Quello che disse Peter Bogdanovich: l’ultima intervista (in Italia)
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Quello che disse Peter Bogdanovich: l’ultima intervista (in Italia)

In una delle prime edizioni del festival del cinema di Roma Peter Bogdanovich parlò a lungo

Quello che disse Peter Bogdanovich: l’ultima intervista (in Italia)
Peter Bogdanovich
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Marco Spagnoli Modifica articolo

7 Gennaio 2022 - 10.55


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Quindici anni fa, in una delle prime edizioni del Festival di Roma, il non ancora direttore Antonio Monda guidò Peter Bogdanovich in una conferenza stampa dove, incredibilmente, la partecipazione dei media fu molto risicata, ma che – al tempo stesso – vide comunque il grande regista e storico del cinema americano protagonista. Questo è l’articolo che abbiamo scritto all’epoca, leggermente, ma non significativamente editato per limitare la percezione del tempo trascorso da allora. 

E’ un incontro ideale tra i Blues Brothers e i Soliti Ignoti, quello dell’opera prima dell’attore Robert Davi intitolato The Dukes. Un esordio tra musical e black comedy, per dimostrare che quando si è perso tutto si può ancora ritrovare se stessi. Insieme al neo-regista, nel cast i candidati all’Oscar Chazz Palminteri e Peter Bogdanovich. E molta Italia in colonna sonora, da Paolo Conte a Luciano Pavarotti. A Roma come ‘attore’, il regista di film indimenticabili, capolavori della storia del cinema, come L’ultimo spettacolo, E tutti risero…, Ma papà ti manda sola? fa il punto della sua straordinaria carriera come cineasta “Eppure nessuno sa che io ho esordito proprio come attore all’età di quindici anni.” dice Bogdanovich “Avevo sempre sognato di fare l’attore. Poi, però, mi seccava tremendamente fare le audizioni e – così – ho scelto la carriera del regista. Un filmaker non deve fare audizioni…”

Lei, però, è tornato stabilmente a recitare con I Sopranos…
Sì, e lì facevo lo psichiatra. Una parte interessante per una serie ottima. Un’esperienza bella, cui oggi guardo con un po’ di nostalgia e che ha ricordato a molte persone che so recitare.  E’ vero: per molto tempo avevo deciso di non lavorare come attore, poi, Orson Welles mi ha chiesto di recitare per lui nell’ancora non terminato e mai uscito (non per colpa della mia presenza, spero…) The Other Side of the Wind. 

E’ vero che lei ci sta lavorando sopra?
Ho recitato per un paio di anni in quel film la cui lavorazione è stata molto travagliata e che Orson ha girato in cinque anni. Una volta, mentre eravano in Arizona tra il 1973 e il 1975 e mentre pranzavamo Orson, all’improvviso, mi ha detto: “Devo chiederti una cosa: se mi succedesse qualcosa prometti di essere tu a finire questo film.” E io gli ho detto: “Orson non scherzare, cosa dovrebbe succederti?” Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Prometti e basta!” “Ok, lo prometto.” “E adesso cambiamo argomento…” ha detto Orson. Il film è stato per lungo tempo chiuso in una cassaforte a Parigi per problemi di diritti e proprietà. C’è una causa in corso, ma – in un paio di anni, credo che riusciremo a farlo uscire nelle sale e sarà per tutti una vera sorpresa. E’ un film su Hollywood molto energico e giovanile.

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N.d.r. – In realtà ci sono voluti molti più anni fino a quando Netflix lo ha restaurato e portato al Festival di Venezia nel 2018. 

A che punto della lavorazione era arrivato Welles?
Il film è, in pratica, stato tutto quanto girato. Orson aveva già montato cinque minuti, ma il resto è ancora tutto quanto da fare. 

Lei è stato molto amico di Orson Welles: cosa ricorda di lui?
Era un genio: un talento straordinario e un grandissimo amico di cui mi manca tutto. La sua simpatia, intelligenza, il suo umorismo. Da lui ho imparato molto sulla vita prima ancora che sul cinema. Quando ho girato Paper Moon, lo Studio voleva che il film fosse distribuito con il nome del personaggio di Tatum O’Neill, Addie Pray. A me non piaceva e così mi è venuto in mente il titolo Paper Moon. Ho telefonato a Orson che era a Roma e gli ho chiesto cosa ne pensasse e lui mi ha risposto: “E’ un titolo ottimo! Non serve nemmeno fare il film, fai uscire solo il titolo!”  

Recentemente lei ha diretto The Cat’s Meow che racconta la storia di come, probabilmente, Heast abbia ucciso il produttore cinematografico Thomas Ince sul suo yacht nel 1924, pensando si trattasse di Charlie Chaplin che corteggiava la sua compagna Marion Davies…
Trenta anni fa prima di fare questo film, Orson mi ha raccontato la storia di quella notte così come gliela aveva detta proprio il nipote di Marion Davies. La potenza di Hearst aveva fatto bloccare ogni investigazione possibile e l’omicidio rimase insoluto. La cosa sorprendente è che trenta anni dopo mi vedo arrivare sulla scrivania una sceneggiatura ispirata dalla storia raccontatami da Orson.

