Il Ginesio Fest ha un nuovo direttore artistico: Leonardo Lidi
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Il Ginesio Fest ha un nuovo direttore artistico: Leonardo Lidi

"Non è possibile che in due anni di pandemia il teatro sia mancato meno di un panino del fast-food". Intervista a Leonardo Lidi.

LEONARDO LIDI Foto di luigi depalma
Leonardo Lidi - intervista - Foto di luigi depalma
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6 Giugno 2022 - 10.13


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di Alessia de Antoniis

Dal 18 al 25 agosto San Ginesio ospiterà il Ginesio Fest, con la direzione artistica di Leonardo Lidi.

Il Ginesio Fest, giunto alla sua terza edizione, si svolge tra le strade, le piazze e i siti d’arte del centro marchigiano di San Ginesio (Mc), uno dei borghi più belli d’Italia, che nel 2016 è stato gravemente danneggiato dal terremoto, ma che ha saputo sin da subito dimostrare una forte volontà di rinascita sociale e culturale. Un festival in cui spettacoli, seminari e laboratori si intrecciano in diversi spazi del Borgo, rivitalizzandoli. Punta di diamante dell’intero programma è il Premio San Ginesio “All’arte dell’Attore”.

“La parola chiave di questa edizione – spiega il nuovo direttore artistico Leonardo Lidi – è “Ricostruzione”. Non solo fisica, ma anche grammaticale, dialettica, che possa avere l’ambizione di proporre un nuovo alfabeto post trauma. Dopo il terremoto e la pandemia, parlare di ciò che stiamo vivendo è la priorità che ho cercato di sviluppare, individuando personaggi del mondo del teatro e della scrittura che ci possano aiutare a scrivere queste nuove pagine”.

Un progetto coraggioso, soprattutto tenendo presente che lei arriva alla sua prima direzione artistica a soli trentatre anni.

Purtroppo è una stranezza, me ne rendo conto. Il coraggio è sicuramente il loro, per aver scelto un direttore artistico così giovane. Ma San Ginesio è un posto dove conoscono il significato della parola ricostruzione, dal punto di vista pratico e dal punto di vista mentale. Sanno che non si può fare affidamento solo sulla storia, anche a livello artistico, ma che bisogna utilizzare la storia, comprese le tragedie, come trampolino per il futuro. Il modus operandi degli organizzatori del Ginesio Fest ha delle assonanze con quello che io cerco di fare come regista. Lavoro sui classici cercando di riscrivere, ricostruire, una relazione con lo spettatore, che spesso dimentichiamo. Sono felice di partire da qui nella mia avventura come direttore artistico e sono grato alle persone che mi hanno voluto e che hanno creduto in me

Spesso anche le cariche di direttore artistico vengono cannibalizzate dalla politica. Al Ginesio Fest hanno deciso di puntare sulle reali qualità di chi è del mestiere? Ha affrontato pregiudizi?

In Italia, purtroppo, la carta d’identità diventa un intralcio nelle cariche. Ho però una notevole esperienza professionale. Ho iniziato a dirigere a diciassette anni e la prima regia in uno teatro stabile, allo Stabile di Torino, l’ho fatta a ventisette. Non mi sono mai fermato. Sono sempre stato in grandi strutture. Sono anche il coordinatore didattico della scuola del Teatro Stabile di Torino. A trentatre anni ho relazioni solide con gli agenti, i professori e la rete che la scuola ha con il resto del mondo teatrale. È una grande responsabilità, ma anche indice di professionalità. Per fortuna ho incontrato persone che non si sono fatte spaventare dall’età, ma che hanno valutato me attraverso i miei lavori.

A San Ginesio mi hanno dato fiducia. La forza di questo festival sta nel camminare su due binari paralleli: è un festival intellettuale ma anche popolare. Tenendo presente che è una località di provincia, fuori dai grandi circuiti, per noi è importante offrire un prodotto che coinvolga tutta la popolazione. La mia strada è quella di dare fiducia alle nuove generazioni così come è stata data fiducia a me. Ci saranno gli allievi della scuola del Teatro Stabile di Torino e compagnie giovani che hanno il coraggio di scrivere nuova drammaturgia contemporanea, sulla quale, purtroppo, si investe molto poco in Italia.

Secondo me, la forza di un festival è quella di interrogarsi anche sulle mancanze: c’è una mancanza nella nuova drammaturgia italiana ed è importante esserne consapevoli. In quest’ottica ho pensato di coinvolgere Caroline Baglioni, umbra, vincitrice della Biennale Teatro di Venezia e cofondatrice, con Michelangelo Bellani, della compagnia Baglioni/Bellani. Una compagnia poco conosciuta fuori dagli ambienti teatrali, che lavora sulla drammaturgia partendo dall’attualità e dalla cronaca. La trovo una qualità fondamentale, con tutte le tragedie che stiamo affrontando e le paure che ci accomunano. Tutto quello che è accaduto e che sta accadendo, le emozioni provate, andranno esternate, ma è una cosa che ancora non riusciamo a fare. Non dobbiamo nasconderci dietro la drammaturgia classica, ma imparare a vivere dopo queste esperienze. Questo è quello che intendo con “ricostruzione”: associare una nuova drammaturgia alla ricostruzione di un nuovo alfabeto, e va fatto con le nuove generazioni.

