"I segni addosso", un fumetto per parlare di storie di ordinaria tortura
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"I segni addosso", un fumetto per parlare di storie di ordinaria tortura

Andrea Antonazzo, Elena Guidolin e Renato Sasdelli sono gli autori di un libro che affronta tre episodi della storia italiana e mondiale: il fascismo, la Diaz e Abu Ghraib.

"I segni addosso"
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6 Luglio 2017 - 10.15


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Una messa in scena teatrale. Una voce narrante. Tre atti ambientati in luoghi e tempi diversi, da leggere come un’unica storia in cui un uomo viene prelevato dalla Polizia, torturato e poi rispedito a casa. È “I segni addosso. Storie di ordinaria tortura” (BeccoGiallo Editore), fumetto di Andrea Antonazzo, Elena Guidolin e Renato Sasdelli nato da un’idea dello stesso Sasdelli, autore di saggi sulle torture subite dai partigiani nella sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna durante la Repubblica Sociale, e Studio Ram, service bolognese per la produzione di fumetti. I tre atti del libro sono ambientati nella scuola Diaz di Genova durante i giorni del G8 del 2001, ad Abu Ghraib ai tempi della Guerra in Iraq e in Italia nel ventennio fascista, la voce narrante è un personaggio con una maschera, privo di lineamenti, che può rappresentare tutti. “Tutti e tre gli episodi rispondono a un’unica esigenza, quella di far comprendere che la tortura non è una pratica lontana nel tempo o confinata in Paesi lontani, soprattutto dal punto di vista culturale, dal nostro, ma viene praticata anche in Italia, negli Stati Uniti e in tanti altri posti, ancora oggi”, spiega Andrea Antonazzo, autore della sceneggiatura.

Il 5 luglio la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la legge sul reato di tortura. L’aspettavamo da 28 anni: era infatti il 1989 quando l’Italia ha ratificato la Convenzione sulle Nazioni Unite sulla tortura del 1984. Perché ci è voluto così tanto tempo per introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura? Per Elena Guidolin, autrice dei disegni del fumetto, “è un intreccio complesso di fattori”. In primo luogo, “la mancata resa dei conti con il fascismo, non tanto quello in camicia nera e braccio teso, ma una più generale e pervasiva tendenza a un ‘pensiero di destra’, un autoritarismo fatto di parole in maiuscolo e arabeschi retorici”. E poi, continua, “c’entra forse qualcosa di molto vicino a ciò che il sociologo Edward C. Banfield chiamava ‘familismo amorale’, un’etica che mira a ‘massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare’ a discapito dell’interesse collettivo”. Per Antonazzo, è una questione di “ipocrisia”, perché spiega, “introdurre una legge sulla tortura significherebbe ammettere che in Italia la tortura c’è davvero. E poi c’è sempre stata la tendenza a proteggere le forze dell’ordine, affermando che una legge del genere legherebbe loro le mani”.

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La Diaz, Abu Ghraib e il ventennio fascista. Come sono stati scelti gli episodi del libro? “I fatti di Genova, l’Iraq e il fascismo sono nodi importanti della storia recente, ma fin troppo spesso sono oggetto di una commemorazione vuota che finisce per isolarli dal loro accadere, che scioglie le connessioni ed elude la possibilità di fare e farsi domande – dice Guidolin – Un simile esercizio della memoria è inoltre funzionale al mantenimento di una visione del mondo polarizzata tra buoni e cattivi, mostri irredimibili e vittime sempre innocenti, col risultato di banalizzare e appiattire ogni discorso, ogni riflessione, disinnescare ogni dubbio”. Lo scenario di Abu Ghraib poi ha permesso di trattare il punto di vista dei torturatori, “per far intendere come questi non siano necessariamente esseri spregevoli e malvagi ma, quasi sempre, persone che stanno facendo ciò che ritengono più giusto – continua Antonazzo – È un discorso che però mi sembra necessario per non banalizzare la figura dei torturatori e, di conseguenza, la tortura, perché altrimenti faremmo un grosso errore”.

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In “I segni addosso” la tortura, la violenza è solo evocata. “Mostrarla sarebbe stato troppo morboso e didascalico – spiega Antonazzo – Il nostro non è un libro che dà risposte, che sarebbero molto difficili da dare, ma vuole sensibilizzare sulle diverse questioni legate al tema e magari sollevare domande nel lettore, con l’aiuto anche dei testi a corredo delle pagine a fumetti”. L’obiettivo, insomma, era evitare il più possibile di spettacolarizzare. “Abbiamo visto le immagini dei prigionieri picchiati e umiliati ad Abu Ghraib o il corpo di Carlo Giuliani in piazza Alimonda molte volte, forse troppe, rischiando con la sovraesposizione, l’anestetizzazione – dice Guidolin – Per quanto riguarda il mio lavoro, da un lato ho cercato di concentrarmi più sull’atmosfera che sull’azione, usando inoltre elementi e dettagli ricorsivi e simbolici, dall’altro ho ragionato non tanto sul disegno quanto sul puro segno, trattandolo nel modo il più possibile espressivo, estemporaneo, corporeo”. Gli autori stanno girando l’Italia per presentare il libro, “siamo stati contenti di scoprire che le persone sono interessate a saperne di più e a discuterne”, dice Antonazzo. Personalmente, aggiunge Guidolin, “mi piacerebbe portarlo di nuovo nelle scuole, per capire quanto e cosa si conosce dei fatti di cui si parla nel libro, storia recente, è vero, ma forse proprio per questo più a rischio di essere dimenticata”.

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Oggi, a distanza di 28 anni, il Parlamento italiano ha approvato la legge sulla tortura. Il percorso legislativo è iniziato nel marzo del 2014: dopo una prima approvazione in un testo unificato al Senato la norma è passata alla Camera che ha concesso il via libera (con alcuni cambiamenti) un anno dopo. Tornato in Senato ad aprile 2015, il disegno di legge rimane fermo per altri 2 anni fino alla nuova approvazione avvenuta il 17 maggio 2017. Dato che a Palazzo Madama il testo è stato ulteriormente modificato, è stato necessario un ulteriore passaggio (il quarto) alla Camera. Il 22 giugno scorso la Commissione Giustizia ha dato il benestare al disegno di legge, respingendo tutti gli emendamenti e inviando il testo all’aula per l’approvazione definitiva, avvenuta il 5 luglio. “La legge approvata dal Parlamento parla di reato comune e non proprio, contraddicendo la Convenzione Onu che invece dovrebbe recepire – conclude Antonazzo – Questo testo mi pare davvero pessimo”. Non è un caso se il 26 giugno, il giorno in cui il testo è tornato in discussione alla Camera, i magistrati dei processi di Genova hanno scritto alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, per farla riflettere sul fatto che “la nuova legge sarebbe inapplicabile a fatti analoghi a quelli verificatisi a Genova durante il G8 del 2001, già qualificati come tortura dalla Corte europea”. (lp)

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