In Libia "sospeso" il primo ministro: alla faccia della stabilizzazione
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In Libia "sospeso" il primo ministro: alla faccia della stabilizzazione

La Libia è sempre più uno Stato politicamente fallito, spezzato in due. Con due parlamenti, con signori della guerra spacciati per statisti. E’ il caos più totale. Un caos armato.

In Libia "sospeso" il primo ministro: alla faccia della stabilizzazione
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Maggio 2023 - 13.02


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Alla faccia della stabilizzazione. E di fantomatiche elezioni più volte annunciate e sempre rinviate. La Libia è sempre più uno Stato politicamente fallito, spezzato in due. Con due parlamenti, con signori della guerra spacciati per statisti. E’ il caos più totale. Un caos armato.

Sospeso

A darne conto è un aggiornato report di Agenzia Nova: “La decisione della Camera dei rappresentanti della Libia – l’organo legislativo con sede in Cirenaica – di sospendere il premier del Governo di stabilità nazionale (Gsn) da essa stessa designato, Fathi Bashagha, è una decisione “sospetta”. Lo ha affermato Khaled al Mishri, il capo dell’Alto consiglio di Stato, il “Senato” libico basato a Tripoli che fa da contraltare alla Camera dei rappresentanti della città orientale di Tobruk. Quest’ultima, ha affermato Mishri sul proprio profilo Twitter, continua con le proprie “assurdità politiche”, attuando decisioni senza prima consultare l’Alto consiglio di Stato, come avvenuto nella mozione di sfiducia al Governo di unità nazionale (Gun) guidato da Abdelhamid Dabaibae nella mancata approvazione della legge di bilancio, che ha portato lo Stato libico a “spendere denaro senza supervisione”. “Dopo aver nominato Fathi Bashagha a capo di un nuovo governo e aver approvato il suo esecutivo in modo non trasparente, ha ora deciso di sospenderlo in modo sospetto, per non dire altro”, si legge nel tweet di Al Mishri, il quale ha invitato la Camera dei rappresentanti a tener conto dell’interesse supremo dello Stato, in accordo con l’Alto consiglio, nell’elaborazione di una tabella di marcia chiara che possa portare la Libia verso elezioni sotto la guida un governo unificato di ridotte dimensioni, al fine ultimo di porre fine al periodo di transizione. La Camera è stata inoltre invitata a “emanare leggi e legislazioni che non sono richieste nella fase attuale”.

Ieri la maggioranza dei membri della Camera dei rappresentanti ha votato a favore della sospensione del premier Bashagha, per deferirlo alle indagini, assegnando al ministro delle Finanze del Gsn, Osama Hammad, le funzioni di primo ministro. Poco prima, Bashagha aveva inviato una lettera all’organo legislativo in cui riferiva di aver incaricato il suo vice, Ali Qatrani, della gestione degli affari governativi, affidandogli una delega con pieni poteri, senza tuttavia precisare le motivazioni dietro la propria decisione. Secondo quanto afferma Jalel Harchaoui, ricercatore specializzato in Libia, sul proprio profilo Twitter, sostituire Bashagha con Hammad potrebbe consentire ai figli del generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar, di offrire la guida dei ministeri delle Finanze, degli Esteri e della Difesa del Gsn a individui sostenuti dai leader dei gruppi armati di Tripoli, con l’eventualità che anche il Gun possa concedere incarichi simili nel governo di Tripoli a persone sostenute dalla famiglia di Haftar. Al contempo, Abdel Moneim al Arfi, membro della Camera dei rappresentanti libica, citato dal portale “Al Wasat”, aveva affermato, ieri, che Bashagha “non ha più armi” e che vi è una tendenza all’interno dell’organo legislativo basato in Cirenaica a formare un “mini-governo” che possa portare alle elezioni in Libia. Parallelamente, il deputato Jibril Uhaida ha evidenziato come il premier designato non sia riuscito nel suo intento di prendere il controllo di Tripoli e, da allora, ha dovuto “scusarsi” con la Camera dei rappresentanti.

Vale la pena ricordare che il Gsn è di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, formato nel febbraio 2022 e sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale Haftar. A giugno dello scorso anno, il presidente del Parlamento libico eletto nel 2014, Aguila Saleh, aveva affermato che il Gsn aveva ufficialmente avviato le sue funzioni dalla città di Sirte, nella costa centro-settentrionale della Libia, mentre l’esecutivo rivale di Dabaiba era “scaduto” e poteva essere rimosso da Tripoli solo “con la forza o d’intesa con i gruppi armati” della capitale libica. Bashagha, ex ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj, ha cercato più volte di strappare il potere al rivale Dabaiba, capo dell’esecutivo riconosciuto dalle Nazioni Unite. L’ultimo tentato golpe risale all’agosto 2022, quando scontri armati nel centro di Tripoli si erano conclusi con un tragico bilancio di 32 morti e 159 feriti. Ad oggi, la Libia continua a essere divisa tra le due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” incaricato di redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est).

