La Pirandelliana, ovvero Valerio Santoro
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La Pirandelliana, ovvero Valerio Santoro

Alla Sala Umberto di Roma fino al 4 dicembre con "A che servono questi quattrini", la commedia di Armando Curcio resa famosa da Eduardo.

Valerio Santoro - La Pirandelliana - intervista per Globalist.it di Alessia de Antoniis
Valerio Santoro - La Pirandelliana - intervista per Globalist.it
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22 Novembre 2022 - 14.21


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di Alessia de Antoniis

In scena fino al 4 dicembre alla Sala Umberto di Roma con “A che servono questi quattrini”, Valerio Santoro è un artista che ha messo il teatro al centro della sua vita.
Nell’era dei social e del culto dell’immagine, Valerio lavora dietro le quinte: recita, produce opere teatrali e ha fatto crescere attori ormai noti al grande pubblico. Ma sempre un passo indietro, sempre dando il ruolo da protagonista al teatro.
Spesso parliamo di lui senza saperlo. Quando? Ogni volta che su un cartellone leggiamo “La Pirandelliana”. Ormai un marchio di garanzia nel mondo delle produzioni teatrali, ma dietro al quale si nasconde il lavoro di Valerio e dei suoi collaboratori.

Valerio Santoro nasce architetto. “Appartengo a una generazione senza rete, quando i genitori si preoccupavano di farci prendere almeno una laurea. Ho optato per una facoltà che mi appassionava, altrimenti non mi sarei mai laureato. Ma prima ancora di laurearmi, già ero stato selezionato a dei provini”.
Inizia così la mia chiacchierata con Valerio Santoro, un attore nato a S. Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1972, che iniziò la carriera di attore frequentando contemporaneamente la facoltà di architettura di Napoli Federico II e l’Università popolare dello spettacolo diretta da Ernesto Calindri.
Un attore di teatro che ha lavorato con Luca De Filippo, Arnoldo Foà, Carlo Giuffrè, Giorgio Albertazzi e tanti altri. Un attore di quelli in via di estinzione, cresciuto senza social, ma consumando scarpe e voce sulle tavole del palcoscenico.


Al Sala Umberto recita in una divertente commedia firmata da Armando Curcio e messa in scena per la prima volta nel 1940 dalla compagnia dei De Filippo con grande successo di pubblico. In “A che servono questi quattrini”, Valerio è Vincenzino.
“Il mio Vincenzino è entusiasta di vivere in questa fiaba scritta dal Marchese Parascandalo, in un teatro metafora della vita che, come sempre, rappresenta una via d’uscita dalla realtà” – racconta Valerio.

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Da attore a produttore. Quando arriva La Pirandelliana?

Lavoravo in teatro come attore. La Pirandelliana arriva nel 2005, fondata nel 1999 da Arnaldo Foa, allora direttore artistico, e giada Desideri. Quando l’ho rilevata, il direttore artistico era sempre Arnoldo, poi ho proseguito da solo. Da allora la compagnia si è decuplicata.

Una volta in l’Italia il teatro era quello delle compagnie, che oggi non esistono più. Lei è uno dei pochi ad averne una. È un sopravvissuto o un temerario?

Tutti e due gli aggettivi insieme. Il coraggio non mi è mai mancato. Dal punto di vista teatrale credo che l’impresa privata, se non ha dei punti fermi, come ad esempio un teatro fisico dove lavorare, temo rischi di chiudere. La legge del 2015 di Franceschini ha fortemente virato verso la direzione pubblica. Col covid, poi, questo processo si è accentuato in maniera esponenziale. Oggi siamo pochissimi quelli che veramente fanno questa attività. Sono fortunato che riesco ancora a resistere, perché il mercato non c’è quasi più.
Le persone che dovrebbero non solo rappresentare, ma tutelare la cultura in Italia, hanno perso di vista che il teatro italiano ha una storia caratterizzata dal teatro di giro, non dal teatro stanziale. Quando parlano dei modelli europei, trascurano che i modelli europei si reggono su un’economia diversa dalla nostra. Molière citava i commedianti italiani come Scarpetta, e le compagnie di teatranti di giro. Le istituzioni hanno dimenticato tutto questo. La politica, purtroppo, ha interesse affinché vadano avanti i teatri pubblici. Così ci costringono a diventare manager di feste di piazza, con starlette e gente che potrebbe fare altri lavori tranne che il teatro. È sicuramente una soluzione, ma non so quanto sia teatro. L’altra strada è quella di chiudere e farsi nominare da qualcuno direttore artistico di un teatro nazionale.

