L’ultimo azzardo di re Netanyahu: come Bibi è disposto a tutto per il potere illimitato
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L’ultimo azzardo di re Netanyahu: come Bibi è disposto a tutto per il potere illimitato

Il 15 luglio sarà nelle librerie L’ultimo azzardo di re Netanyahu. La democrazia in pericolo (Edizioni ETS), scritto da Enrico Catassi, Umberto De Giovannangeli, Alfedo De Girolamo, con la prefazione di Gadi Luzzatto Voghera

L’ultimo azzardo di re Netanyahu: come Bibi è disposto a tutto per il potere illimitato
Israele
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9 Luglio 2023 - 14.40


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«Adesso Netanyahu mira davvero ad essere “Re Bibi”. Dobbiamo usare tutti i mezzi legali per contrastarlo. Sordo a tutti gli avvertimenti, convinto che i suoi interessi e quelli dello Stato siano identici, affiancato da criminali, estremisti e teocrati, è determinato a raggiungere un potere quasi illimitato. Per decenni, i suoi sostenitori hanno salutato Benjamin Netanyahu, Primo Ministro per oltre un quinto della vita di questo paese, come “Bibi, re di Israele”. Il titolo non è mai stato più azzeccato di oggi. Tornato sul trono politico nazionale dopo un breve interregno, Netanyahu detiene un potere straordinario come capo di una coalizione di estrema destra in gran parte simile alla stessa opinione pubblica, ed è intenzionato ad allargare ulteriormente la sua presa neutralizzando l’unica difesa contro gli eccessi suoi o di qualsiasi governo, l’Alta Corte di Giustizia. Se si dimostrerà in grado di spogliare la corte della sua indipendenza e delle sue capacità, Israele sarà veramente il suo regno.

Come per i monarchi nel corso dei millenni, tuttavia, l’accumulo di potere assoluto ha coinciso con l’incapacità del nostro sovrano di separare i propri interessi personali da quelli dello stato, la crescente certezza che lui e solo lui può guidare efficacemente Israele, l’eliminazione delle voci dissenzienti, l’essersi contornato di un coro di “yes man” (e pochissime donne), e la conseguente convinzione che ogni mezzo è legittimo e necessario per consolidare la sua monarchia.

La tragedia, per il regno, è che Netanyahu lo ha indirizzato sulla via della distruzione», così David Horovitz in un profetico editoriale del The Times of Israel. 

Capire Israele non è una cosa semplice, scontata, banale e soprattutto la sua attuale fase storica investe direttamente la nostra. Nel caso specifico la risultante è un quadro politico, con i suoi multiformi significati, variegati, talvolta contrastanti e persino allarmanti, che sono l’anima dell’odierna evoluzione della sua democrazia in qualcosa di diverso, apparentemente meno “sofisticato”. Raccontare tutto ciò al pubblico italiano è stato un modo per tornare a scrivere insieme dopo 10 anni. Con “L’ultimo azzardo di re Netanyahu”, edito da Edizioni Ets e in uscita in libreria il prossimo 15 luglio, offriamo al lettore una analisi in presa diretta, ricomponendo un puzzle che intreccia polifonicamente le nostre considerazioni con le principali voci del dibattito sul presente e futuro di Israele. Muovendoci in un contesto dalle tinte fosche, come bene spiega lo storico Gadi Luzzatto Voghera: «A settantacinque anni dalla creazione dello Stato d’Israele, tuttavia, si vanno facendo sempre più pressanti i segnali di una profonda crisi istituzionale che pone sfide che l’attuale classe dirigente fa fatica a inquadrare. Le tentazioni antidemocratiche di una certa destra si assommano alla debolezza e disomogeneità dell’opposizione liberale e progressista che non lascia intravedere prospettive di governo chiare». La presa del potere da parte di Netanyahu (grazie alla vittoria elettorale del 1 novembre 2022) ha prodotto, e accelerato, uno scollamento nella società israeliana. I risultati delle ultime elezioni hanno ratificato ciò che da tempo era chiaro: l’Israele conservatore, ha se non cancellato di certo messo in un angolo l’Israele secolarizzato. La destra ha vinto sia sul piano culturale che su quello politico. Mentre, il centrosinistra si è incartato, morendo di troppo governismo. La crisi identitaria del grande pubblico di fede socialdemocratica (la sinistra sionista) si è trasformata in una fuga verso la zona maggiormente confortevole: il centro. Ed oggi la sinistra è costretta, per rigenerarsi, a fare affidamento al movimento di protesta che riempie le piazze da mesi, sfidando la riforma della giustizia. Al contrario, nel corso del nuovo millennio la destra israeliana si è rafforzata e le sue innumerevoli varianti sono oramai un’area talmente estesa che in questi anni Netanyahu ha potuto definire a suo piacimento il perimetro delle alleanze di governo. Fino a giungere, più per necessità che altro, ad un asse politico fortemente sbilanciato all’estrema destra, quella di matrice razzista e xenofoba. Lasciando che il centro, l’unico polo a lui potenzialmente antagonista, accogliesse i suoi ex alleati caduti in disgrazia. 

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Nota il professor Sergio Della Pergola: «Essere di destra è legittimo, è ovvio. È la democrazia, che va rispettata. Ogni popolo ha il governo che si merita. Il popolo segue determinati istinti, magari poi si pente, nonostante tutto la democrazia è la forma migliore che esista. Certo, in Italia nel 1924 ci furono le elezioni e Mussolini vinse nonostante lo scandalo della morte di Matteotti, mentre qui in Israele tra i vincitori c’è chi gioì per la morte di Rabin. Per questo sono preoccupato».

