Storia di un nome: scrittura, successo e gioco degli pseudonimi
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Storia di un nome: scrittura, successo e gioco degli pseudonimi

Viaggio nella storia degli pseudonimi, eteronimi e falsi-nomi disseminati tra poesia e letteratura. I casi recenti svelano il peso del marketing. [Margherita Ingoglia]

Storia di un nome: scrittura, successo e gioco degli pseudonimi
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16 Settembre 2015 - 22.00


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di Margherita Ingoglia

“Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo”. (Romeo e Giulietta di William Shakespeare: atto II, scena II)

Sarebbe ancora valida, oggi, la poetica frase pronunciata da Giulietta, nella celebre tragedia di William Shakespeare? Oppure è proprio il nome (al di là della sostanza) ciò che conta veramente? Essere o non essere: to be or not to be, this is the question?

Nel mondo della letteratura, e non solo, la faccenda del nome non è semplice come la pensava Shakespeare, soprattutto per gli autori e per le identità delle opere letterarie.
La storia degli pseudonimi, eteronimi e falsi-nomi però non è questione recente. Anzi, a dire il vero è un argomento vetusto e annoso. Moltissimi sono stati infatti i casi in cui gli autori hanno scelto, per motivi di mercato o per ragioni personali, di utilizzare nomi fittizi. Sullo stesso Shakespeare esiste un controverso dibattito per l’attribuzione delle sue opere, proprio a causa della mancanza di dati biografici certi. Quindi, vista l’epoca in cui sarebbe vissuto e i pregiudizi nei confronti delle donne, chi ci dice che dietro quelle opere non ci sia stata la penna di una donna colta, fintamente rozza e di origini italiane?

«Shakespeare non è mai esistito. Tutte le sue opere sono state scritte da uno sconosciuto che aveva il suo stesso nome.» (Alphonse Allais)

E oggi, quanto influenza il nome dell’autore nella popolarità di un romanzo o nella scelta di una poesia in un concorso? E i lettori, prediligono un testo per la fama dello scrittore o per la trama del libro? E gli editori?
Ogni anno in America viene pubblicata un’antologia di poesie dal titolo “Best American Poetry ” che, dopo un’accurata selezione di giuria, decreta i nomi dei migliori scrittori che si sono distinti per le loro opere liriche nell’arco dell’anno.

Michael Derrick Hudson è un poeta americano e come molti scrittori ha inviato una sua composizione al “Best American Poetry” per essere pubblicato e annoverato tra i migliori autori di liriche. Mr. Hudson ha inviato la sua opera al concorso indetto dal “B. A. Poetry”, quaranta volte. E per ben quaranta volte la sua poesia è stata rifiutata.

Michael Derrick Hudson riteneva però che la sua composizione dal titolo “The Bees, the Flowers, Jesus, Ancient Tigers, Poseidon, Adam and Eve” (… con un titolo così’) meritasse di essere inclusa nella rosa delle migliori opere liriche e, di essere quindi inserita nell’antologia. Così, dopo quaranta rifiuti – durante i quali qualcuno avrebbe anche rinunciato al sogno di vedere il proprio nome in quella lista – Michael Derrick Hudson decide che fosse giunto il momento di cambiare… identità.

Era sicuro che sua lirica funzionasse: non serviva cambiare poesia, piuttosto era necessario cambiare poeta. O per meglio dire nome del poeta: Yi-Fen Chou. Questo è lo pseudonimo che Mr. Michael Derrick Hudson aveva deciso di dare alla sua nuova identità, all’autore dell’opera; quella stessa opera che per quaranta volte era tornata indietro ed era stata rifiutata. Ed è proprio grazie a quel nome, Yi-Fen Chou, che Mr. Hudson entra magicamente a far parte del “Best American Poetry 2015”.

Proprio così! Quell’identità asiatica aveva portato fortuna a Mr. Hudson e aveva spalancato finalmente le porte al suo sogno: era riuscito a fare parte nella rosa dei 75 poeti dell’anno del “Best American Poetry 2015”.

Unico problema era sorto quando l’autore, una volta appagata la sua brama di notorietà, aveva rivelato , ahimè, di non essere asiatico. Non era Yi-Fen Chou, ma (semplicemente) l’americano, Michael Derrick Hudson. Sherman Alexie, scrittore e curatore dell’antologia, ovviamente ci restò male. Riconsiderò l’opera, aggiungendo che la lirica era notevole ed era stata giustamente inserita nell’antologia, non perché l’autore fosse asiatico, ma proprio per la qualità della lirica… Eppure “quell’opera notevole” era stata rifiutata ben quaranta volte (!!).

