Palestina: i bimbi uccisi dalle forze di occupazione quanto sono preziosi per noi?
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Palestina: i bimbi uccisi dalle forze di occupazione quanto sono preziosi per noi?

Grazie a Save the Children e a B’tselm, di alcuni di loro abbiamo visto le foto. Bambini bellissimi, con grandi occhi neri, con un sorriso che apre il cuore

Palestina: i bimbi uccisi dalle forze di occupazione quanto sono preziosi per noi?
Soldati israeliani e un bambino palestinese
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Ottobre 2023 - 17.39


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Grazie a Save the Children e a B’tselm, di alcuni di loro abbiamo visto le foto. Bambini bellissimi, con grandi occhi neri, con un sorriso che apre il cuore. Bimbi palestinesi. Uccisi dalle forze di occupazione israeliane. 

Una ecatombe senza fine.

Ricorda l’Ambasciata di Palestina in Italia nella sua preziosa newsletter settimanale: “Save the Children ha appena denunciato che il 2023 è stato l’anno più letale per i bambini palestinesi. Dall’inizio dell’anno, nella Cisgiordania Occupata sono infatti stati uccisi almeno 38 minori, più di uno a settimana. Questo drammatico record è stato raggiunto nel mese di settembre in seguito alla morte di due ragazzi di 16 anni. Si tratta del secondo anno consecutivo in cui si registra un record di vittime tra i minori in Cisgiordania, e questo rende evidente il peggioramento della sicurezza dei bambini. Uno dei ragazzi uccisi a settembre era stato intervistato da Save the Children l’anno scorso. Le sue parole esprimevano il terrore e la desolazione che i piccoli palestinesi affrontano quotidianamente: “Il mio sogno è poter guardare cose come gli uccelli e la natura mentre vado a scuola”, aveva raccontato.

“Voglio vedere le cose che ho sempre immaginato. Non voglio sentire l’odore del gas o vedere soldati ovunque. Non voglio avere paura di uscire. Non voglio che mia madre abbia paura che io mi faccia male o che vaghi per le strade cercandomi, nel timore che io sia stato ferito dai soldati israeliani”. Cinque dei minori palestinesi eliminati da Israele avevano meno di 12 anni e tre meno di otto. Il più piccolo aveva solo due anni. A luglio, quattro bambini palestinesi sono stati uccisi a Jenin durante la più grande operazione militare israeliana in Cisgiordania degli ultimi 20 anni, che ha comportato un pesante uso della forza, compresi attacchi aerei. Una ragazza di 15 anni che ha vissuto l’operazione militare di Jenin, ha raccontato: “Ogni tanto mi siedo da sola nella stanza e inizio a piangere. Piango per tutto quello che ci è successo. Sogno ogni giorno quello che è successo. Non dormo fino all’alba, finché non mi assicuro che non tornino a prenderci”. Sua madre ha confermato: “Le mie figlie non sono più le stesse, la mia bambina di sette anni ora si rifiuta di uscire di casa da sola. Quando sentono che i soldati stanno entrando nel campo, iniziano a piangere e vogliono scappare”.

Jason Lee, Direttore di Save the Children in Palestina, ha dichiarato: “Ancora una volta, stiamo affrontando l’anno più letale in Cisgiordania, e mancano ancora diversi mesi alla fine del 2023. Si

tratta di una tendenza allarmante. Quest’anno è stato segnato da un uso senza precedenti della forza e da un numero record di morti tra i bambini da quando esistono i registri. Le mutilazioni e le uccisioni di bambini devono finire”.

