Ungheria di Orban: attivista dei diritti umani sotto indagine per aver organizzato un Pride
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Ungheria di Orban: attivista dei diritti umani sotto indagine per aver organizzato un Pride

Un attivista per i diritti umani in Ungheria è finito sotto indagine e rischia accuse penali per aver organizzato un corteo del Pride pacifico,

Ungheria di Orban: attivista dei diritti umani sotto indagine per aver organizzato un Pride
Pride in Ungheria
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10 Dicembre 2025 - 10.30


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Un attivista per i diritti umani in Ungheria è finito sotto indagine e rischia accuse penali per aver organizzato un corteo del Pride pacifico, in un caso che molte organizzazioni definiscono “senza precedenti e pericoloso” per l’Unione Europea.

All’inizio di ottobre, migliaia di persone si sono riversate nella città meridionale di Pécs per partecipare al Pride. Era il quinto anno dell’evento – l’unico Pride annuale del Paese oltre a quello di Budapest – e si stava affermando come simbolo dell’impegno della città per la libertà, la diversità e la convivenza delle minoranze.

Quest’anno, però, la politica ha pesato più che mai. A marzo, il primo ministro Viktor Orbán e il suo partito populista di estreka destra hanno votato per vietare gli eventi Pride, autorizzando inoltre l’uso di tecnologie di riconoscimento facciale per identificare e potenzialmente multare i partecipanti. Amnesty International ha definito la misura un “attacco frontale” contro le persone LGBTQ+.

Nonostante ciò, a giugno decine di migliaia di persone hanno sfidato il divieto e hanno marciato a Budapest, dopo che il Pride era stato riclassificato come evento culturale municipale.

Qualche mese più tardi, anche il Pride di Pécs ha registrato un’affluenza record: fino a 8.000 partecipanti, tra cui diversi membri del Parlamento europeo, nonostante la polizia e la Corte suprema avessero confermato il divieto dell’evento.

Per l’organizzatore, Géza Buzás-Hábel, l’incubo è iniziato subito dopo. “Abbiamo deciso di tenere il Pride di Pécs nonostante il divieto, perché l’Ungheria deve restare un Paese europeo”, ha dichiarato l’attivista Rom, gay e impegnato da anni nella difesa dei diritti LGBTQ+. “La libertà di riunione è un diritto umano fondamentale e non possiamo permettere che decisioni politiche limitino la visibilità e l’espressione della nostra comunità.”

Organizzato dalla Diverse Youth Network, il gruppo cofondato e guidato da Buzás-Hábel, il corteo aveva assunto un significato sempre più ampio negli ultimi anni, mentre le autorità ungheresi intensificavano misure discriminatorie contro le persone LGBTQ+. “Se non ci difendiamo qui, dove potremmo farlo?”, ha detto. “Il Pride non è solo una marcia: è un messaggio. Le persone queer esistono, anche quando altri cercano di ridurle al silenzio.”

Pochi giorni dopo la marcia, Buzás-Hábel è stato convocato dalla polizia per un interrogatorio. Il caso è stato poi trasmesso alla procura con la raccomandazione di procedere per reati quali l’organizzazione e la promozione di un’assemblea vietata. Secondo lui, i procuratori stanno decidendo il da farsi e la pena potrebbe arrivare fino a tre anni con sospensione.

Le conseguenze hanno già sconvolto la sua vita. Nelle ultime settimane è stato licenziato dal suo lavoro statale come insegnante, dopo quasi dieci anni di insegnamento della lingua e della cultura rom. Ha perso anche l’impiego presso un centro musicale, dove per cinque anni aveva lavorato come mentore.

“Quella esperienza mi ha ferito più del procedimento penale: perdere la mia comunità, i miei studenti, i miei colleghi è stato un dolore enorme”, ha raccontato. “Non avrei mai immaginato che violazioni simili potessero accadere in un Paese membro dell’UE dal 2004.”

Se le accuse dovessero essere formalizzate, non potrebbe più tornare all’insegnamento.

Le organizzazioni per i diritti umani in Ungheria e all’estero hanno lanciato l’allarme. “È il primo caso noto nell’Unione Europea in cui un difensore dei diritti umani rischia un processo penale per aver organizzato un Pride – un passo visto finora solo in Russia o in Turchia”, hanno dichiarato quattro ONG ungheresi in un comunicato congiunto.

Si tratta, hanno aggiunto, di una “svolta pericolosa” nella lunga campagna del governo contro le persone LGBTQ+ e la società civile, oltre che di un “test per l’Europa”. Hanno chiesto alla Commissione europea di intervenire: “Se un insegnante in uno Stato membro rischia il carcere per aver organizzato un Pride, non è solo la democrazia ungherese a essere in gioco, ma la credibilità stessa dell’Unione Europea. Un insegnante rom gay nel sud dell’Ungheria non dovrebbe rischiare il carcere per ricordare all’UE i suoi valori.”

Anche il Centro Europeo per i Diritti dei Rom ha espresso preoccupazione: “Il caso è senza precedenti e pericoloso. Nessuno dovrebbe essere criminalizzato per aver organizzato un Pride pacifico. Non in Ungheria. Non in Europa.”

Molti vedono la vicenda come un segnale della crescente vulnerabilità degli attivisti e delle organizzazioni civiche in Ungheria. La persecuzione di Buzás-Hábel è interpretata come un tentativo di intimidire i cittadini, scoraggiandoli dall’esercitare il diritto di riunione e dal difendere i propri valori.

L’Associazione Europea degli Organizzatori del Pride ha chiesto all’Ungheria di archiviare il caso: “Il nostro messaggio è semplice: il Pride è pacifico, legittimo e tutelato. Criminalizzare gli organizzatori è inaccettabile.”

Buzás-Hábel sostiene che ciò che gli sta accadendo si inserisce in un processo molto più ampio: “Non si tratta davvero di me. Per chi è al potere, io sono solo un granello di polvere. L’obiettivo è la mia comunità, è intimorire chi mi sta intorno, usare il mio caso come esempio per l’intero Paese.”

Ha parlato al Guardian prima di partire per Bruxelles, dove – come membro del direttivo della più grande rete giovanile rom d’Europa – avrebbe partecipato a una cerimonia di premiazione di progetti guidati da giovani rom. Il viaggio gli avrebbe anche permesso di incontrare decisori europei e politici interessati alla sua vicenda e alla situazione in Ungheria.

“La vera domanda è se l’Unione Europea sia pronta a difendere i principi che dice di rappresentare”, ha osservato. “Se in uno Stato membro una persona può essere perseguita per aver organizzato un Pride pacifico, e l’UE non reagisce con fermezza, allora il messaggio è che i valori europei valgono solo finché difenderli non implica coraggio politico.”

Nonostante l’incertezza che grava sulla sua vita e la sua carriera, dice di non avere rimpianti. “Ho già pagato un prezzo personale: ho perso tutti i miei lavori, sono stato messo sotto sorveglianza dai servizi segreti e ora rischio un procedimento penale”, ha detto.

“Ma nulla di questo cambia il fatto che organizzerei di nuovo il Pride esattamente allo stesso modo – e lo farò anche l’anno prossimo. Per me non è solo un evento, ma un atto in difesa di tutte le persone che hanno bisogno di visibilità e coraggio in un ambiente ostile. La libertà a volte ha un costo elevato, ma l’unico vero rimpianto sarebbe non aver difeso la mia comunità.”


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