Un governo bicefalo per un Paese diviso

Di grande interesse e strettissima attualità è l’analisi (dicembre 2022) di Federico Manfredi Firmian, Associate research fellow dell’Ispi (Istituto per gli stuti di politica internazionale). Annota Manfredi Firmian: “La Libia rimane politicamente e territorialmente divisa fra due governi rivali. I fronti militari sono calmi e la guerra civile non è imminente ma la situazione resta instabile. 

La capitale Tripoli ed il nord ovest del paese sono controllati dal Governo di unità nazionale (Gnu), attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Il governo di Tripoli è riconosciuto a livello internazionale e occupa il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione africana, ma è meno unito di quanto sembri. Dbeibah è una figura politica che rappresenta un compromesso fra i poteri forti dell’ovest, che includono le milizie islamiste di Tripoli e Misurata e interessi economici legati a reti di clientelismo.

L’est del paese e vaste zone della Libia centrale sono nominalmente sotto l’autorità della Camera dei Rappresentanti, la legislatura unicamerale della Libia, che nel marzo 2022 ha creato un governo parallelo con Fathi Bashagha come primo ministro. In realtà, è il generale Khalifa Haftar a governare questi territori in modo autoritario.

I due campi si reggono fondamentalmente su network di forze armate e milizie organizzate a livello locale e regionale, ma mantengono al tempo stesso complesse alleanze internazionali che hanno loro permesso di perdurare negli anni. Il governo di Tripoli ha l’appoggio militare della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. La Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono invece i principali alleati di Haftar.

Le divisioni della Libia di oggi non sono un semplice conflitto est-ovest. I due pretendenti al potere, Dbeibah e Bashagha, non sono distinguibili l’uno dall’altro né per ideologia né per provenienza. Sia Bashagha sia Dbeibah sono originari di Misurata ed entrambi hanno l’appoggio di fazioni islamiste. Un altro fattore che li accomuna è che non hanno legittimità democratica. Le ultime elezioni nazionali in Libia si sono tenute nell’ormai lontano 2014. Quanto a Haftar, nonostante si sia efficacemente posizionato come uomo forte anti-islamista, il suo Esercito nazionale libico conta fra le sue file diversi battaglioni salafiti e il generale lascia loro campo libero in materia di questioni religiose.

Le élite politiche della Libia sono interessate principalmente a ottenere posizioni di potere nel governo e nelle forze di sicurezza, a controllare le finanze pubbliche e le infrastrutture energetiche e a gestire le alleanze internazionali.

La Libia è un petrostato: nel 2021, i proventi del petrolio hanno rappresentato il 98% delle entrate pubbliche, secondo dati della Banca centrale della Libia. Le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National Oil Corporation (Noc), e la Banca centrale, e riscuotono quindi la totalità dei proventi della produzione di idrocarburi. Ma le forze di Haftar controllano l’intera “mezzaluna del petrolio” nell’est del paese, così come cinque dei principali porti petroliferi della Libia: Es Sider, Ras Lanuf, Zueitina, Brega e Hariga. (Gli altri due principali porti petroliferi, Mellitah e Zawiya, sono nell’ovest del paese.)

Haftar non può vendere il petrolio direttamente sui mercati internazionali ma può bloccare fino a ¾ della produzione e dell’esportazione, cosa che ha fatto ripetutamente negli anni per forzare il governo di Tripoli a cedergli una percentuale dei proventi.

Un accordo segreto fra Haftar e Dbeibah, probabilmente mediato dagli Emirati Arabi Uniti, ha portato alla nomina di Farhat Bengdara al posto di direttore della Noc nel luglio 2022. I termini dell’accordo non sono pubblici ma da quando Bengdara ha preso le redini della Noc la completa ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio in tutta la mezzaluna dell’est indica che Haftar sta incassando una percentuale dei proventi.

Da un punto di vista politico e militare, la Libia resta in una situazione di stallo. Il paese rimane diviso, malgovernato, suscettibile a sporadici scontri armati su scala limitata e ad abusi dei diritti dei cittadini libici e dei migranti. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha inoltre complicato ulteriormente il processo di mediazione dell’Onu in Libia.

