Storia dell'Isola, il quartiere storico che vogliono cancellare
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Storia dell'Isola, il quartiere storico che vogliono cancellare

Gentrificazione all'Isola, Milano. Un processo che rischia di cancellare addirittura il nome del quartiere a vantaggio di un fantomatico Distretto di Porta Nuova. [Antonio Brizioli]

Isola Pepe Verde
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1 Febbraio 2015 - 19.55


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di Antonio Brizioli

Ottocento e primo Novecento: l’Isola come periferia reale

Nell’Ottocento l’Isola appartiene ai Corpi Santi, le aree agricole immediatamente fuori dalle porte di Milano, integrate alla città nel 1873. La condizione di isolamento da cui prende il nome comincia a farsi manifesta a fine secolo, quando Milano si sviluppa prepotentemente secondo il modello proposto dal Piano Beruto (1884), quello di una città radiocentrica, in cui grandi viali collegano il centro alle nuove periferie industriali.

L’Isola è una di queste. Lo stabilimento principale è il TIBB (Tecnomasio Italiano Brown-Bovery), fabbrica di macchinari elettrici che sorge nel 1908 rilevando la preesistente Gadda&C e rappresenta la principale fonte di lavoro per gli abitanti di quartiere. Il TIBB è affiancato da numerosi stabilimenti minori, fra cui la fabbrica di pettini Janecke e la fabbrica di saponi Heinemann.

A queste date l’Isola è una periferia reale nella geografia milanese, la cui separatezza è accentuata da due barriere naturali che ne condizioneranno lo sviluppo futuro: a est il Naviglio Martesana, cementificato negli anni Sessanta sotto il tracciato dell’attuale via Melchiorre Gioia, a sud i binari della ferrovia, che fin dalla metà dell’Ottocento marcano il confine fra il quartiere e il centro di Milano, reciprocamente collegati solo mediante il “sottopasso dei Fontanili”, collocato in prossimità dell’attuale ponte di via Farini.

Secondo Novecento: l’Isola come periferia paradossale

Nel secondo dopoguerra Milano riprende a crescere e l’Isola non è più a una tale distanza dal centro da poter essere considerata periferia, tuttavia le barriere geografiche ne impediscono una naturale integrazione al tessuto urbano milanese. Le fabbriche chiudono progressivamente, compreso il TIBB, la cui dismissione del 1965 lascia al quartiere un relitto industriale di straordinarie dimensioni. L’Isola assume uno status paradossale di “periferia centrale”, rispetto al quale la Città di Milano comincia a produrre delle possibili soluzioni.

Il PRG del 1953 colloca un Centro Direzionale sull’area che comprende l’Isola, la quale sarebbe letteralmente sventrata per consentire la costruzione di nuovi uffici, serviti da una nuova viabilità di assi a scorrimento veloce (di cui il Cavalcavia Bussa ancora oggi esistente è un illustre orfano). Il progetto naufraga nel suo insieme e viene riproposto in versione ridotta con la Variante Cannarella del 1972, che prevede lo sgombero di centinaia di famiglie dell’Isola residenti in via Borsieri. Ne segue un duro scontro e i progetti vengono in buona parte impediti dalla mobilitazione dal basso di numerosi e organizzati comitati di abitanti e gruppi della sinistra extra-parlamentare. Dunque, quando analizzeremo gli eventi degli anni Duemila, bisognerà tener conto del fatto che tanto la proposta urbanistica di un’Isola di stradoni e torri, quanto la resistenza di quartiere organizzata come una lotta politica dal basso, equipaggiata anche coi mezzi dell’arte, poggiano su una solida tradizione novecentesca. Non a caso il secolo si chiude con l’ennesima attualizzazione del Centro Direzionale, disegnata stavolta dall’architetto Pierluigi Nicolin e annullata dal Tar nel ’93 su ricorso degli abitanti.

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La Stecca degli artigiani e i giardini

 

Anni Duemila: nuove forme di lotta

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Nell’anno Duemila riprende vigorosa l’offensiva che vuole l’Isola come luogo simbolico di una Milano del futuro. Con questo intento nasce la fondazione che lavorerà al reperimento dei fondi per la costruzione di una Città della Moda nell’area Garibaldi-Repubblica, la porzione sud dell’Isola. Gli stilisti chiamati in causa si disinteressano ben presto, ma il progetto non viene abortito né riconfigurato: si procede con questa etichetta, che fa leva sulla vocazione più riconoscibile di Milano, quella più rinomata all’estero e meglio spendibile a livello pubblicitario.