Timori che troviamo anche dall’altro lato del muro, tra i palestinesi. Per lo scrittore Raja Shehadeh: «È molto probabile che ci sarà più discriminazione nei confronti dei palestinesi in Israele, e già c’è il timore che tutto peggiorerà. Per quanto riguarda la Cisgiordania, la situazione è, credo, meno strutturale e più una questione di grado, perché abbiamo già avuto, dal 1979, cambiamenti nell’assetto di governo della regione, i coloni sono stati separati dai palestinesi e posti sotto un regime diverso ed annessi ad Israele, di fatto. E così la discriminazione colpisce i palestinesi e non i coloni israeliani. I sistemi esistono già, e questo nuovo governo non ne creerà di nuovi, ma userà i suoi poteri di amministrazione civile per aumentare le difficoltà ai palestinesi».

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Se solo parte dei programmi elettorali, e poi dell’accordo di coalizione siglato dai partiti di estrema destra con i notai di Bibi, dovessero essere applicati alla lettera durante il mandato di governo è chiaro a tutti che gli effetti saranno deleteri per arabi, palestinesi, comunità LGBTQ+ e genericamente avversi alla laicità dello stato.  

E per quanto Netanyahu tenti di dare prova del contrario non risulta credibile. Sulla sua inaffidabilità punta il dito Anshel Pfeffer, storica firma di Haaretz, nella postfazione del libro: «Il 29 dicembre 2022, Benjamin Netanyahu ha presentato il suo nuovo governo alla Knesset, il parlamento israeliano. Nel discorso inaugurale ha esposto tre compiti da svolgere per il suo sesto mandato da premier. Il primo era l’eterna missione di Netanyahu: contrastare i programmi dell’Iran per rifornirsi dell’arma nucleare ed espandere l’influenza nella regione. In secondo luogo, ha promesso investimenti senza precedenti nelle infrastrutture israeliane del trasporto, tra cui il “treno proiettile” ad alta velocità, che collegherebbe Kiryat Shmona a Eilat, il nord al sud. La sua terza promessa era quella di ampliare i legami di Israele con i paesi arabi. Non ha menzionato il nome, ma ha lasciato intendere che stava parlando di relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, il Santo Graal della politica estera israeliana. Le tre missioni non erano altro che le classiche priorità di Netanyahu. Sicurezza, macroeconomia e diplomazia. Come al solito Netanyahu ha sciorinato grandi disegni per oscurare la realtà del suo nuovo governo».  

Il patto di governo che Bibi ha siglato con l’estrema destra razzista è vuoto di contenuti e principi morali, volutamente ambiguo e sconsideratamente pretestuoso. Siamo di fronte al classico esempio di un disastro annunciato. Lo pensa Alon Pinkas: «In Israele, la convergenza di tutti i processi e gli eventi non poteva accadere a un governo più profondamente inetto, disfunzionale, antidemocratico, estremista e disorientato di quello che Netanyahu guida e incarna. Ma, come nel caso delle kakistocrazie, tutto questo era prevedibile, la scritta era evidente da mesi ma è stata convenientemente ignorata». A sentire la difesa sperticata di Netanyahu in Israele non ci sono problemi, «non c’è ragione che vi preoccupiate» è il mantra che ripete ai quattro venti, da quando è tornato sul trono di Gerusalemme. Ma anche questa volta non è sufficientemente convincente. La risposta forse più pertinente sarebbe che i problemi Netanyahu se li è cercati, sapendo che lo avrebbero portato dove, purtroppo, voleva arrivare. L’incapacità manifesta di questo governo è nel suo essere ideologicamente divisivo, il parere di Tal Schneider è che: «L’autoproclamato a tutti gli effetti governo di destra prometteva che sarebbe stato un pilastro di stabilità, con una sola voce e obiettivi condivisi. Invece, quelle voci e quegli obiettivi stanno frantumando la nazione». Del resto gli estremismi nazionalisti cristallizzano in superficie la paura. Ma quando governano non risolvono i problemi reali della gente.

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Alan Morton Dershowitz, noto principe del foro statunitense (difensore di O. J. Simpson nel caso che negli anni ’90 divise l’America) e convinto sionista, è solito raccontare questo episodio: «Durante una cena con Bill Clinton, l’allora presidente disse a un critico delle politiche israeliane che l’unica cosa che non va in Israele è che “è una democrazia, dannazione!”. Spiegò che nel trattare con alleati non democratici, poteva semplicemente chiamare i leader e dire loro cosa fare. Non è così per Israele, dove nessuna persona decide le politiche. In un’elezione equa e democratica, i cittadini israeliani hanno votato per un governo che comprenderà ministri le cui politiche molti americani, me compreso, probabilmente non condivideranno… Tutte le democrazie attraversano delle fasi. A volte il pendolo oscilla più ampiamente di altre volte. Non mi piace la direzione in cui alcuni dei leader del nuovo governo vorrebbero portare il Paese – e sospetto che questo valga anche per altri membri del nuovo governo, compreso il suo leader. Ma Israele è una “democrazia, dannazione”, una democrazia complicata che esige compromessi per funzionare». E comunque, «i governi vanno e vengono, e così i loro ministri». Quello che resta è il diritto ad  essere asceticamente critici sulle distorsioni della deriva sovranista, compresa l’occupazione e la violazione dei diritti. 

Il 15 luglio sarà nelle librerie L’ultimo azzardo di re Netanyahu. La democrazia in pericolo (Edizioni ETS), scritto da Enrico Catassi, Umberto De Giovannangeli, Alfedo De Girolamo, con la prefazione di Gadi Luzzatto Voghera e la postfazione di Anshel Pfeffer. Globalist ne anticipa un estratto.

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