Quando la Magnani la chiamò Puttana
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Quando la Magnani la chiamò Puttana

Lawrence Schiller, allora poco più che ventenne, riuscì a convincere Marilyn Monroe a posare nuda. Oggi racconta l'incontro con l'icona della bellezza. [Marco Spagnoli]

Quando la Magnani la chiamò Puttana
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28 Maggio 2012 - 19.10


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di Marco Spagnoli

(Hollywood) – Marilyn nuda. Il sogno erotico di qualsiasi uomo sulla Terra e, certamente, la sfida professionale più ambita da qualsiasi fotografo.

Lawrence Schiller, allora poco più che ventenne, per una serie di circostanze fu capace di convincere la diva americana a posare per lui in quella celebre serie di scatti che riuscirono a transfigurare il corpo di Marilyn in leggenda, degno di una sorta di devozione postmoderna che fa entrare in qualsiasi albergo o cinema di Los Angeles e ce la fa trovare come una moderna Madonna in grado di perdonare gli altri per i propri peccati, ma certamente non se stessa.

Una scelta che lo stesso Schiller ricorda voluta fortemente da Marilyn che oltre ad emergere da una piscina di notte, voleva liberare il proprio corpo dal bikini dinanzi all’obiettivo.

Vanity Fair chiede, nella sua edizione di giugno, a Schiller di ricordare quel famoso shooting notturno in piscina nel maggio del 1962, solo qualche giorno prima che la diva compisse 36 anni e poco più di cento giorni dalla scomparsa misteriosa della diva il 4 agosto 1962 in circostanze dubbie, mai del tutto chiarite, che hanno, di volta in volta, coinvolto le scuse più banali (l’improbabile suicidio) e i complotti più intricati (la Mafia, Cuba, il KGB).

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Il racconto di Schiller è preciso, chiaro, lucido e la Marilyn che emerge dalle parole di Schiller è quella che la maggior parte tra coloro che l’hanno conosciuta ricordano davvero: un misto di ingenuità e di calcolo, di candore e determinazione, di consapevolezza di sè e di incapacità di essere accettata.

Schiller cita molti dettagli interessanti: la sofferenza dell’attrice per essere stata sempre rifiutata dall’Academy e non avere mai avuto una nomination all’Oscar, il suo primo confronto inevitabile con l’età che passa e le prime rughe, da lì, il ricordo della diva di avere incontrato la Magnani che le aveva consegnato il David di Donatello a New York per la sua interpretazione ne Il principe e la ballerina da lei prodotto e diretta da Laurence Olivier.

Uno dei film meno riusciti di Marilyn e anche uno dei suoi più ‘sofferti’ per la diva che non venne mai in Italia, a differenza dei suoi tanti colleghi che popolarono la Hollywood sul Tevere di quel tempo e a differenza, soprattutto, del suo bizzarro clone, la maggiorata e altrettanto sfortunata Jayne Mansfield.

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Parlando della Magnani, Marilyn dice: “Mi ha abbracciato davanti alle macchine da presa e mi ha chiamato ‘Putana’ quando pensava che io non la stessi sentendo.” Schiller le chiede ‘Che cosa significa ‘Putana’?. Marilyn risponde “Cercalo! E’ italiano.”

Un aneddoto colorito, mai riportato prima rispetto a quella celebre premiazione, che restituisce il senso del divismo e di una Hollywood ancora non drogata dal politicamente corretto dove nessuno parla male degli altri in pubblico o con persone che, anche a distanza di cinquanta anni, potrebbero ricordare il passato.

Nelle parole di Marilyn non c’è né rabbia, né gusto per il pettegolezzo: solo il ricordo di un altro momento di difficile confronto con un’altra donna, un’altra diva…uno dei tanti nulla di più.

Nell’articolo, però, ce ne è anche per altri e qui si possono leggere rammarico e perfino rabbia: cntro la 20th Fox, per esempio, che non la pagava quanto altre dive (su tutte Elizabeth Taylor) e per tutto un mondo che aveva rifiutato quella che, oggi, ad ancora mezzo secolo dalla sua morte, gode una grande fama tra i giovani e anche tra coloro che non hanno mai visto un suo film.

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Un’altra prova della diversità di Marilyn e del fascino prepotente e unico della sua personalità e del suo corpo che emerge in questi scatti ancora più graffiante e sensuale che mai.

Frasi e foto che oggi, sul Viale del Tramonto, ovvero il Sunset Boulevard vicino al quale sono stati realizzati in una notte di maggio del 1962, sembrano perdersi nel vento del tempo, ma che sono anche incredibilmente importanti e significative per celebrare un’epoca della storia del cinema, destinata, come è anche giusto che sia, a non ripetersi mai più e a diventare oggetto dei libri di storia.

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