La variante al PRG del marzo 2001, tramite un insieme di permute e rinnovate convenzioni, rende edificabile l’area scelta per la Città della Moda e approva la costruzione di una strada a scorrimento veloce volta alla riconnessione dell’Isola al centro di Milano. La strada andrebbe a distruggere il cuore verde del quartiere, costituito dai due giardini di via Confalonieri, ricavati negli anni Novanta dallo smantellamento delle parti laterali dell’ex TIBB, di cui resta in piedi soltanto la struttura centrale, chiamata “Stecca degli Artigiani” perché a partire dagli anni Ottanta il Comune ne affitta alcuni spazi agli artigiani di quartiere.

A difesa di questi spazi nasce Isola Art Project, un progetto di pochi artisti e chiare intenzioni che successivamente diventerà Isola dell’Arte e infine Isola Art Center, nome con cui tutt’ora opera. L’esordio artistico è rappresentato da una barriera in legno bianco dell’artista lussemburghese Bert Theis, che protegge simbolicamente i giardini di via Confalonieri dal passaggio della nuova strada. E di seguito una serie di iniziative nello spazio pubblico dei giardini, proprio con la finalità di valorizzarli e preservarli dalle minacce urbanistiche. Si crea un fronte di difesa dei giardini e della Stecca comprendente varie realtà fra cui anche Cantieri Isola, un’associazione di architetti legati al Politecnico, e l’attivissimo Comitato di abitanti “I Mille”.

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Untitled/untilted, la palizzata in legno bianco di Bert Theis con cui Isola Art Project avvia il proprio impegno fra arte e politica, 2001

 

Nel 2003 Isola Art Project cambia nome in Isola dell’Arte, estende la partecipazione a un gruppo di artisti e curatori numeroso e visibile e occupa progressivamente l’intero secondo piano della Stecca degli artigiani. La Stecca in questi anni si presenta come una “grande casa della moltitudine”, dove convivono iniziative artistiche di livello internazionale, comitati di quartiere, artigiani, la sede di Rifondazione Comunista, laboratori di giorno, feste di notte, collettivi effimeri, spacciatori, senza tetto, prostitute. Una convivenza spesso conflittuale, in un contesto di innegabile fervore artistico, culturale e sociale. La lotta per lo spazio all’Isola è combattuta da questo fronte eterogeneo nella più classica delle dinamiche ALTO VS BASSO.

Prevale l’ALTO con una strategia tanto vincente quanto miope: la multinazionale texana del settore immobiliare Hines rileva progressivamente tutti i terreni, coadiuvata dal ben noto costruttore Salvatore Ligresti e dal Comune di Milano, alleato fedelissimo; l’affidamento del masterplan del progetto a Stefano Boeri smorza l’opposizione e rende più amabile la “riqualificazione” a una buona parte della sinistra (istituzionale e non); il fronte di quartiere è spaccato e molte associazioni della Stecca, fra cui Cantieri Isola, accettano di lasciare l’edificio per essere ricollocate in nuovi spazi costruiti dalla multinazionale (l’attuale Incubatore dell’Arte); il Comitato I Mille e Isola Art Center (diventato tale nel 2005, a seguito di una riconfigurazione in piattaforma aperta a nuovi artisti e collettivi) restano oppositori isolati e il 25 aprile del 2007 la Stecca viene definitivamente abbattuta.

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Post 2007: la nuova Isola

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Nel giorno della Liberazione, la Stecca degli artigiani viene demolita ad opera del Comune di Milano con la distruzione di numerose opere d’arte al secondo piano, 25 aprile 2007

 

A Stecca abbattuta le cose procedono molto veloci: si apre un gigantesco cantiere sull’area dei vecchi giardini, dal quale presto spunta il Bosco Verticale progettato da Boeri Studio, circondato da una serie di costruzioni minori di vari studi di architettura internazionali, tutte pubblicizzate col tema della sostenibilità e dell’energia rinnovabile. Di fatto si tratta della privatizzazione di uno spazio pubblico e della cementificazione di uno spazio verde, riproducendo il verde stesso in forma di brand. Del grande parco urbano previsto per l’area con il nome di “Biblioteca degli alberi”, pensato in origine come elemento generatore delle forme architettoniche circostanti, ad oggi non vi è traccia e venendo realizzato ora che tutte le costruzioni sono compiute, sarà piuttosto un elemento di collegamento fra le torri.1 L’edificio “Rasoio” di Ligresti, attiguo al Bosco Verticale, si presenta in forma di gigantesco scheletro in cemento armato, congelato dalle note vicende giudiziarie che coinvolgono il costruttore.2In via Volturno 33, il civico che dal 1964 al 1991 fu sede lombarda del PCI, sorge oggi un grattacielo fuori scala della società altoatesina Hobag. Ci approssimiamo all’EXPO forti di questi landmark che, costruiti in fretta e furia per rimarginare una ferita cronica, di fatto la rendono più visibile e sanguinosa.

