Libia: l'Italia regala altre tre motovedette per respingere i migranti
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Libia: l'Italia regala altre tre motovedette per respingere i migranti

Altre tre vedette made in Italy- pure nuove di zecca – arrivate in questi giorni a Tripoli: erano previste per la Guarda Costiera italiana  sono finite alla c.d. guardia costiera Libica

Libia: l'Italia regala altre tre motovedette per respingere i migranti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Agosto 2023 - 15.06


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Sergio Scandura  ci ha abituati, bene, a anticipazioni e scoop sul fronte migranti, Mediterraneo, Libia. Giornalista dalla schiena dritta e dalla battuta tagliente, Sergio  ha il vizio virtuoso di monitorare praticamente h24  ciò che avviene nelle perigliose acque  del Mediterraneo.  L’inviato di Radio Radicale è un testimone scomodo per coloro che di testimoni non ne vorrebbero per poter continuare con i loro intrallazzi e le “verità” di palazzo  amplificato dal coro di quella comunicazione mainstream che Sergio ha sempre schifato.

Altro regalo

L’ultimo scoop in ordine di tempo è sintetizzato in questo tweet: 

“Altre tre vedette made in Italy- pure nuove di zecca – arrivate in questi giorni a Tripoli: erano previste per la Guarda Costiera italiana  sono finite alla c.d. guardia costiera Libica”

Così stanno le cose. Una vergogna che si perpetua. E che è resa ancora più insopportabile, per chi si sente ancora umano, dalle testimonianze dei sopravvissuti all’inferno libico e alle traversate – in mare o nel deserto – della morte.

Racconti dall’inferno

Per sei volte ha provato ad attraversare il Mediterraneo “ma sono sempre stato respinto e riportato in Libia”. Questa volta, la settima, il giovane naufrago 17enne siriano tratto in salvo insieme ad altre 75 persone lo scorso 11 agosto dall’equipaggio della Life Support 

c’è l’ha fatta. “Le milizie libiche fanno accordi con i trafficanti per riportarci a terra una volta partiti, quindi sanno quando una barca sta partendo e dove si trova”, ha raccontato ai soccorritori di Emergency. Lui in Libia è rimasto per cinque mesi. “Quattro li ho passati nei centri di detenzione – dice -. La mia famiglia voleva che tornassi in Siria, sapevano che la Libia è un Paese molto pericoloso e non volevano che mi facessero del male”.

L’orrore dei centri di detenzione lo ricorda bene. “Ci picchiavano, a volte con dei bastoni o dei fili di ferro, per poter chiedere più soldi alle nostre famiglie”, racconta adesso che è in salvo in Italia. Dal suo Paese è partito da solo. “È stato molto difficile resistere alla tentazione di tornare, mi mancava tantissimo la mia casa, ma sapevo che non c’era futuro per me in Siria. Adesso non sanno nemmeno che sono vivo, mi hanno preso il telefono in Libia e non ho potuto contattare mia madre per dirle che questa volta, la settima che provavo ad attraversare il Mediterraneo, ce l’ho fatta”.

La barca su cui viaggiava il diciassettenne era stata segnalat ada Seabird 2 di Sea Watch, poi da Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centre) italiano e infine è stata individuata. A bordo anche 7 donne e 24 minori, di cui 12 non accompagnati. C’era anche una neonata di solo 7 mesi. 

“Abbiamo iniziato le operazioni dopo aver comunicato con l’Mrcc italiano, che ha coordinato il salvataggio – afferma Carlo Maisano, capo missione della Life Support di Emergency -. Quando abbiamo effettuato il soccorso, la barca di legno era ferma e sovraccarica, e abbiamo scoperto che la stiva era vuota e questo rischiava di sbilanciarla. A operazioni concluse abbiamo ricevuto un’altra segnalazione da Alarm Phone di un’imbarcazione in difficoltà con caratteristiche analoghe, ma dopo un’ora e mezzo di pattugliamento non siamo riusciti a individuarla e ci siamo confrontati con l’Mrcc che riteneva la segnalazione corrispondesse con l’imbarcazione già soccorsa”. 

I racconti: “Nei centri in Libia violenze di ogni tipo”

“I naufraghi, partiti dalle coste libiche il 10 sera ci hanno raccontato di gravi violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente nei centri di detenzione libici – racconta Mohamed Hamdi, mediatore culturale a bordo della Life Support -. Queste sono storie che, seppur nella loro individualità, contengono degli elementi comuni alle testimonianze raccolte durante altri soccorsi di naufraghi partiti dalla Libia. Da quello che ci viene raccontato, violenze di ogni tipo, estorsioni, rapimenti ed esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno in Libia e restano impunite”.