Come precedentemente annunciato però, la storia delle false identità letterarie ha una lista interminabile di protagonisti da citare. Uno dei casi editoriali più eclatanti durante i primi anni 80, era stato quello della scrittrice britannica Doris Lessing, pseudonimo di Doris May Tayler, Premio Nobel per la letteratura nel 2007. Donna di carattere e ingegno, Doris Lessing cercò di comprendere i funzionamenti del mercato editoriale attraverso uno dei suoi libri più famosi, il “Diario di Jane Somers”.

La scrittrice, all’epoca già celebre per i suoi lettissimi romanzi, inviò il manoscritto al suo editore Jonathan Cape, titolandolo “Il diario di una vicina di casa” e firmandolo con il suo secondo pseudonimo, ancora sconosciuto, Jane Somers. Il libro fu rifiutato sia da Jonathan Cape che da altri editori; l’unico che decise di pubblicarlo fu Knopf. L’opera ottenne pochissime recensioni, anche se tutte molto positive.

In passato, più che oggi, la pseudonimia aveva il compito di mascherare la vera identità dell’autore per difenderlo dai pericoli in cui sarebbero incorsi nel caso in cui il loro vero nome fosse stato scoperto; come riporta l’enciclopedia Treccani in passato si utilizzava la pseudonimia “per evitare pregiudizî sociali che non consentivano l’esercizio della professione letteraria sotto il loro nome reale, o ancora perché quel nome suonava o pareva sonare volgare o ridicolo”.

Per cacofonia, per mascherarsi, o per essere liberi da pregiudizi, lo pseudonimo ha sempre avuto un suo posto in prima fila nel grande teatro dell’arte.
Come spesso accadeva negli anni di maschilismo sfrenato, tra il Quattrocento e l’Ottocento (e forse qualche secolo in più), in cui il giudizio verso le donne risultava essere agli ultimi posti della scala di estimazione da parte del pubblico medio, le poetesse e le scrittrici, ma anche pittrici, erano costrette a vestire nomi da uomo per potere avere pari meriti e medesime attenzioni da parte della critica.

Celebre è il caso delle sorelle Brontë, Charlotte, Emily e Anne, vissute nella seconda metà dell’Ottocento durante l’età vittoriana, le quali per paura di un fallimento dei loro romanzi, avevano deciso di firmare i loro scritti con nomi maschili: Charlotte scelse Currer Bell, Emily preferì Ellis Bell, mentre Anne decise per Acton Bell.

Probabilmente se le tre sorelle dell’ Haworth (Yorkshire) in Inghilterra, avessero utilizzato la loro vera firma, oggi non avremmo avuto capolavori letterari come Cime Tempestose, Jane Eyre e Agnes Grey.

Amantine Aurore Lucile Dupin probabilmente è un nome che non suona familiare a molti. La sua fama è infatti legata ad un nom de plume maschile, George Sand. Femminista, omosessuale, anticonformista, scrittrice e drammaturga francese, George Sand frequentava i salotti letterari dei nomi più autorevoli del primo Ottocento. Vestiva con abiti maschili perche ‘più economici di quelli da donna’ e, in seguito, decise di a farsi chiamare George. Alla critica del tempo, che si chiedeva chi fosse quell’autorevole scrittore che aveva esordito con “Indiana”, George Sand nelle sue Memorie rispose: «Presi subito, senza tante ricerche, il nome di George […] che cos’è un nome nel nostro mondo rivoluzionato e rivoluzionario? Un numero per coloro che non fanno niente, un’insegna o una divisa per coloro che lavorano o combattono. Io me lo sono fatto da sola, con la mia fatica».

Tra il 1977 e il 1984 negli Stati Uniti vennero pubblicati cinque romanzi a firma di Richard Bachman. I libri non ebbero grande successo di pubblico né di critica, fin quando non si scoprì che dietro questo finto profilo si celava in realtà il re del romanzo gotico moderno, Stephen King, il quale aveva cercato di tastare in qualche modo i suoi appassionati lettori. Nel 1985 dopo aver rivelato la sua era identità, King stesso dichiarò morto il suo alter-ego per «cancro dello pseudonimo».