Per questo Save the Children chiede la fine immediata dell’uso eccessivo della forza contro i bambini da parte delle forze israeliane. Allo stesso tempo, pretende un’indagine immediata e indipendente sull’uccisione di tutti i bambini, che porti i responsabili a rispondere delle proprie azioni. Anche secondo Save the Children, “finché persisterà una cultura dell’impunità, i cicli di violenza saranno destinati a continuare”

Save the Children lavora con i bambini palestinesi fin dagli anni Cinquanta, con una presenza permanente nei Territori Palestinesi Occupati dal 1973. Collaborando con oltre 30 partner, Save the Children vuole garantire che i bambini sopravvivano, abbiano la possibilità di studiare e siano protetti da ogni tipo di abuso, puntando sul fatto che tutti gli attori locali si impegnino a rispettare

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la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia (Uncrc).

La Stessa Save the Children ci ricorda che, ogni anno, il Segretario Generale delle Nazioni Unite pubblica un Rapporto sui Bambini nei Conflitti Armati, dove sono elencate le parti che commettono gravi violazioni contro i bambini e che non hanno messo in atto misure per migliorarne la protezione. Come per i Rapporti degli anni precedenti, anche nel Rapporto 2023 le forze israeliane non sono elencate.

I bambini palestinesi sono “piccoli serpenti”, ha scritto nel 2015 la politica israeliana Ayelet Shaked.

Nello stesso post su Facebook, pubblicato dal Washington Post, Shaked chiedeva anche l’uccisione delle loro madri. “Dovrebbero seguire i loro figli”, ha scritto, “niente potrebbe essere più giusto”.

Poco dopo, Shaked è diventata Ministra della Giustizia. Non tutti i funzionari israeliani sono così sinceri riguardo all’uccisione dei bambini palestinesi. Tuttavia, i dati raccolti dai gruppi internazionali per i diritti umani non lasciano dubbi sul fatto che si tratti di una deliberata strategia messa in atto dall’esercito di occupazione. In un Rapporto pubblicato a fine agosto e intitolato “Cisgiordania: picco nelle uccisioni israeliane di bambini palestinesi”, Human Right Watch (Hrw) è giunta a questa conclusione basandosi sull’esame esaustivo di dati medici, testimonianze oculari, riprese video e ricerche sul campo, queste ultime relative a quattro casi specifici: “In tutti i casi, le forze israeliane hanno sparato alla parte superiore del corpo dei bambini”, e ciò è stato fatto “senza dare nessun avvertimento e senza utilizzare preventivamente misure comuni e meno letali”. La stessa logica ora applicata in Cisgiordania è già stata utilizzata per anni nella Striscia di Gaza, dove nel 2023 sono stati già uccisi almeno sei bambini. I dati delle Nazioni Unite mostrano che nella guerra israeliana a Gaza del 2008-2009 sono stati uccisi 333 bambini palestinesi, ma altre stime ne riportano 410; nel 2012, 47 bambini sono stati uccisi durante l’Operazione israeliana Pilastro di Difesa; nei mesi di luglio e agosto 2014, 578 bambini sono stati uccisi durante l’assalto israeliano alla Striscia; l’attacco del 2021 ha ucciso 66 bambini, mentre nel 2022 il numero è stato di 17. Tra il marzo del 2018 e il maggio 2019, poi, 59 bambini palestinesi sono stati uccisi nella “Grande Marcia del Ritorno”, la protesta di massa che ha visto manifestazioni popolari svolgersi ogni venerdì davanti alla recinzione che separa Israele da Gaza. Qui i minori sono stati uccisi a distanza dai cecchini israeliani. In totale, parliamo di migliaia di bambini morti e feriti. Per essere precisi, 8.700 tra il 2015 e il 2022, secondo le Nazioni Unite”.

Comunità distrutte

“Negli ultimi anni, la violenza dei coloni è aumentata in tutta la Cisgiordania. Nei primi otto mesi del 2023, si sono verificati in media tre incidenti al giorno provocati dai coloni, quando nel 2022 se ne erano verificati due e nel 2021 uno solo. Si tratta della media giornaliera più alta da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare questi dati nel 2006.

