Migranti morti nel deserto: chi stringe la mano di Saied ne diventa complice
Top

Migranti morti nel deserto: chi stringe la mano di Saied ne diventa complice

Stringere la mano a Kais Saied è come averlo fatto, in altri tempi, a generali golpisti e criminali come Pinochet e Videla.

Migranti morti nel deserto: chi stringe la mano di Saied ne diventa complice
Kais Saied
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Luglio 2023 - 19.52


ATF

Lo diciamo alto è forte. Stringere la mano a Kais Saied è come averlo fatto, in altri tempi, a generali golpisti e criminali come Pinochet e Videla.

Non smetteremo mai di denunciarlo, oltre le lacrime, lo sdegno, la rabbia per le immagini di quelle donne, uomini, bambini, morti di stenti nel deserto. Quelle morti sono dei crimini contro l’umani imputabili all’autocrate razzista che governa col pugno di ferro la Tunisia. E i governanti europei, primi ministri o capi di Stato, che hanno stretto la mano a Saied, compiacendosi del suo operato, con quel solo gesto ne diventano complici.

L’allarme Onu

Da una nota congiunta: “L’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) esprimono profonda preoccupazione per l’incolumità e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo bloccati in condizioni disperate in Tunisia in seguito all’allontanamento verso aree remote e desolate a ridosso delle frontiere con la Libia e l’Algeria. Altri ancora sono stati spinti a fare ingresso oltre confine in Libia o Algeria. Molte di queste persone erano state costrette a fuggire da Sfax in seguito ai recenti disordini in città, mentre altre erano state trasferite da vari centri urbani di tutto il Paese.
Tra loro si registra la presenza di donne (alcune delle quali incinte) e minori. Sono bloccati nel deserto, esposti a temperature estreme e senza accesso a ripari, cibo o acqua. In attesa di trovare con urgenza soluzioni dignitose, è necessario assicurare loro al più presto aiuti umanitari di vitale importanza.
Tragicamente, si hanno già notizie di persone che hanno perso la vita. Unhcr e Oim esprimono profondo dolore e cordoglio alle famiglie e alle comunità coinvolte. Questa tragedia deve terminare.
In tali circostanze, salvare vite deve rappresentare la priorità e le persone bloccate devono essere messe in salvo.


Unhcr e Oim esprimono il proprio apprezzamento per il lavoro svolto dalle Società di Mezzaluna Rossa di Tunisia e di Libia, impegnate ad assicurare aiuti umanitari a centinaia di persone nelle aree di frontiera.
Unhcr e Oim sottolineano la necessità di mettere in atto operazioni di ricerca e soccorso per salvare le persone ancora bloccate su entrambi i lati del confine e chiedono di risolvere la situazione in tempi rapidi. A tal fine, è necessario identificare le persone che necessitano di protezione internazionale e assicurare loro l’opportunità di presentare domanda di asilo, e inviare i migranti vulnerabili, tra i quali vittime di tratta e minori non accompagnati, ai servizi competenti.
I diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo devono essere rispettati conformemente al diritto nazionale e a quello internazionale. Nel rispetto degli obblighi internazionali, è necessario inoltre assicurare l’accesso al territorio e la sicurezza delle persone in arrivo bisognose di protezione internazionale.
Unhcr e Oim rivolgono un appello a tutti i Paesi coinvolti, affinché onorino i propri obblighi giuridici internazionali nei confronti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Unhcr e Oim sono pronte a supportare le autorità per risolvere l’attuale situazione secondo modalità che garantiscano i principi e la dignità di tutte le persone, nonché per sviluppare un approccio sostenibile e completo alla gestione delle migrazioni e dell’asilo. 

Tunisia, la nuova frontiera esterna dell’Ue

Da un report di Openpolis: “Le vere vittime del memorandum di intesa sono i migranti sub-sahariani, provenienti soprattutto dai paesi dell’Africa occidentale, che si trovano in Tunisia. Negli ultimi mesi infatti la Tunisia è diventata uno dei principali punti di collegamento tra il continente africano e l’Europa e a luglio del 2023 è il paese da cui partono più migranti verso l’Italia. 