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Anche una città come Roma versa in una situazione drammatica…

Neanche la capitale, oramai, ha un teatro che possa essere una garanzia per una compagnia. Il teatro Argentina è commissariato, il Valle è abbandonato in quota all’Argentina. L’Eliseo è sotto gli occhi di tutti. Oramai vige il Mors tua vita mea. Non si sa più dove andare a fare gli spettacoli.

Mi definisco un teatrante. Nasco attore, ho prodotto e fatto crescere attori di primissimo livello nel panorama teatrale italiano. Non ho mai pensato a me, perché per me prima di tutto viene il teatro.

La nostra è una forma d’arte che rischia di morire senza il teatro pubblico, ma nel rispetto delle funzioni. Manca, ad esempio, la formazione di un pubblico nuovo. Le nuove generazioni non sono attratte dal teatro.
L’equivoco più grande, che sta affossando il teatro in generale, è la mancanza di confine tra dilettanti e professionisti. Ancora oggi è normale, per un attore che non è il divo del grande schermo, sentirsi chiedere: ma lei nella vita che lavoro fa?

“A che servono questi quattrini”, una brillante commedia che non dimostra i suoi anni…

Era tanto che volevo portarla in scena. Mi sono formato nella compagnia di Luca de Filippo. Ho lavorato tanto con Carlo Giuffrè, conosco la tradizione napoletana. È un testo esilarante che ho coprodotto con il Mercadante di Napoli. Ho avuto l’onore e il piacere di debuttare, lo scorso anno, al San Ferdinando di Napoli, nello stesso teatro dove lo spettacolo debutto nel ‘40 con Eduardo e Peppino. Eduardo aveva appena preso il San Ferdinando. Fu uno dei primi successi di De Filippo. Un testo divertentissimo nel quale il marchese Parascandalo si inventa uno stratagemma per cambiare la vita di Vincenzino. Io interpreto Vincenzino, mentre nel ruolo di Parascandolo recita Nello Mascia. Vincenzino, morto di fame, e Parascandalo filosofo napoletano. Vincenzino è il suo discepolo prediletto. Geniale quando Parascandalo gli dice: “guarda, tu il denaro non lo devi possedere. Gli altri devono immaginare che tu ce l’hai, e se fai credere a tutti che il denaro ce l’hai, ti faccio vedere come la tua vita cambia”.
Negli anni ho sentito spesso i racconti dei Giuffrè e del grandissimo successo che aveva avuto questa commedia, portata in scena da Edoardo e Peppino, dagli stessi fratelli Giuffrè, da Tato Russo e Mastelloni, da Luigi De Filippo.
Col Mercadante, e con il Teatro Nazionale di Napoli, abbiamo deciso di portarlo in scena con la regia di Andrea Renzi cercando di far venire fuori la semplicità e l’artigianalità di quel testo, solo rispolverandolo un po’. Non è la canonica messa in scena del teatro tradizionale napoletano, è più semplice.

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In attesa che qualcuno torni a scrivere veramente per il teatro, continuiamo a pescare belle commedie nel nostro armadio dei ricordi?

Creare nuova drammaturgia dovrebbe essere un ruolo principale dei teatri pubblici. Crescere attori importanti e registi giovani. E non è che non ci sono. Ci sono, ma non vengono valorizzati, non vengono date loro le possibilità.
Alcuni anni fa, con La Pirandelliana, ho coprodotto insieme al Franco Parenti e Marche teatro, “Who is the King” , un progetto sui re Shakespeariani. Pillole dal Riccardo III, Enrico IV, ed altri. Più di dieci attori. È stato un rischio, ma la formazione e la creazione delle nuove generazioni di attori, richiede investimento di risorse, tempo e capitali. Altrimenti il teatro continuerà a morire.

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