“Ci trattavano come animali”

“Sono partito dall’Egitto perché la vita lì è diventata insostenibile, non si trova lavoro, è tutto troppo costoso, diventa complicato anche permettersi da mangiare – racconta un ragazzo egiziano di 26 anni -. A volte non riuscivo nemmeno a comprare del pane. È vivere questo? Sono il primogenito e i miei fratelli e sorelle più piccoli non hanno modo di procurarsi da vivere in Egitto, quindi ho deciso di partire per cercare lavoro e poter mandare dei soldi a casa. Era la mia responsabilità verso la mia famiglia. Sono stato in Libia per soli tre mesi prima di riuscire a partire, ma sono bastati a farmi vedere cose orribili. Sono stato imprigionato insieme ad altre persone egiziane, ci tenevano in una casa piccolissima tutti insieme e ci trattavano come animali. Ci picchiavano quotidianamente, senza motivo, a volte per il gusto di farlo oppure per farsi mandare più soldi dai nostri familiari. È stato terribile. Quando ho visto la vostra nave, pensavo che foste libici e stavo per buttarmi in mare. Avrei preferito morire annegato che tornare in carcere in Libia. Ancora non riesco a credere di essere stato portato in salvo”.

Vite umane ancora una volta appese a un filo. Un barchino con 24 migranti a bordo che si trovava in zona Sar (search and rescue, ndr) maltese sarebbe stato respinto in Libia. A denunciarlo è Alarm Phone. 

“La barca si era persa durante una tempesta ed è stata successivamente scoperta da una nave mercantile che ha salvato le persone ma Malta, Italia e Grecia si sono tutte rifiutate di assegnare un porto sicuro e alla nave mercantile è stato detto di riportare le persone in Libia”, denuncia l’ong, spiegando che i migranti adesso sono in prigione. 

“Il gruppo è ora a Misurata, recluso separatamente in due centri – dicono da Alarm Phone -. Alcuni di loro sono malati e temono la deportazione in Siria ed Egitto. Tra loro ci sono 9 bambini. Chiediamo alle autorità di rilasciarli immediatamente”.

Libia: il governo amico dell’Italia discrimina donne e ragazze

Da  greenreport: “Esperti indipendenti delle Nazioni Unite Reem Alsalem, Special Rapporteur on violence against women and girls, its causes and consequences; Mary Lawlor, Special Rapporteur on the situation of human rights defenders; Dorothy Estrada-Tanck (presidente), Ivana Radačić (vice-presidente), Elizabeth Broderick, Meskerem Geset Techane e Melissa Upreti, Working Group on discrimination against women and girls; Ana Brian Nougrères, Special Rapporteur on the right to privacy; Farida Shaheed,Special Rapporteur on the right to education. hanno espresso «Profonda preoccupazione per una politica discriminatoria emanata dal governo libico di unità nazionale (GNU, riconosciuto dall’Italia e che con l’Italia ha stretto patti su sicurezza, migranti ed energia, ndr) nell’aprile 2023 che limita di fatto i diritti delle donne e delle ragazze di viaggiare all’estero senza un tutore maschio o un mahram».

Gli esperti Onu denunciano che «Non solo questa politica è discriminatoria, ma limita anche la libertà di movimento delle donne e delle ragazze, comprese le studentesse che lasciano il Paese per studiare all’estero». Dalle indagini e dai rapporti ricevuti dal team di esperti Onu, emerge che «Alle donne e alle ragazze che si rifiutano di compilare o inviare il modulo viene negata l’uscita».

In un comunicato congiunto gli esperti indipendenti scrivono che «Secondo quanto riferito, la nuova politica è stata sistematicamente implementata senza alcun annuncio formale o preventivo e ha richiesto a tutte le donne e le ragazze che viaggiano di compilare un modulo fornendo informazioni personali, motivi per viaggiare senza un tutore maschio o mahrame dettagli della loro precedente storia di viaggi senza un mahram. Siamo particolarmente preoccupati per l’impatto negativo della procedura discriminatoria sui diritti e le libertà fondamentali delle donne e delle ragazze, in contraddizione con gli obblighi internazionali e nazionali della Libia in materia di non discriminazione, uguaglianza e diritto alla privacy».

