Libia: dopo gli Usa anche l'Onu scarica Dabaiba e il suo clan di malfattori
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Libia: dopo gli Usa anche l'Onu scarica Dabaiba e il suo clan di malfattori

Gli Usa sfiduciano Dabaiba, il signor nessuno sponsorizzato dall’Italia meloniana”

Libia: dopo gli Usa anche l'Onu scarica Dabaiba e il suo clan di malfattori
Meloni e Dabaiba
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Agosto 2023 - 18.19


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“Gli Usa sfiduciano Dabaiba, il signor nessuno sponsorizzato dall’Italia meloniana”.

Così Globalist titolava ieri l’articolo in cui davamo conto dell’ennesimo fallimento italiano in Libia e del caos (armato) che regna nel destabilizzato paese nordafricano e del benservito dato da Washington a Dabaiba (o Dbeibah)

Anche l’Onu lo scarica

A rafforzare questa chiave di lettura è l’analisi del giornalista che meglio conosce la realtà libica: Nello Scavo, inviato di Avvenire. Scrive Scavo sul quotidiano della Cei: “L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily, ha dato lo sfratto al premier in carica Dbeibah. Una proposta a sorpresa che segna il ritorno degli Stati Uniti nelle sabbie mobili libiche. Per anni gli Usa hanno lasciato fare, a patto di non venire esclusi dalla partita e avviare una stabilizzazione che non concedesse vantaggi a Mosca e non creasse i presupposti per incendiare anche i Paesi confinanti. Non è stato così. 

L’attuale premier Dbeibah è accusato fra l’altro di avere sabotato i piani originari pur di tenere il potere e rinviare il tempo delle elezioni, e di un suo possibile addio per mano dell’elettorato. Nell’esecutivo ha imbarcato personaggi come il capo milizia Trabelsi, divenuto ministro degli Interni. 

Ha ridato slancio alle ambizioni del “comandante Bija”, il maggiore della guardia costiera e uomo di punta del clan al-Nasr, a cui è affidato l’addestramento dei cadetti nonostante su di lui pendano le sanzioni internazionali per svariati traffici illeciti e crimini contro i diritti umani. Ha permesso di fare carriera ad al-Khoja, altro capobanda che ha posto la sua banda armata a disposizione del governo ed ora coordina il dipartimento contro l’immigrazione illegale e i campi di prigionia statali, recentemente accusato dagli osservatori Onu di essere parte integrante nella filiera per il traffico di esseri umani, armi, droga e petrolio. 

Per il diplomatico senegalese dell’Onu Abdoulaye Bathily, a questo punto occorre «un governo unificato, concordato dai principali attori», invocato come «un imperativo per condurre il Paese alle elezioni». Dunque un esecutivo che riporti ai tavoli di Tripoli anche la Cirenaica del generale Haftar. 

L’emissario dell’Onu ha fatto pressione sul Parlamento, conosciuto come Camera dei Rappresentanti, e su un secondo organo consultivo, l’Alto Consiglio di Stato, per finalizzare le leggi elettorali. «Il mantenimento della stabilità della Libia – ha avvertito Bathily – è ancora più critico alla luce dei recenti scontri a Tripoli (con 55 morti in poche ore, ndr), dei disordini regionali in Sudan e Niger e degli scontri che hanno avuto luogo nella regione del Tibesti, nel sud, pochi giorni fa, tra l’esercito ciadiano ed elementi armati». 

Ma la sorpresa sono gli Usa, che si sono mostrati insofferenti all’inettitudine politica dell’Europa, che da Bruxelles a Roma non è riuscita a fare altro che accaparrarsi contratti energetici senza incidere sul terreno, anche a causa degli sgambetti di Parigi ai danni dell’Italia, e del gioco ambiguo di Mosca, Turchia, Egitto e monarchie del Golfo. 

La conferma arriva per bocca dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Greenfield. Ha fatto sapere che a Washington sono pronti a supportare la formazione «di un governo tecnico e tecnocratico il cui unico compito sarebbe quello di portare il Paese a elezioni libere ed eque». Poiché le tensioni regionali e il rinnovato attivismo del gruppo russo Wagner in Cirenaica e in Niger, contribuiscono a generare «profonda preoccupazione». 

Le mosse annunciate attraverso il Palazzo di Vetro suonano come un ridimensionamento dell’Italia nello scenario libico. Francois Delattre, ambasciatore francese al Palazzo di Vetro, ha annunciato che Parigi sposerà il progetto dell’inviato del segretario generale a Tripoli, sostenuto dagli Usa, e anche il rappresentante permanente del Regno Unito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, James Kariuki, ha chiesto che «chiunque minacci la stabilità del Paese nordafricano sia sottoposto a sanzioni» e che «i leader politici libici lavorino in modo costruttivo con l’inviato Onu per procedere verso le elezioni».

