Nei negoziati in corso al Cairo, si stanno delineando progressi per un nuovo accordo sul rilascio degli ostaggi israeliani e per una possibile tregua a Gaza.
Dopo il fallimento degli ultimi colloqui che ha inasprito la guerra nella Striscia, ora – anche se le parti restano prudenti – qualche segnale c’è. Il quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, citando fonti diplomatiche, ha riferito di «progressi nei colloqui tra Egitto e Hamas». La fazione islamica, ha proseguito, «ha ammorbidito le sue posizioni e l’Egitto sta lavorando per ottenere una flessibilità simile anche con la delegazione israeliana che arriverà al Cairo nelle prossime ore». Nella capitale egiziana a guidare la delegazione di Hamas c’è il leader Ismail Haniyeh.
A dare più forza alle indiscrezioni ci ha pensato il ministro del Gabinetto di guerra israeliano Benny Gantz. «Segni preliminari», ha detto, indicano che «c’è la possibilità di far avanzare un nuovo accordo per la liberazione degli ostaggi. Non lasceremo intentata possibilità per riportarli a casa». La dichiarazione di Gantz ha fatto dunque uscire dal cono d’ombra quanto sta avvenendo al Cairo, fin dall’inizio della guerra uno dei luoghi della mediazione. Fonti egiziane – anche se in Israele non c’è conferma ufficiale – hanno poi segnalato il ritorno nella capitale di una delegazione israeliana dopo una rapida consultazione a Tel Aviv sugli sviluppi dei colloqui.
Anche Amos Harel, uno degli analisti di punta di Haaretz, ha segnalato un «cauto ottimismo» che si registra per la prima volta da settimane sia a Gerusalemme sia a Washington, grazie agli sforzi Usa guidati dal capo della Cia Bill Burns e dal Qatar insieme all’Egitto. In Israele peraltro c’è una forte pressione, nelle piazze e nei luoghi istituzionali, da parte delle famiglie degli oltre 130 rapiti ancora nelle mani di Hamas. A questo proposito il sito indipendente israeliano `HaMakom´ ha scritto di aver ricostruito che 10 degli ostaggi «sono morti in conseguenza alle attività dell’esercito».
Al 138esimo giorno di guerra, l’Idf continua le sue operazioni in tutta la Striscia, ma soprattutto a Kahn Yunis, nel sud. Secondo media internazionali, sono stati almeno 67 i palestinesi uccisi nei raid e le morti sono avvenute in alcune aree in cui ai civili era stato detto di cercare rifugio. Il totale delle vittime a Gaza, secondo Hamas, sfiora ormai le 30mila. Nello scontro con l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, fonti militari hanno fatto sapere che «440 degli impiegati sono attivi nell’ala militare di Hamas e altri 2mila sono membri della fazione». Mentre nella guerra non dichiarata con gli Hezbollah e i loro alleati iraniani, un raid attribuito a Israele ha centrato un edificio nel quartiere di Kafr Sousa di Damasco, in Siria, causando almeno 3 morti. L’attacco, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, ha preso di mira il quinto piano di una palazzina usata come sede operativa dai Pasdaran iraniani e dagli Hezbollah libanesi. A giudizio della stessa ong, si è trattato di «un assassinio mirato nei confronti di una o più personalità iraniane o legate all’Iran». Dei tre morti, uno è un passante siriano colpito dalle schegge causate dall’esplosione. Poco dopo, testimoni e media locali hanno riferito di aver sentito una grande esplosione nella capitale siriana.