Quanto alla mobilitazione di quartiere, alcune realtà sono state come detto ricollocate nell’Incubatore dell’Arte, altre hanno interrotto il loro impegno a seguito dell’abbattimento della Stecca; Isola Art Center ha compiuto un’interessante transizione in “centro disperso”, senza sede, che continua ad operare all’interno del quartiere ma ha concentrato molto del suo impegno in una dimensione di racconto, svolta da un lato mediante la partecipazione a eventi artistici fuori dall’Isola, in Italia e all’estero, dall’altra tramite un’intensa attività teorica e d’archivio culminata nella pubblicazione del libro Fight-Specific Isola, che ripercorre passo passo la storia del progetto.

Le forze dal basso ancora attive hanno trovato un’occasione di lavoro concreto in Isola Pepe Verde, un giardino condiviso e autogestito, rivendicato dagli abitanti in un’area al di sotto del Cavalcavia Bussa, miracolosamente scampata alla speculazione edilizia e affidata agli abitanti nel 2013 tramite una convenzione col Comune rinnovabile di anno in anno. Un progetto vitale e innovativo, che per tenere aperto un conflitto aspro come quello dell’Isola ha però bisogno di un’identità politica forte: troppo spiacevole il rischio di diventare un luogo naïf e comodo a tutti.

Il futuro dell’Isola

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La sintesi di quanto avvenuto all’Isola nel pennarello dell’artista rumeno Dan Perjovschi, 2012.

 

La geografia sociale del quartiere è ormai polarizzata in due realtà difficilmente compatibili: la nuova Isola di lusso, per la quale stanno progressivamente aprendo attività di target adeguato, e la vecchia Isola, che ha perso il suo cuore pulsante, ma ha mantenuto architettonicamente intatta la parte a nord e a est delle nuove edificazioni. È in corso (o forse si è già compiuta) una non dichiarata e ben evidente battaglia sulla gentrificazione, che in presenza di un cambiamento architettonico e sociale così innaturale non lascia spazio a soluzioni di compromesso: o ci sono le forze per produrre un’Isola ridimensionata nella taglia e rinfocolata nello spirito, o la definitiva espulsione degli abitanti storici darà via libera alla configurazione di un nuovo quartiere, che forse non si chiamerà neppure Isola, dato che tutti i nuovi progetti si riferiscono a un fantomatico “Distretto di Porta Nuova” che, se esiste, esiste dall’altro ieri sulle macerie di uno dei quartieri più attivi della Milano del Novecento. Nella foga dell’autocelebrazione si cerca di riscrivere la storia, si gode per l’assegnazione a un progetto socialmente catastrofico come quello del Bosco Verticale del fantomatico premio di “Miglior grattacielo del mondo”, una specie di “Miss maglietta bagnata” per architetti.3 La caratteristica più inquietante del piano architettonico globale proposto all’Isola sta proprio nel fatto che, per legittimarsi, esso ha bisogno di fingersi sorto in un terreno senza preesistenze.

Note

1 Lo stesso Mirko Zardini, uno dei progettisti dello studio Inside/Outside, vincitore nel 2004 del “Concorso Internazionale per i Giardini di Porta Nuova” con la “Biblioteca degli Alberi”, scrive: «È grave constatare che in questo periodo il Comune non ha dimostrato alcuna considerazione per il parco, che era stato concepito come un mezzo per integrare i vari progetti in un sistema coerente di spazi aperti. Al contrario ha favorito la frammentazione degli interventi circostanti. Il parco, invece di guidare la progettazione dell’area, è stato interpretato dal Comune come lo spazio di risulta degli interventi circostanti», mail a Michele Sacerdoti del 4 ottobre 2007, in Fight-Specific Isola. Arte, architettura, attivismo e il futuro della città, Archive Books, Milano 2013, p. 183.

2 Il costruttore, già arrestato e condannato ai tempi di Tangentopoli, viene nuovamente arrestato nel 2013 insieme alle figlie Giulia e Jonella, con l’accusa di falso in bilancio e ostacolo all’attività di vigilanza. Il cantiere del cosiddetto “Rasoio”, già sequestrato dal Consiglio di Stato nel 2009, è ora di proprietà di Unipol, che proprio in questi giorni sta decidendo col Comune di Milano cosa farne in vista dell’Expo: se coprirlo con pannelli pubblicitari o addirittura demolirlo. Isola Art Center propone di destinarlo ad abitazioni a basso costo e alle attività sociali sottratte al quartiere dalla speculazione.

3 Si tratta dell’International Highrise Award dell’Università di Architettura di Francoforte, che nel 2014 ha premiato il Bosco Verticale con 50.000 Euro e una statuetta, accolti dai media italiani come un trionfo per l’intero paese.

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