All’Italia non resta che accodarsi, dopo avere tentato di sostenere le istituzioni libiche anche a suon di motovedette, addestramento, equipaggiamento e importanti impegni di spesa. Senza mai menzionare la Libia, il ministro degli Esteri Tajani aveva annunciato ad Avvenire che «a novembre ospiteremo a Roma il vertice Italia-Africa a livello di capi di Stato e di governo. In quell’occasione presenteremo che cosa intendiamo per nuovo “Piano Mattei”». Ma per quella data potrebbe esserci a Tripoli un nuovo «governo tecnico» con un’agenda diversa dagli impegni presi con Roma per gas, idrocarburi e migranti”.

Caos infinito

Di grande interesse è anche la ricostruzione fatta da greenreport.it: “Intervenendo di fronte al Consiglio di sicurezza, Abdoulaye Bathily, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia e a capo dell’United Nations Support Mission in Libya (Unsimil) ha detto che “i recenti scontri mortali tra i due più grandi gruppi armati nella capitale libica, Tripoli, evidenziano la terribile situazione della sicurezza nel Paese e stanno minando i preparativi per le elezioni previste per la fine di quest’anno».

Bathily ha spiegato che «La fragile stabilità che prevaleva a Tripoli dall’agosto 2022 è stata infranta dai feroci scontri armati del 14 e 15 agosto tra il Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism (Dacot – Radaa, l’al-Radaa Special Deterrence Force) e la 444 Brigata, i due più grandi gruppi armati della capitale. Gli scontri sono stati innescati dall’arresto da parte della Dacot del comandante della Brigata 444 all’aeroporto di Mitiga, presumibilmente legato a rivalità personali. Negli scontri sarebbero morte almeno 55 persone e oltre un centinaio sarebbero rimaste ferite, tra cui un numero imprecisato di civili. Fortunatamente, altri gruppi armati a Tripoli e nei suoi dintorni hanno scelto di rimanere neutrali, impedendo così il diffondersi dei combattimenti. Gli scontri si sono conclusi quando una tregua è stata mediata congiuntamente dagli anziani locali, dal primo ministro Dbaibah, dal Consiglio presidenziale, dal capo di stato maggiore dell’esercito libico, generale Mohammed Haddad e leader di gruppi armati neutrali. Ho coinvolto il Primo Ministro e altri attori rilevanti per esortarli a intraprendere le azioni necessarie per fermare i combattimenti».

Ma il capo dell’Unsimil denuncia che «Questi sviluppi sottolineano l’assenza di comando e controllo sul frammentato apparato di sicurezza nella Libia occidentale e lo stato precario della situazione della sicurezza. Minano gli sforzi in corso per coltivare un ambiente di sicurezza favorevole alle elezioni ed evidenziano l’urgenza dell’istituzione di autorità legittime e di istituzioni militari e di sicurezza unificate nel Paese. I gruppi armati e gli attori della sicurezza che commettono violenze contro i civili devono essere ritenuti responsabili».

Sarebbe questo il governo al quale Giorgia Meloni si è affidata nei suoi viaggi africani per fermare migranti e profughi… E i risultati si vedono nei record degli arrivi e nel tentativo di tenere mediaticamente nascosto il disastro di chi i profughi e i migranti aveva giurato di fermarli in mare o sul bagnasciuga.

E, come se non bastasse, Bathily ha ricordato al Consiglio di sicurezza dell’Onu che «Inoltre, il cambio di governo incostituzionale nella Repubblica del Niger ha suscitato preoccupazioni per possibili ricadute in Libia, proprio come è accaduto in Sudan. Come misura preventiva, il 26 luglio l’Esercito nazionale libico ha chiuso il confine con il Niger e ha schierato rinforzi nelle zone di confine. Come in precedenza per la crisi in Sudan, la situazione nella Repubblica del Niger è motivo di preoccupazione per l’intera regione».

L’Italia cerca comunque di ritagliarsi uno spazio nel caos saheliano-sahariano e il 25 luglio ha co-presieduto con l’UnsmiL una riunione plenaria a Bengasi del Gruppo di Lavoro sulla Sicurezza del Processo di Berlino, dove gli stakeholders, libici, la 5+5 Joint Military Commission  (5+5 Jmc) e i partner internazionali hanno discusso delle dinamiche politiche e di sicurezza in evoluzione che ostacolano i progressi tangibili per la piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco, la riunificazione delle istituzioni militari e il ritiro delle forze straniere, dei combattenti stranieri e dei mercenari.