Wagner si espande

Il gruppo paramilitare russo Wagner ha trasferito nella Repubblica centrafricana (Rca) sette aerei da combattimento presenti in Libia e Sudan. Lo riporta il sito “Corbeau News Centrafrique” (Cnc), precisando che i velivoli sono arrivati  a Bangui a bordo di un grosso Antonov russo. Secondo la fonte, gli aerei l’Antonov ha effettuato diversi voli facendo da spola fra Libia, Sudan e Rca, Paese quest’ultimo dove la presenza di mercenari della Wagner è acclarata. Secondo fonti di “Cnc”, lo scorso mese i leader di Wagner avrebbero informato il presidente Faustin-Archange Touadera e il generale Zephirin Mamadou, capo di Stato maggiore della Difesa, della loro intenzione di spostare i loro aerei da combattimento da Bengasi a Bangui. Il trasferimento sarebbe stato avviato sabato scorso, quando sette aerei da combattimento sono atterrati all’aeroporto internazionale di Bangui Mpoko.

I movimenti di armi fra Repubblica Centrafricana e Libia ed il coinvolgimento di loro attori nel conflitto sudanese è questione trattata da molti analisti. Secondo l’esperto militare libico Adel Abdel Kafi, le Forze rapide di supporto (Rsf) del generale sudanese Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo hanno ricevuto missili ed altre forniture militari dai mercenari russi di Wagner e dagli Emirati Arabi Uniti con la complicità del comandante dell’Esercito nazionale libico, Khalifa Haftar, di stanza nel sud-est della Libia, da dove le armi sono transitate. In dichiarazioni rilasciate ad “Agenzia Nova” l’esperto ha osservato che il continuo sostegno militare accordato al generale Dagalo gli offre la possibilità di innescare un’ulteriore guerra. “Parte del sostegno che raggiunge le forze di Dagalo passa attraverso il territorio libico, precisamente nel sud-est dove sono di stanza le forze di Haftar”, ha spiegato l’analista, che ricorda come l’esercito libico abbia confermato la ricezione da parte del generale delle Rfs di missili Sam 7 da parte del gruppo paramilitare russo Wagner, armi che sono entrate in Sudan tramite la Libia. Kafi ha detto che è stato possibile confermare i carichi in seguito al monitoraggio di due voli che trasportavano armi dall’aeroporto di Kufra, nel sud-est della Libia, al Sudan. Camion carichi di carburante sono stati avvistati nel sud libico e da qui sono entrati in Sudan con l’aiuto delle milizie di Haftar, ha aggiunto l’analista, secondo il quale la fornitura di supporto alle forze di Dagalo dalla Libia rientra negli ordini degli Emirati Arabi Uniti e della Russia.

Ma i legami di Dagalo con i gruppi ribelli non si limita alla Libia e si estende anche, come detto, alla Repubblica Centrafricana. All’inizio di dicembre, scrive la rivista “Africa Intelligence”, il generale “Hemeti” ha annunciato di aver chiuso il confine del Sudan con la Repubblica Centrafricana, ufficialmente per evitare che gli scontri tra le forze lealiste di Bangui e i gruppi ribelli si estendessero al Sudan. In realtà, riferiscono le fonti, la decisione risponderebbe ad un accordo informale con Bangui – il cui presidente Faustin-Archange Touadera è un alleato di ferro di Vladimir Putin – per consentire alle Rsf di intervenire nelle tre prefetture settentrionali del Paese, ovvero Vakaga, Haute-Kotto e Bamingui-Bangoran. Vale la pena di ricordare che il nord-est della Repubblica Centrafricana è un focolaio di controversie sul controllo delle miniere d’oro, sulle rotte migratorie del bestiame e sul contrabbando.

I termini dell’accordo sarebbero stati definiti con il ministro dell’Allevamento centrafricano Hassan Bouba, che il presidente Touadera ha incaricato di neutralizzare i gruppi armati ostili. Bouba, un ex leader ribelle che è entrato a far parte del governo nel 2020, avrebbe effettuato una visita ufficiale a Birao, nella prefettura di Vakaga, alla fine di dicembre, oltre a recarsi nella città di confine di Am Dafok per incontrare gli ufficiali delle Rsf di stanza alla sua periferia. Ufficialmente, le Rsf sono distaccate solo sul lato sudanese del confine, tuttavia diverse fonti nella regione hanno confermato ad “Africa Intelligence” che alcuni dei suoi membri – forse ben 500 – avrebbero attraversato di almeno 30 chilometri il confine con la Repubblica Centrafricana per sostenere le milizie Wagner e l’esercito della Repubblica Centrafricana nella repressione dei gruppi ribelli ostili: il Fronte popolare per la rinascita della Repubblica Centrafricana (Fprc) di Noureddine Adam e l’Unità per la pace in Centrafrica (Upc) di Ali Darass.

Altro che stabilizzazione del Nord Africa e dell’area del Sahel. La Libia, il Sudan e altro ancora. Ma a Roma, come a Bruxelles, sembrano non accorgersene.

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