Addio a Richard Attenborough, la storia del cinema in persona
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Addio a Richard Attenborough, la storia del cinema in persona

Avrebbe compiuto 91 anni il 29 agosto, il regista di Chaplin, premio Oscar per Gandhi e noto, come attore, per La grande fuga e Jurassic Park. [Marco Spagnoli]

Marco Spagnoli
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25 Agosto 2014 - 13.20


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di Marco Spagnoli

Se ci sono degli attori e dei registi che in qualche maniera incarnano la storia del cinema Richard Attenborough è stato uno di questi. Nato a Cambridge nell’agosto del 1923, figlio di un professore universitario, Richard Samuel Attenborough che dal 1993 si è potuto fregiare del titolo di Lord of Richmond upon Thames ha vissuto un’esistenza degna degli altari cinematografici.

Proprio lui che da sempre è interessato agli uomini e alle loro vite e che ha realizzato come regista numerosi film biografici di successo come Gandhi interpretato da Ben Kingsley che nel 1982 è stato ricoperto da una pioggia di Oscar, come Chaplin realizzato dieci anni dopo con Robert Downey Jr. nei panni di Charlot e come Grey Owl con l’ultimo 007 Pierce Brosnan nel ruolo di uno dei primi ecologisti della storia.

Innamorato da sempre del nostro paese all’Italia ha dedicato il suo penultimo film da regista Amore per sempre dove Sandra Bullock e Chris O’Donnell erano protagonisti di una storia che raccontava l’esperienza di Ernest Hemingway come soldato dell’esercito americano durante la Prima Guerra Mondiale in Veneto.

Attore teatrale, ma non solo Attenborough ha interrotto la sua carriera per partecipare come effettivo alla Seconda Guerra Mondiale nella mitica RAF vincitrice contro i nazisti della cosiddetta Battaglia d’Inghilterra. Dopo la guerra è approdato al cinema partecipando alle più importanti pellicole britanniche e americane: Nudi alla meta, Quelli della San Pablo, La grande fuga sono solo alcuni titoli della sua carriera piena di successi come attore. Professione da cui spesso si è preso una pausa per dirigere film che hanno profondamente segnato il cinema moderno come Chorus Line, Grido di libertà e Quell’ultimo ponte. Da sempre impegnato per il sociale e per la tutela della Natura, Attenborough è stato ambasciatore di Unicef e WWF. Steven Spielberg lo ha voluto a tutti i costi per i primi due episodi legati ai dinosauri di Jurassic Park. Erano quattordici anni che Attenborough non si metteva di fronte ad una macchina da presa e la forza persuasiva di Spielberg ha fatto sì che il regista accettasse anche la parte di Sir William Cecil, consigliere di corte della regina interpretata da Cate Blanchett nel capolavoro di Shekar Kapur, Elizabeth.

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Una vita piena, degna di un film, senza contare le innumerevoli onoreficenze e riconoscimenti internazionali che affollano i ricordi di Lord Richard. Un autore, un artista e un gentiluomo che ha fatto della modestia e dell’impegno civile la chiave di volta di un’intera carriera. Vincitore del Premio Martin Luther King per la sua opera dedicata al martire dell’apartheid sudafricana Steven Biko, Richard Attenborough ha impegnato tutta la sua vita nella difesa della verità. E in esclusiva per Tuttoscuola racconta il suo grande amore per la storia e per gli uomini che l’hanno fatta.

A tal proposito diceva:”Ho lasciato la scuola quando avevo solo diciassette anni e non possedevo alcuna educazione post scolastica. Non sono andato all’università e questa è stata una scelta molto singolare per qualcuno i cui genitori erano entrambi degli accademici. Quando la guerra è finita mi sono sentito perduto e ignorante. Avevo bisogno di conoscere il nostro mondo e così ho incominciato a leggere tutto quello che mi capitava dinanzi. Soprattutto libri di storia dal diciottesimo secolo in poi. La mia era una famiglia di ‘radicali’, di persone consapevoli del mondo che le circondava. La nostra non era né una dedizione, né un credo, ma era naturale come il respirare, sapere che esistevano ed – ahimé – esistono ancora milioni di persone molto meno fortunate di noi. Sono sempre stato cosciente di coloro che facevano scelte forti. Spesso meravigliose, altre volte tremende. Come attore ho fatto molti film: alcuni buoni, altri orribili, altri ancora da ignorare totalmente. Ho iniziato a fare il produttore, perché non mi sentivo confortevole con la maggior parte dei ruoli che dovevo interpretare. Volevo, infatti, vedere un altro cinema”.