“L’origine dei miei eteronimi
è il tratto profondo di isteria che esiste in me”
Così scriveva Fernando Pessoa il poeta dei “falsi-nomi”, uno scrittore che amava giocare con le identità ingannatrici: Álvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro e Bernardo Soares.
Aron Hector Schmitz, scrittore de “La coscienza di Zeno” divenne celebre con il nome di Italo Svevo, in omaggio alla sua storia e alle sue radici italiane e tedesche. Stessa sorte anche per la maestra del giallo, Agatha Christie che adottò il nome di Mary Westmacott per scrivere sei romanzi rosa, redatti tra il 1930 e il 1956. Marie-Henri Beyle, invece è l’autore de “Il rosso e il nero”, meglio noto come Stendhal. Uno dei romanzieri più importanti del XX secolo è certamente Alberto Moravia che conribuì a fare la storia della letteratura italiana negli anni pasoliniani di cambiamento sociale. Il suo vero nome però era Alberto Pincherle: scelse questo nome in ricordo di sua nonna il cui cognome era appunto Moravia. In memoria della mancata carriera medica tanto auspicata dal padre, Theodor Geisel, decise di utilizzare il suo secondo nome aggiungendo un autorevole «Dr.» da mancato doctor a fumettista e romanziere per ragazzi, Dr. Seuss fu l’autore de “Il Grinch”

William Sydney Porter invece, si vide costretto a utilizzare O. Henry a causa della propria condizione di carcerato per appropriazione indebita, e irregolarità nei conti bancari, quando ancora lavorava in banca.

Un recentissimo caso di reo confesso di coming out da pseudonimo letterario è J.K. Rowling, madre del celeberrimo maghetto Harry Potter, che firmò “Il richiamo del cuculo” sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith.
Per essere più congeniale al pubblico di lettori britannici, il polacco Jozef Kondrad Korzienowski, s’inventò l’ alter-ego british, Joseph Conrad; mentre il matematico Charles Lutwidge Dodgson firmò i suoi strabilianti libri per bambini quale “Alice nel paese delle meraviglie” con il nome di Lewis Carroll. Nella letteratura per ragazzi, un evergreen italiano è certamente “Le avventure di Pinocchio” scritto da Carlo Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini. Tra i poeti, ricordiamo Umberto Saba e Pablo Neruda, i cui nomi sarebbero Umberto Poli e Ricardo Eliezer Neftalí Reyes Basoalto (sic!) lo pseudonimo fu scelto per omaggiare il poeta cecoslovacco Jan Neruda.

Nel 2005 Madeleine Sophie Wickham diventa famosa scrivendo la serie di romanzi dedicati alle shopping addicted con il nome di Sophie Kinsella.
Sveva Casati Modigliani è la firma che per anni ha celato gli autori dei romanzi dei coniugi Bice Cairati e Nullo Cantaroni.

La scrittrice francese Frédérique Audouin-Rouzeau autrice di molti scritti tra cui la nota Trilogia de “I Tre Evangelisti” snellì la sua identità in Fred Vargas. Anche la giornalista de La Repubblica e scrittrice per Feltrinelli, Loredana Lipperini era stata accusata dal critico Gian Paolo Serino di essere Lara Manni scrittrice urban fantasy di fanfiction, che esordi con Esbat.
Ancora in dubbio resta invece l’identità della scrittrice Elena Ferrante, vincitrice di svariati premi e selezionata al Premio Strega e al premio Artemisia. Tra le ipotesi fatte sulla sua vera identità, ci sarebbe quelle di Anita Raja, traduttrice e saggista partenopea, moglie di Domenico Starnone.
Una folta lista di scrittori (e l’elenco potrebbe proseguire lungamente) – che nell’arco dei secoli per isteria, per gioco, per vanità per questioni di mercato o per nascondere il mr. Hyde androgino che cova in ogni artista – hanno affidato la propria sorte letteraria ad un Nome. Poiché in mancanza di quel Nome, soprattutto oggi, la sorte risulta controversa.

Quando Doris Lessing quando decise di rivendicare la paternità dell’opera per affidarla al suo imbarazzato editore Cape che pubblicò in seguito con il titolo “Diario di Jane Somers” commentò il suo esperimento editoriale dicendo che : « nell’industria letteraria niente ha più successo del successo>>
Insomma, cambiando l’ordine degli addendi, in letteratura, il risultato cambia. Eccome!

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