco di coloro di cui ci si è posti al servizio per propri tornaconti personali. Nell’una o nell’altra circostanza, ci si qualifica come voce inattendibile e si fa una ben magra figura.

Sallusti non fa che ripetere una versione trita e ritrita, clamorosamente e accertatamente falsa. Ci limitiamo qui a segnalare al direttore di “Libero” uno tra le centinaia di studi che potrebbero aiutarlo a farsi un quadro chiaro di quel che storicamente accadde in quei tragici giorni del marzo del 1944: L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, di Alessandro Portelli, edito da Donzelli Editore (pp. 490, € 30 a stampa, € 12,99 ePub). La prima edizione di questo straordinario volume (che si aggiudicò il Premio Viareggio per poi divenire una pietra miliare della storiografia contemporanea, e che ha ispirato spettacoli teatrali, ballate, una proliferazione di racconti) è del 1999, e nel 2019 è stato riedito con una nuova postfazione dell’autore, adeguata al mutato contesto politico e culturale del Paese, nella consapevolezza che la memoria va coltivata e difesa: in questo caso, la memoria del nazifascismo, soprattutto alla luce dei recenti rigurgiti reazionari e letture revisioniste svalutative del fenomeno della Resistenza, di cui l’articolo di Sallusti è solo uno dei tanti (e meno intelligenti) esempi.

Protagonista del libro è la voce diretta di duecento intervistati, appartenenti a cinque generazioni e alle più varie estrazioni sociali e indirizzi politici (compresi fascisti ed ex fascisti), una ricostruzione corale di ampio respiro tesa a ripristinare la verità storica. E questa verità, ormai definitivamente acclarata dalle fonti scritte e orali disponibili, è nella sua tragicità limpida e inequivocabile: L’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944 è il risultato di un terrore omicida ingiustificato e ingiustificabile. Una rappresaglia voluta e meditata, una vendetta per i 33 militari tedeschi uccisi che intendeva essere esemplare e immediata, posta in atto senza l’emanazione di alcun ultimatum.

Portelli dimostra come l’opera di falsificazione storica ebbe inizio già nei giorni successivi, quando l’Osservatore Romano, organo ufficiale del Vaticano, commentò l’accaduto parlando di “vittime” alludendo ai tedeschi caduti in via Rasella e di “persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto” riferendosi ai morti delle Fosse Ardeatine. Gli “sfuggiti all’arresto” erano i partigiani, colpevoli mai avvisati, che non ebbero alcuna occasione per consegnarsi ed evitare la strage. Sulla distinzione tra “vittime” per definire i tedeschi, “persone sacrificate” per le 335 vittime delle Fosse Ardeatine, “colpevoli” per i partigiani, si edificherà una vulgata distorta, che invertirà di segno gli eventi e i loro significati, una disinformazione che lasciò volutamente la gente “ignorante e inebetita” davanti a cotanta efferata violenza.

Le prove documentali presenti nel libro di Portelli sono numerose. Ma a Sallusti e ai suoi sodali basterebbe fare un salto al Museo storico della liberazione di Roma, precisamente nella Sala dedicata alle Fosse Ardeatine, dove è in bella mostra il comunicato originale dell’Agenzia Stefani datato 25 marzo, che, dando notizia dell’attentato, recita testualmente: “Il Comando germanico ha, perciò, ordinato che, per ogni tedesco ucciso, 10 criminali comunisti badogliani siano fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”. Nessun invito era stato diramato ai partigiani a presentarsi per evitare la strage d’innocenti. L’ordine era già stato eseguito.

O ancora, Sallusti e soci potrebbero peritarsi di leggere la testimonianza rilasciata dal feldmaresciallo Albert Kesselring (comandante supremo delle forze tedesche in Italia), processato per crimini di guerra da un tribunale alleato a Venezia nel 1947: non fu attivata alcuna procedura precedente la rappresaglia per fare appello alla popolazione o agli attentatori, non venne emesso alcun avvertimento pubblico riguardo alla rappresaglia e alla proporzione di dieci contro uno, non fu presentata alcuna richiesta ai partigiani di consegnarsi per evitare l’eccidio. Questo perché la principale preoccupazione delle autorità tedesche era eseguire con la massima rapidità, entro 24 ore, la rappresaglia, come infatti avvenne.

Lo studio di Portelli veicola un grande valore storico, civile, morale, intellettuale: la storia va raccontata e rispettata. Violarla con versioni artatamente falsificate, usare vittime innocenti per secondare squallide letture ideologiche, putridi fini politici, è un atto immorale, eticamente osceno, umanamente ripugnante. L’autore ci ammonisce che Via Rasella e le Fosse Ardeatine sono due eventi distinti, connessi tra loro ma non circoscritti nei tempi che li determinano: iniziano ben prima di Via Rasella e proseguono ben dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine, giungendo sino a noi.

Dobbiamo, tutti, essere disposti a tenere vivo il ricordo di 335 innocenti, ricordandoli nome per nome. Dobbiamo, tutti, predisporci ad ascoltare e a raccogliere il dolore indicibile di tale memoria, perché è su questo terreno che “si rifonda, si demolisce, l’identità stessa della nostra Repubblica e della nostra democrazia”. La corretta ricostruzione, l’onesta trasmissione della storia sono il più grande argine per evitare che l’orrore si ripeta. Leggere il libro di Alessandro Portelli è un dovere civile, autentico atto di rispetto verso le vittime innocenti delle Fosse Ardeatine. Oggi più che mai, quella strage rappresenta un banco di prova della coscienza nazionale, delle nuove come delle vecchie generazioni. Si dia da fare, Sallusti! Non è mai troppo tardi.

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