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Parlando di Gandhi, ricordava: “Una sera del 1960 ero andato da Southeby’s e ad un’asta avevo acquistato un enorme busto bronzeo del Pandith Neru. Io e mia moglie eravamo andati a letto molto tardi e la mattina alle sette e trenta squilla il telefono. Un signore dal forte accento indiano mi dice che sapeva tutto di me e che voleva incontrarmi alle otto e trenta. Dopo avere concordato un appuntamento per le nove, questo attivista per i diritti civili in India mi consegnò la biografia ‘definitiva’ del Mahatma Gandhi chiedendomi di fare un film su quell’uomo. Io tentai di controbattere dicendo: “Non ho mai diretto un film, io sono un attore”. Mi rispose: “So che può farlo, legga questo libro.” Arrivato a pagina ventitré rimasi folgorato da un episodio di quando Gandhi diciassettenne era in Sudafrica e passeggiando con un amico lungo una strada, come la regola voleva, cedette il passo a due Boeri. Rivolto al suo compagno disse: “Sono sempre molto sorpreso che certi uomini si sentano onorati dall’umiliazione di un altro essere umano…” Anche oggi mentre dico a lei questa cosa avverto lo stesso brivido che provai allora nel leggere quelle parole. Terminai il libro e telefonai all’indiano, urlando: “Mr.Kathari, farò questo film. Lei ha dei soldi per finanziarmi?” La risposta fu: “No”.

Così mi ci vollero venti anni per girare Gandhi. L’anno dopo volai a Nuova Delhi e con l’aiuto di Lord Mounbatten, l’ultimo viceré inglese in India ucciso poi dall’IRA, potei incontrare il Pandith Neru per parlare di Gandhi. Questa lunghissima risposta solo per dire che in quel momento decisi di dedicare la mia vita a raccontare le storie delle persone che mi avevano emozionato con le loro azioni e idee. Il potere del cinema è assai superiore a quello della letteratura e dell’informazione. Così, mi convinsi di dover raccontare al mondo la storia delle persone attraverso i film. Concentrare attraverso il linguaggio cinematografico delle idee è diventato lo scopo della mia vita professionale.”
Quando gli abbiamo chuest di parlare delle sue battaglie civili come quella contro l’apartheid in Sudafrica “Ho girato un film chiamato Grido di libertà, perché ho sempre aborrito l’idea della divisione tra bianchi e neri. Dopo tante manifestazioni, dopo tante raccolte di fondi ho deciso di fare un film, perché volevo denunciare questa situazione di fronte al mondo. Sapevo bene che se avessi realizzato una pellicola che avesse riguardato solo l’apartheid questa sarebbe stata vista unicamente dalle persone che condividevano le mie idee. Io, invece, volevo raggiungere un pubblico più vasto. E l’ho fatto girando un film eccitante e interessante dal punto di vista cinematografico. Raccontando una storia che raggiungesse tutti, senza preconcetti ed esclusioni. La mia ricompensa è stata quella di incontrare anni dopo Nelson Mandela e di sentirmi dire che la mia pellicola aveva avuto un’enorme influenza sui bianchi sudafricani, proprio in virtù della sua forma cinematografica e della sua grande onestà intellettuale.
I personaggi che mi appassionano non sono eroi, ma uomini che lottano per la verità e per cambiare le cose, subendo come tutti le incertezze e le contraddizioni del proprio tempo. Questo – almeno – è il pensiero del Generale Attenborough…”

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