E’ anche vero che Marion Davies è l’ispiratrice del personaggio femminile di Quarto Potere…
Non è vero: Orson Welles mi ha detto e ripetuto più volte che Quarto Potere non era un film su Hearst, ma su una combinazione di quattro potenti dell’epoca. Lui non interpretava un personaggio ispirato a Hearst. E’ stato un grande fraintendimento. Kane non è basato su Hearst e quel discorso riguardo a quella notte sullo yacht me lo aveva fatto proprio per dimostrarmelo. Io, infatti, gli avevo chiesto perché non avesse inserito la vicenda di quella notte nella sceneggiatura di Quarto Potere e lui mi ha risposto con un sorriso diabolcio che “non era stato Charlie Kane ad uccidere Ince. Kane non era un killer”.

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Un paragone tra Barbra Streisand e Cher?
Con entrambe ho fatto film in cui credevo molto: Ma papà ti manda sola? e Mask. Con la prima è bastato discutere solo all’inizio, mentre Cher è stata una spina nel fianco anche se – alla fine – posso dire che, alla fine, nonostante tutto, è stata veramente brava. Una cosa importante: il film originariamente doveva avere le musiche di Bruce Springsteen. Poi, però, per motivi di diritti è stato pubblicato con un’altra colonna sonora. Un paio di anni fa, per il Dvd, ho convinto lo Studio a distribuirlo in Dvd con le canzoni di Springsteen che avevo scelto e lo hanno fatto. Questo, sicuramente, perché Bruce ha dato il via libera all’utilizzo gratuito delle musiche. Il Dvd ha anche otto minuti in più rispetto alla versione theatrical.

Nel suo primo film, Bersagli, che lei ha diretto mezzo secolo fa oramai, c’era Boris Karloff tra i protagonisti. Come l’ha scelto?
Sinceramente non l’ho scelto, me lo sono trovato, perché Roger Corman mi ha telefonato dicendomi che Karloff gli doveva due giorni di riprese. Così ho ideato un film dove potevo utilizzare Boris per due giorni. Fortunatamente, però, poi l’ho avuto per cinque su un lavorazione complessiva di ventitré giorni. 

Qual è il suo film che preferisce?
Non ho un film preferito, ma E tutti risero… è sicuramente quello che ricordo con più tenerezza. Non posso dire che sia il mio più riuscito, ma era un periodo fantastico. Ero innamorato e quella pellicola girata a New York rappresenta me stesso meglio di ogni altra essendo una combinazione di commedia e dramma, di leggerezza e serietà. Purtroppo non posso rivederla. E’ troppo doloroso vedere sullo schermo Audrey Hepburn e John Ritter che non ci sono più…

Parliamo di tutte le grandi personalità che lei ha conosciuto e che ha incontrato anche come storico del cinema…
Ho imparato molto da tutti quanti loro. Forse un po’ più da Orson, perché era così eloquente e aperto. Non penso di avere appreso qualcosa del lavoro del regista che – penso – di avere fatto mio più tramite l’osmosi vedendo tantissimi film. Certo, ho appreso dei trucchi chiave da alcuni registi: Howard Hawks mi ha detto: “Fai tagli sempre sul movimento, perché la gente così non li vedrà.” E ho sempre fatto mio questo consiglio, perché mi piacciono i tagli invisibili a differenza di quello che si vede adesso al cinema. Otto Preminger insisteva di fare il minore numero di tagli possibili “Ogni taglio è un’interruzione!” Sono stato amico di tutte queste persone da cui ho imparato molto. Anche dagli attori come Cary Grant e John Wayne sono state persone di cui sono diventato amico. Ho conosciuto tutta la Hollywood dei tempi d’Oro e oggi mi sento un po’ strano nel pensare che non ci siano più e che li possa vedere soltanto sullo schermo o nella mia memoria.  

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Qual è il suo film sul mondo del cinema che preferisce?
Sinceramente non c’è nessuno che amo molto. Trovo deprimente I protagonisti di Robert Altman e non penso che nessuna pellicola abbia saputo, fino ad oggi, catturare il vero spirito del cinema e del business del cinema. Effetto Notte, va bene, ma non ne vado pazzo anche se ammiro molto il lavoro di Truffaut. Il Bruto e la bella di Vincente Minnelli è molto divertente. Otto e mezzo racconta perfettamente il cinema di Fellini, ma come lui non c’era nessun altro. Quello è un film perfetto per raccontare cosa fosse il cinema per Federico Fellini. Chissà, Forse quando uscirà The Other Side of The Wind la gente capirà come siamo noi gente di cinema? Non migliori degli altri, assolutamente no, ma sicuramente diversi. Quando vado in un paese straniero e incontro persone che fanno il mio stesso lavoro e che amano il cinema mi sento molto più vicino a loro di quanto in realtà mi senta rispetto a dei miei connazionali. Non so perché ma quando incontro gente di cinema in tutto il mondo è come se ritrovassi la mia famiglia fatta di parenti distanti eppure a me vicini.

Quali sono i suoi film preferiti in assoluto e da vedere?
Ammiravo molto Jean Renoir di cui sono stato amico per tantissimi anni. French Can Can, L’angelo del Male e La Grande Illusione. Quando voglio convincermi, e non facile, che il cinema è in grado di raggiungere il livello di perfezione di Mozart, Leonardo e Van Gogh, guardo al cinema di Renoir, perché lui è l’unico che l’abbia raggiunto oltre ogni ragionevole dubbio. Jean Renoir è il più grande di tutti. 

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