E, a proposito di migranti, Bathily ha detto: «Rimango preoccupato per le violazioni dei diritti umani, inclusi rapimenti, arresti arbitrari e sparizioni in Oriente e in Occidente. Rinforzo il mio appello per la cessazione immediata di queste pratiche, per il rilascio delle persone detenute arbitrariamente e per indagini indipendenti. Prendo atto del recente accesso parziale dell’Unsmil a un centro di detenzione a Tripoli e chiedo un accesso più coerente ai luoghi di detenzione in tutto il Paese.

Bathily ha espresso grande preoccupazione anche per la grave situazione umanitaria e dei diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo al confine tra Tunisia e Libia: «Nonostante abbia preso atto del recente accordo delle autorità tunisine e libiche per ricollocare diverse centinaia di persone, le persone continuano a essere spinte oltre confine in remote aree desertiche, affrontando condizioni terribili senza accesso a cibo e acqua. Chiedo di porre fine alle espulsioni ed esorto le autorità tunisine e libiche a garantire che le persone vengano inviate in luoghi sicuri e a consentire alle Nazioni Unite e ai partner umanitari l’accesso a tutti i luoghi».

Il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia, ha sottolineato che «Ora, il mantenimento della stabilità della Libia è ancora più critico,  alla luce dei recenti scontri a Tripoli, dei disordini regionali in Sudan e Niger e dei combattimenti che hanno avuto luogo nella regione del Tibesti, nel sud, pochi giorni fa, tra l’esercito ciadiano ed elementi armati. Gli eventi attuali in Libia e nella regione dimostrano che gli accordi provvisori sono carichi di rischi di violenza e disintegrazione per i Paesi. E’ fondamentale ripristinare la stabilità della Libia per preservare la sicurezza regionale. Senza un accordo politico inclusivo che apra la strada a elezioni pacifiche, inclusive e trasparenti in tutta la Libia, la situazione peggiorerà e causerà ulteriori sofferenze al popolo libico. Faccio quindi appello alla responsabilità politica e morale di tutti i leader di porre fine agli accordi provvisori a tempo indeterminato, rompere l’attuale impasse e smettere di frustrare la legittima aspirazione dei libici alle elezioni, alla pace e alla prosperità».

In quello che è un rischioso esercizio di equilibrismo diplomatico, Bathily si è rivolto ai rappresentati di Paesi tra i quali ce ne sono molti coinvolti pesantemente nel disastro libico perché «Utilizzino la loro influenza, individualmente e collettivamente, per garantire il pieno impegno dei leader libici nei negoziati necessari per portare avanti i nostri obiettivi condivisi: la stabilità della Libia e dei suoi vicini. Ancora una volta, ripeto il mio appello a tutti i partner regionali e internazionali della Libia affinché parlino con una sola voce e agiscano di conseguenza per rispondere alle aspirazioni del popolo libico alla pace, alla stabilità, alla prosperità e all’unità nazionale».

Ma la Libia resta un campo di battaglia per le risorse e la defenestrazione del dittatore Gheddafi senza preparare un ricambio democratico si è rivelata una bomba geopolitica le cui onde d’urto non cessano di riverberarsi su tutta la regione sahariana, saheliana e mediterranea, tra Jihadismo, colpi di stato, milizie armate, tagliagole e ladroni alleati dell’occidente e violazioni di ogni diritto umano.”

Turchi, russi e ciadiani fanno quello che vogliono, mentre le milizie si fanno la guerra a Tripoli. Per questo il premier Dabaiba è stato scaricato da Washington e dalle Nazioni Unite,

E’ l’eloquente sommario dell’analisi su il Foglio di Luca Gambardella: “Con due interventi molto duri rivolti al Consiglio di sicurezza dell’Onu, martedì sera gli Stati Uniti e le stesse Nazioni Unite hanno scaricato Abdulhamid Dabaiba, il premier di Tripoli su cui per anni avevano deciso di puntare. Gli scontri della settimana scorsa  nella capitale libica, in cui almeno 55 persone sono morte e diverse centinaia sono rimaste ferite, hanno dimostrato una volta di più che non solo Dabaiba non controlla l’ovest del paese, ma nemmeno alcune aree di Tripoli. Impossibile continuare a illudersi di potere arrivare a un voto (pseudo) democratico se la pacificazione resta una chimera e allora, ecco il cambio di strategia dettato da Washington. Sosteniamo la formazione di un governo tecnocratico provvisorio il cui unico compito sarà quello di portare il paese alle elezioni”, ha detto martedì sera l’ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro, Linda Thomas-Greenfield…”.

Il sipario cala su Dabaiba e il suo clan. Ma che si facciano da parte pacificamente, questo è da escluderlo. Perché in Libia il linguaggio l’unica “legge” che conta è quella della forza. Armata. 

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