Inoltre, preoccupano anche i tentativi dell’Agenzia libica per la sicurezza interna (ISA) di intimidire i difensori dei diritti umani, comprese le donne, che si sono espressi contro queste politiche.

Gli esperti fanno notare che «Oltre ad essere discriminatoria, la politica ha limitato la libertà di movimento di donne e ragazze, comprese le studentesse che studiano all’estero. Alle donne e alle ragazze che si rifiutano di compilare o inviare il modulo viene negata l’uscita. La restrizione segna un’ulteriore erosione dei diritti delle donne e delle ragazze in Libia e invia un segnale sbagliato. L’uguaglianza e la dignità delle donne devono essere garantite».

Gli esperti hanno esortato le autorità libiche a «Ritirare questo atto discriminatorio e a prevenire tutte le intimidazioni, le molestie e gli attacchi contro le donne e i difensori dei diritti umani che hanno protestato contro questa politica discriminatoria».

Chissà dove sono finiti tutti quelli (e soprattutto quelle) che urlavano nelle piazze contro l’islam discriminatorio e si mettevano magliette provocatorie per molto meno? Qualcuno sicuramente al governo”.

Notizia di questi giorni. Saipem si aggiudica un contratto da Mellitah Oil & Gas B.V. Libyan Branch, un consorzio costituito da National Oil Corporation of Libya ed Eni North Africa, per lo sviluppo di Bouri Gas Utilisation Project (BGUP) per un valore di circa 1 miliardo di dollari. Lo comunica la società in una nota, specificando che si occuperà del revamping delle piattaforme e delle strutture presenti nel giacimento di Bouri, che si trova in acque profonde tra i 145 e i 183 metri, al largo della costa libica. Il contratto prevede l’ingegneria, l’approvvigionamento, la fabbricazione, l’installazione e l’avviamento (Epcic) di un modulo di recupero del gas (Grm) da circa 5.000 tonnellate sulla struttura offshore DP4 già esistente. Prevista anche la posa di 28 chilometri di condotte di collegamento tra le piattaforme DP3, DP4 e quella di Sabratha. Le principali operazioni di sollevamento sono eseguite dalla nave gru semisommergibile Saipem 7000. Il completamento del progetto contribuisce in maniera importante alla riduzione delle emissioni di CO2 in Libia.

La diplomazia degli affari cancella la diplomazia dei diritti. Questo è il succo del “Piano Mattei” esaltato dalla presidente securista Giorgia Meloni.

Post scriptum

Da un lancio Ansa: “Tensioni e scontri sono stati segnalati a Tripoli da diversi media, tra cui AddressLibya, a seguito dell’arresto ieri del comandante della Brigata 444, Mahmoud Hamza, all’aeroporto di Mitiga a Tripoli da parte di unità della forza di deterrenza speciale “Rada”.

Secondo quanto riportato da AddressLibya, in seguito ad una mobilitazione della Brigata 444, (e dei gruppi armati affiliati al primo ministro del Governo di unità nazionale, Abdul Hamid Dbeibah), per liberare Mahoumd Hamza, nella notte si sono verificati scontri armati con la Rada nella zona di Al Shawk Road vicino al Tripoli Medical Center, in mattinata allargatisi fino a Al Abyar Road. 
Sempre secondo lo stesso media “a causa della situazione critica della sicurezza, le compagnie aeree hanno trasferito i loro aeromobili dall’aeroporto Mitiga di Tripoli a quello di Misurata”.

Un appello alla calma è stato lanciato dal vice premier del governo di Tripoli, Ramadan Abu Janah che su diversi media ha dichiarato: “facciamo appello a tutte le parti a Tripoli a dare la priorità al linguaggio della ragione e a non ascoltare chi vuole scuotere la stabilità e la sicurezza della capitale”. Secondo il The Libya Observer su Twitter gli sforzi di mediazione per liberare il comandante della Brigata 444 dal carcere della Rada, sono falliti. La Brigata 444, affiliata all’esercito libico nell’Ovest, affiliata al ministero della Difesa, conduce spesso anche attività anticontrabbando nel sud e sulla strada costiera che da Tripoli va verso la Tunisia, mentre la Rada è legata a posizioni del Consiglio presidenziale”.

Secondo quanto riportano i media libici, è in atto una mobilitazione dei gruppi armati affiliati al primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun), Abdulhamid Dabaiba, ed è stato dichiarato lo stato d’emergenza nella capitale Tripoli.

E questo sarebbe un paese “pacificato”. 
    

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