In particolare, nell’agosto del 2023 l’Onu e i suoi partner hanno condotto una valutazione sui bisogni umanitari di 63 comunità di pastori palestinesi sparse per la Cisgiordania, attraverso interviste a informatori chiave. Le 63 comunità, che ospitano circa 10.000 persone di cui il 24% donne e il 51% bambini, sono state selezionate in base al loro alto livello di vulnerabilità, alla loro vicinanza agli insediamenti e alla loro esposizione alla violenza dei coloni. E’ emerso che un totale di 1.105 persone appartenenti a 28 di queste comunità sono state costrette a trasferirsi dai loro luoghi di residenza a partire dal 2022, a causa, principalmente, della violenza dei coloni e degli ostacoli posti da questi ultimi al loro accesso ai pascoli. Forzati a muoversi verso città o aree rurali più sicure, questi cittadini palestinesi provenivano nella maggior parte dei casi dai governatorati di Ramallah, Nablus ed Hebron, dove si trova anche il maggior numero di avamposti illegali israeliani. Quattro comunità sono state completamente sfollate e ora sono vuote. Di queste, due sono state svuotate proprio nel corso della valutazione. In sei comunità resta solo il 50% dei residenti e in altre sette meno del 75%. Quasi tutte le Comunità (55) hanno segnalato una diminuzione del numero di capi di bestiame e almeno il 90% ha segnalato una riduzione dei terreni a pascolo. Circa il 79% delle comunità ha smesso di accedere alla terra a causa degli attacchi dei coloni, mentre il 60% ha spiegato la riduzione dei terreni con l’espansione degli insediamenti israeliani sui pascoli palestinesi e il furto della terra da parte dei coloni. Circa il 62% delle comunità che hanno citato la violenza dei coloni come una delle ragioni principali per la riduzione del loro accesso ai pascoli, ha visto le proprie coltivazioni

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distrutte da sabotaggi e attacchi incendiari, o consumate dalle greggi dei coloni. Circa il 64% delle comunità che hanno citato misure amministrative come motivo della riduzione del proprio accesso ai pascoli ha subito l’’istituzione di una “zona militare chiusa”, che le autorità israeliane di solito impongono in seguito alle violenze dei coloni israeliani. Ciò ha comportato, nel 32% dei casi, la confisca totale o parziale delle greggi. Tutte queste perdite hanno poi portato ad altre perdite, perché nel 95% delle comunità i residenti si sono visti costretti a vendere parte del proprio bestiame.

Circa il 66% delle comunità ha riferito che l’accesso all’acqua è stato impedito dalla violenza dei coloni. Nel 46% dei casi, i coloni avevano inquinato e vandalizzato le fonti d’acqua su cui facevano

affidamento i pastori palestinesi, o se ne erano semplicemente impossessati.

Più della metà delle comunità che hanno segnalato ostacoli legati all’istruzione hanno citato la violenza dei coloni come motivo delle difficoltà nel raggiungere le scuole, mentre il 36% ha citato la stessa violenza dei coloni come il principale ostacolo all’accesso alle cure mediche.

Il regime di pianificazione discriminatoria dell’Area C ha infine impedito al 71% delle comunità di costruire nuove strutture, e l’Ocha ha documentato ben 59 demolizioni effettuate dalle autorità

israeliane tra il 2022 e il 2023. A seguito di tali demolizioni, 262 persone hanno perso la casa.

Tutto ciò è rimasto praticamente impunito. In quasi tutte le comunità (l’81%) i residenti hanno sporto denuncia alla polizia israeliana per molti degli episodi di violenza inflitti loro dai coloni.

Tuttavia, solo nel 6% dei casi si è dato seguito alla richiesta di intraprendere qualche azione legale.