Secondo le stime dell’agenzia Onu per i rifugiati già nel 2022 il 31% degli sbarchi proveniva dalla Tunisia, seconda solamente alle Libia con il 51%. Nel 2023 la situazione si è capovolta e la Tunisia è diventato il primo paese di transito per i migranti diretti in Italia.

Nel periodo percorso tra il primo incontro dell’11 giugno e la firma del memorandum d’intesa arrivata il 16 luglio le partenze dalla Tunisia sono molto cresciute. Una dinamica che lascia intravedere il rischio più evidente della strategia di esternalizzazione delle frontiere. Ovvero quello di permettere a un paese terzo di usare la leva migratoria come strumento negoziale nei confronti dell’Europa. Un fenomeno che si è verificato anche nei casi libico e turco.

I migranti presenti in Tunisia in questo momento si trovano in condizioni estremamente precarie. Da febbraio il presidente Saied ha fatto dichiarazioni razziste nei confronti degli africani sub-sahariani, ricorrendo alla teoria della sostituzione etnica. Ha avviato una campagna mediatica che ha diffuso una retorica sovranista e intollerante, con un razzismo istituzionale.

Soprattutto dopo l’uccisione di un cittadino tunisino poche settimane fa, hanno avuto luogo rastrellamenti, aggressioni e sfratti ai danni della comunità migrante. Centinaia di migranti sub-sahariani sono stati deportati verso zone desertiche vicine al confine con la Libia, senza cibo né acqua o all’interno di zone militari dove le persone non autorizzate come i giornalisti non possono entrare. 

La Tunisia non può essere considerata un paese sicuro per i migranti che vi transitano. Non c’è nessuna garanzia che il governo ricorrerà a pratiche rispettose dei diritti umani per contenere i flussi migratori diretti verso l’Europa e ha dichiarato di non voler costruire centri di accoglienza né di voler istituire una propria zona Sar  (search and rescue). L’Ue, dal canto suo, non ha esplicitamente parlato di protezione dei migranti stessi. Concedendo finanziamenti e stringendo accordi di collaborazione con la guardia costiera tunisina e le altre istituzioni, l’Ue legittima e si rende partecipe delle politiche attuali.

La denuncia di Le Monde

Ne scrive il Post: “Nissim Gasteli, inviato in Tunisia di Le Monde, ha detto che dal 4 luglio la Tunisia conduce massicce campagne per arrestare e trasferire forzatamente i migranti dalla città di Sfax ai paesi vicini, abbandonandoli nel deserto senza acqua né cibo. Parlando del ritrovamento dei cinque corpi nel deserto e del soccorso di 140 migranti subsahariani, France24 scrive che secondo gli operatori delle ong che hanno segnalato i casi precedenti, i 140 migranti soccorsi «sono solo gli ultimi ad essere stati portati al confine della Tunisia con la Libia o l’Algeria».

Il sito di informazione sulle migrazioni Infomigrants cita inoltre alcune organizzazioni per i diritti umani attive sul territorio, secondo cui il governo tunisino starebbe attuando una «epurazione» delle città da «qualsiasi» persona di origine subsahariana, con «un’ondata di arresti seguiti da espulsioni forzate e illegali».

Non ci sono maggiori informazioni ed è difficile sapere esattamente cosa stia succedendo nel deserto tra Tunisia e Libia, anche perché è una zona difficilmente accessibile per ong  e giornalisti: sono pochi gli osservatori che sono riusciti a parlare con i migranti sopravvissuti, che hanno descritto una situazione estremamente grave fatta di abusi e intense sofferenze. Negli ultimi giorni è inoltre circolata molto una fotografia  scattata dal giornalista libico Ahmad Khalifa: mostra i cadaveri di una donna e una bambina, probabilmente madre e figlia, a terra e sotto il sole vicino al confine con la Libia.

I migranti abbandonati a inizio luglio hanno raccontato di essere stati arrestati durante alcune operazioni compiute dalle forze di sicurezza tunisine a Sfax, la città costiera della Tunisia centrale da cui partono le imbarcazioni dirette verso Lampedusa. Hanno detto di essere stati picchiati, caricati su alcuni pullman, portati nel deserto e abbandonati sotto il sole, senza acqua né cibo. Uno di loro ha raccontato di essere stato picchiato con delle spranghe di ferro, una donna di aver perso il bambino di cui era incinta a causa delle botte e della mancanza prolungata di acqua e cibo.