Shakespeare, che oggi è un classico, ai suoi tempi era giovane e popolare…

Sì, e vestiva i personaggi con gli abiti del tempo. Ho appena affrontato il “Misantropo” di Molière. Anche Molière parlava direttamente alla sua attualità. Ci sono dei passaggi che, se non si conosce il contesto storico a lui contemporaneo, non sono comprensibili. Parlava direttamente al pubblico non dei suoi anni, ma del suo anno. Io affronto spesso i classici, ma un testo classico si affronta con gli occhi dell’oggi. Per fare questo, però, c’è bisogno di uno studio drammaturgico molto approfondito. Questa mania di chiudere il teatro in una bolla museale è un modo di lavorare che oltre confine viene sempre più abbandonato.

Il Ginesio Fest dedica molto spazio a bambini e ragazzi. Alcuni spettacoli sono affidati a Remo Girone. Spesso si portano le scolaresche a vedere spettacoli di dubbia qualità, invece che matinée per studenti con compagnie di professionisti. Risultato: il teatro è associato alla noia. Lezioni di teatro sono ormai un clichè nelle offerte formative delle scuole, ma sembrano più corsi preparatori alla recita di fine anno. È questo il teatro nelle scuole? È così che intendiamo formare gli spettatori di domani?

Qualsiasi lavoro si faccia, non ci si improvvisa. Nel festival il programma dedicato ai giovanissimi è curato da Vera Vaiano, un’artista che ha studiato per lavorare con i ragazzi. La formazione è importante. Non dobbiamo aver paura di parlare dello spettatore come consumatore. Portando i bambini a vedere spettacoli di qualità, facendoli appassionare, costruiamo minimo il 20% del pubblico di domani.

Spesso si lavora in modo superficiale non solo con i bambini, ma anche con il pubblico adulto. In pandemia abbiamo discusso a lungo sui diritti dei lavoratori, ma dobbiamo anche ricordarci che il primo tema in ogni tavola rotonda, dovrebbe essere che cosa facciamo adesso, a livello artistico, per il nostro spettatore.

Non è possibile che in due anni di pandemia, siamo mancati allo spettatore meno di un panino del fast-food. Quando abbiamo riaperto, erano tutti in fila al McDonald’s, non a teatro. Dobbiamo interrogarci su che cos’è oggi il teatro in Italia e come fare per essere presenti nel dialogo pubblico. Ecco perché per me è fondamentale lavorare con i teatri stabili. Non voglio chiudermi in una bolla elitaria, per dirmi quanto sono bravo come artista. Il punto è battagliare anche in mezzo alle difficoltà. Fare uno spettacolo teatrale, oggi, è difficilissimo. Questo è ciò che dobbiamo dire: che è difficile riuscire a tenere alta l’attenzione di uno spettatore abituato ai 90 secondi di YouTube, per 90 minuti. Questa difficoltà ci sarà sempre di più e la combatti con la passione e l’amore non solo per il teatro, ma per un teatro di qualità.

Il bambino di oggi è lo spettatore di domani. Se lo annoio, me lo perdo e recuperarlo sarà ancora più dificile.

Obiettivo degli organizzatori è anche quello di far diventare San Ginesio un vero e proprio borgo degli attori, un punto di riferimento stabile per tutti i professionisti del mondo dello spettacolo.

La parte principale per realizzare questo obiettivo è avere un teatro. L’amministrazione comunale ha garantito che verrà riaperto a breve e io aspetto, come un bambino davanti all’albero di Natale, che il teatro venga reso agibile dopo il terremoto.

C’è una grande apertura da parte dell’amministrazione comunale di San Ginesio. L’idea di questo festival è stata del sindaco insieme a Remo Girone. Il cuore del progetto è proprio quello di usufruire dei luoghi della comunità e far diventare il teatro un progetto condivisibile: non un teatro chiuso dentro una bolla per pochi eletti, ma un teatro per tutti. Un teatro con diverse chiavi di lettura per diversi livelli di formazione, ma l’idea politica deve essere quella di un teatro per tutti. L’obiettivo che ci siamo prefissi è quello di animare il borgo non solo nel periodo estivo con le giornate del festival, ma durante l’intero anno, contribuendo, a partire dalla cultura teatrale, alla rinascita di un territorio.

Molte delle compagnie che abbiamo chiamato, sono compagnie che da anni lavorano sul proprio territorio. Ci saranno molti incontri e momenti di dialogo, perché un festival non è fatto solo per andare a vedere uno spettacolo, magari di un attore famoso, ma ha senso se pone degli interrogativi. Ad esempio, come dicevamo all’inizio, raccontare i traumi che stiamo vivendo.

Tutto questo lo dovrebbero fare i teatri pubblici che percepiscono il FUS…

Il Teatro Stabile di Torino, col quale collaboro, è finanziato, è presente sul territorio e adempie a questa funzione.

Progetti?

Sono appena iniziate le prove del mio “Gabbiano” di Cecov, che debutta al Festival di Spoleto. Sarà poi in vari teatri italiani nella prossima stagione.

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