Dall’inizio di luglio del 2023, tredici famiglie palestinesi composte da 84 persone (44 minori e 40 adulti), si sono trasferite da Masafer Yatta adducendo come motivo principale le sempre maggiori restrizioni di movimento imposte dalle forze israeliane. Situate nel sud della Cisgiordania, le 13 comunità di Masafer Yatta ospitavano fino a poco tempo fa 215 famiglie palestinesi, per un totale di circa 1.150 persone. L’area rientra nel 18% della Cisgiordania dichiarato dalle autorità israeliane “zona di tiro” e destinato agli addestramenti militari in maniera permanente, al contrario delle “zone militari chiuse”, solitamente temporanee. Gli sfollati degli ultimi tre mesi rappresentano circa il 7% della popolazione.

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I pastori palestinesi dovrebbero essere autosufficienti grazie ai propri mezzi di sussistenza. Hanno invece bisogno di assistenza umanitaria a causa della violenza dei coloni e del rifiuto delle autorità israeliane di punire i colpevoli. Tutto ciò, insieme all’impossibilità di ottenere autorizzazioni per costruire, alle demolizioni, agli sfratti, alle restrizioni del movimento e alla continua espansione degli insediamenti, crea un ambiente coercitivo e causa il trasferimento forzato dei palestinesi, in aperta

violazione della Quarta Convenzione di Ginevra”.

Così si vive e si muore nella Palestina occupata. Occupata dall’”unica democrazia del Medio Oriente”.

[…]Allora: quanto sono preziosi per noi i bambini palestinesi? Quel cambio così ineguale – per esempio, 58 a 2, se non sbaglio, negli scorsi giorni, e si vorrebbe dire soltanto: 60 bambini – non misura anche la differenza nella nostra scala dei valori? C’è un razzismo involontario in noi. E’ il riflesso di quel nostro sentirci così a casa a Tel Aviv e così incuriositi a Ramallah e così spaesati a Gaza – anche quando reagiamo simpatizzando per Ramallah o abbracciando gli asinelli piagati di Gaza. I bambini sono merce rara per noi. Benché la caratteristica più sorprendente di Israele sia la sua vivacità demografica, a un tasso più che doppio di quello nostro, la natalità nei territori palestinesi è ancora più alta (ed enormemente più alta è la mortalità infantile). Ci figuriamo Gaza come un formicaio umano e soprattutto infantile, e i suoi padri come fatalmente rassegnati o esaltati dal sacrificio dei loro piccoli, e i suoi capi cinicamente disposti a servirsene come di scudi umani, i più redditizi per la loro propaganda. C’è, nella nostra immaginazione, un’inflazione di bambini palestinesi, vivi o morti. Ad aggravarla ha provveduto lo spettacolo frustrato o assuefatto dei bambini sterminati nella guerra dei dieci anni di Siria. 

Leggo mie vecchie righe. “La strage di Erode: non ci fu, probabilmente. Se ci fu, calcolano i demografi sulla base della popolazione presunta di Betlemme, uccise una ventina di bambini sotto i due anni. La demografia di Gaza diventa agghiacciante, quando suona la sirena delle bombe. La maggioranza della popolazione ammassata in quel fazzoletto di terra è composta di bambini e ragazzini: un giardino d’infanzia in un miserando zoo umano.


Non c’è un Erode geloso a mandare aerei sulla striscia di miseria e rancore. Gli israeliani vogliono davvero ridurre al minimo le vittime civili, che Hamas ostenta. Non possono essere così disumani né così imbecilli da mirare e colpire i bambini. Ma quando si interviene con un simile spiegamento di forza in un enorme giardino d’infanzia, tanti (quanti?) bambini moriranno, resteranno feriti e mutilati e, quelli che sopravviveranno, non lo dimenticheranno più, e assicureranno altre generazioni al trionfo dell’odio e della vendetta”. 

Così scriveva Adriano Sofri su Il Foglio del 18 maggio 2021. Il titolo era: “La conta impari. Quanto sono preziosi per noi i bambini palestinesi?”.

A ognuno di noi la risposta.

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