Pippo Mezzapesa: Un’autentica combattente una guerra ancestrale
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Pippo Mezzapesa: Un’autentica combattente una guerra ancestrale

Il regista pugliese dirige Elodie in "Ti Mangio il cuore" e gira "Qui non è Hollywood" sul caso Avetrana.

Pippo Mezzapesa: Un’autentica combattente una guerra ancestrale
In foto Pippo Mezzapesa
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7 Settembre 2022 - 10.53 Culture


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di Marco Spagnoli

Arso dal sole e dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da far west, in cui il sangue si lava col sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.

Questa la breve sinossi di “Ti Mangio il Cuore”, il nuovo film di Pippo Mezzapesa presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, tratto dal libro omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, che il regista ha scritto insieme agli autori e ad Antonella Gaeta e a Davide Serino. Un’opera che esce in un momento importante della vita di Mezzapesa neopapà di Elena e alle prese con Qui non è Hollywood, serie prodotta da Matteo Rovere, sul caso Avetrana in cui un evento di cronaca ha corrotto al punto una comunità da farle “vendere l’anima”.

Del resto “Ti mangio il cuore” era, in qualche maniera, nel destino del regista di Bitonto “Nel 2007 un mio amico magistrato mi aveva raccontato e descritto nel dettaglio quanto si era scoperto relativamente all’efferatissima Mafia del Gargano e delle sue faide spietate.” Spiega il cineasta “ero rimasto profondamente colpito da quella storia, ma all’epoca sapevo di non essere ancora pronto a raccontarla proprio per la sua potenza e peculiarità. Poi, però, sono stato contattato da Bonini e Foschini che mi hanno fatto leggere il loro libro chiedendomi se – a mio avviso – se ne potesse trarre un film. Sono rimasto sorpreso, perché era proprio quella storia che conoscevo già e che mi veniva riproposta.”

Una sorta di karma cinematografico?
Ero sorpreso dal trovarmi di nuovo davanti questo racconto così originale e unico in quanto aveva come protagonista una donna: Rosa di Fiore che ha iniziato una faida sanguinaria e ne ha scritto la parola fine facendo decapitare i vertici mafiosi attraverso una serie di arresti. Una scelta dolorosa determinata dall’idea di dovere salvare i suoi figli nel contesto di una storia d’amore impossibile.

Cosa l’affascinava di questo ambiente così pericoloso e a tratti spaventoso?
La sua ferinità: gli odi di quella terra hanno radici antiche in motivi futili come l’abigeato. Eppure queste situazioni quasi banali sono alla base di delitti perpetrati da decenni che portano lutti e sangue in un contesto ancestrale dove le dichiarazioni di guerra e le offerte di pace vengono mandate tramite gli animali. In questo senso sapevo che Ti mangio il cuore potesse divenire un film diverso incentrato su una passione oscura e profonda: un racconto terribile e non conciliatorio per affrontare il tema di una criminalità urbana e di provincia che fa i conti con la propria assurda sete di violenza e la propria ferinità di riti animaleschi e di pulsioni ancestrali.

Il suo cinema, da sempre, è figlio di uno sguardo ‘antropologico’ capace di coniugare generi diversi , ma riportando il racconto sempre ad uno stadio quasi ‘arcaico’…
Sono sempre stato interessato ad una contaminazione antropologica di tipologie di racconti differenti: mi affascina entrare in territori psicologici molto diversi tra loro, guardando al passato e al suo influsso talora nefasto sul presente. Ti mangio il cuore riflette sull’inevitabilità del male, attraverso un noir drammatico su una famiglia il cui intento principale è derivato dalla difesa a tutti i costi di quanto conquistato attraverso la sopraffazione e la violenza.

Una sorta di punto di incontro tra il Sud e Magia dell’antropologo Ernesto De Martino e il cinema di genere…
La ritualità della magia e del sangue raccontata in questo film sono sospese tra l’efferato e il sublime e del resto è stato abbastanza naturale raccontare questa storia seguendo la prospettiva di un mondo dove tutto è un rito e tutto passa attraverso una ritualità codificata nel tempo e dove il sacro e il profano si mescolano continuamente e senza soluzione di continuità.

Eppoi c’è Elodie…
Quando scrivo non penso mai agli attori con cui vorrei lavorare. Poi, però, quando ci penso mi fisso al punto di evitare di pensare che la persona in questione possa non accettare, per me è difficile scollarmi da quell’idea. Ho pensato ad Elodie oltre due anni fa e quando ne ho parlato con il produttore Nicola Giuliano è rimasto anche lui spiazzato: per me in quel momento Elodie era Marilena proprio per la sua forza e bellezza.

Elodie interpreta una sorta di Elena di Troia attiva che determina le sorti di una guerra cui partecipa in maniera diretta: la sua recitazione è dirompente e io sono stato orgoglioso e felice che abbia accettato un ruolo così difficile. Elodie è una donna coraggiosa, è una combattente e ha quell’autenticità che le accomuna alle grandi dive del passato. La sua è una forza ed una bellezza mediterranea che le apriranno grandi orizzonti non solo in virtù della sua straordinaria fisicità, ma per il suo immenso talento.

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