Alcune di queste persone vivevano e lavoravano a Sfax: due di loro, un barbiere e sua moglie, hanno raccontato di essere stati arrestati dopo essere andati in ospedale a causa di alcune aggressioni subite e compiute da persone tunisine. Hanno parlato di «cinque autobus con circa 600-700 persone a bordo» portate nel deserto dalle autorità della Tunisia.

In alcuni casi sembra che siano stati arrestati e forzatamente trasferiti nel deserto anche migranti regolari. Alcuni dei sopravvissuti ascoltati da Le Monde, che in Tunisia erano arrivati regolarmente in aereo, hanno raccontato che le autorità tunisine avrebbero distrutto i loro passaporti e documenti e li avrebbero poi portati nel deserto. Queste testimonianze sembrano trovare conferma in quanto detto da Hélène Legeay, che si occupa di Medio Oriente e Nord Africa per l’Organizzazione mondiale contro la tortura, un’ong che si occupa di diritti umani. Legeay ha detto a Le Monde che la sua organizzazione ha ricevuto foto di documenti che attestavano lo status di richiedenti asilo di molte delle persone trasferite: sono persone in attesa di ottenere lo status di rifugiate, che non possono essere espulse fino alla conclusione della pratica.

Legeay ritiene che molti trasferimenti forzati siano stati attuati solo su basi di discriminazione razziale, in violazione delle norme internazionali sull’accoglienza, e con arresti arbitrari. Anche Human Rights Watch, un’altra organizzazione non governativa che si occupa di diritti umani, ha parlato di “gravi abusi” contro «migranti neri africani e richiedenti asilo».

Questi racconti e testimonianze hanno assunto particolare rilevanza perché l’Unione Europea ha appena firmato  con il governo tunisino un accordo che prevede un aiuto finanziario di circa 1 miliardo di euro alla Tunisia affinché limiti le partenze dei migranti. L’accordo è stato firmato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, accompagnata dalla presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, dal primo ministro olandese, Mark Rutte, e da Kais Saied, il presidente autoritario della Tunisia.

L’accordo è stato ampiamente criticato da esperti di migrazione e accoglienza, i quali ritengono che provocherà enormi sofferenze e molti morti, come successo con l’intesa raggiunta con la Libia nel 2017, simile a questa. Durante la sua presidenza Saied ha progressivamente trasformato il paese in senso sempre più autoritario e di recente ha avviato una campagna molto dura contro i migranti subsahariani, tentando di scaricare su di loro i problemi economici del paese”.

Senza vergogna

 “A seguito della diffusione su alcuni media e sui social network di falsità sul fascicolo dei migranti africani (subsahariani) nel deserto”, il ministero dell’Interno tunisino rigetta “queste accuse e calunnie che potrebbero nuocere all’immagine della Tunisia e dei tunisini”.

Lo si legge in un comunicato del ministero dell’Interno su Facebook. Nella stessa nota si sottolinea che “la Repubblica tunisina, come Stato e popolo, non risparmia alcuno sforzo per farsi carico dei migranti africani e degli altri stranieri presenti sul territorio tunisino, o per soccorrere coloro che sono in pericolo nelle acque territoriali tunisine fino a che non raggiungano un luogo sicuro”. Il ministero poi insiste sul dovere di proteggere i confini nazionali declinando ogni responsabilità nei confronti dei sub-sahariani che si trovano al di fuori di questi confini. 
Il ministro dell’Interno, Kamel Feki, sulla tv nazionale, ha ribadito chela Tunisia “si attiene all’applicazione della legge” nel respingimento dei migranti, “nel quadro del rispetto dei diritti umani e della salvaguardia della dignità”, aggiunto che Tunisi non si assume alcuna responsabilità per ciò che accade al di fuori dei suoi confini. 

La Tunisia, avverte Feki, «non accetterà alcun comportamento disumano che offenda l’immagine del paese». 

Calunnie. Falsità. Minacce. Un’arroganza senza limiti. Il ministro dell’Interno tunisino non conosce vergogna. Quei morti nel deserto sono crimini di Stato. Qualcuno glielo spieghi al nostro ministro dell’Interno, Piantedosi, per il quale, intervista a La Stampa, “la Tunisia rispetta i diritti umani”.

Native

Articoli correlati