Repressione, crisi economica, terrorismo: la Tunisia in ginocchio
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Repressione, crisi economica, terrorismo: la Tunisia in ginocchio

Un autocrate razzista che ha dottato come modello di governo quello praticato da Erdogan e al-Sisi: riempire le carceri di oppositori, militarizzare il Paese, cancellare ogni traccia della “rivoluzione dei gelsomini”

Repressione, crisi economica, terrorismo: la Tunisia in ginocchio
Attentato alla sinagoga di Djerba in Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Maggio 2023 - 14.32


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Una crisi economica devastante. Un malessere sociale esplosivo. Un autocrate razzista che ha dottato come modello di governo quello praticato da Erdogan e al-Sisi: riempire le carceri di oppositori, militarizzare il Paese, cancellare ogni traccia della “rivoluzione dei gelsomini”. E ora, come se non bastasse, sulla martoriata Tunisia torna ad aleggiare lo spettro del terrorismo. Che si è rimaterializzato a Djerba.

Spari sulla sinagoga

Un militare ha aperto il fuoco sull’isola di Djerba, per motivi ancora ignoti. Ed è strage: i morti sono almeno 4, incluso l’assalitore, i feriti una decina.

Tutto è avvenuto nella sera di martedì nei pressi della sinagoga di Ghriba, rove si stava tenendo un annuale pellegrinaggio ebraico. 

Secondo una prima ricostruzione dei fatti, un membro della Guardia nazionale in forza presso il centro navale dell’isola ha ucciso un suo collega con l’arma di servizio, poi ha cercato di entrare nella sinagoga e ha iniziato a sparare contro le unità di sicurezza sul luogo, che hanno risposto al fuoco. La zona è stata messa in allerta, le persone invitate a cercare riparo.

I morti dunque sono lo stesso assalitore, un altro militare e due civili – fra i quali un cittadino francese. I feriti sarebbero almeno dieci. 

Il ministero dell’Interno tunisino fa sapere che l’interno e l’esterno della sinagoga sono stati messi in sicurezza e che le ricerche delle autorità continuano per scoprire “le ragioni di questo attacco codardo”.

La sinagoga di Ghriba – secondo la leggenda – ha circa 2500 anni ma fu ricostruita alla fine del XIX secolo sul sito del precedente edificio del VI secolo. 

Si trova nel centro dell’isola di Djerba, dove ha sede una delle più antiche comunità ebraiche del Mediterraneo, ben integrata in un Paese a maggioranza musulmana. Il pellegrinaggio in corso in queste ore attrae ogni anno migliaia di visitatori da tutto il mondo. 

Per accedervi bisogna sottoporsi a vari controlli di sicurezza, soprattutto dopo che nel 2002 il luogo fu oggetto di un sanguinoso attentato poi rivendicato dall’ala locale di al- Qaeda: un camion fu fatto esplodere all’ingresso, i morti furono 20.
le autorità aggiungono avvocati per i diritti umani a un caso di cospirazione inventato

Il giro di vite continua: avvocati incarcerati per un complotto inesistente

Le autorità tunisine hanno già fatto abbastanza danni al diritto alla libertà di espressione”, dice Heba Morayef di Amnesty. Tra gli accusati ci sono l’avvocato per i diritti umani Ayachi Hammami, l’avvocato femminista Bochra Belhaj Hamida e due personaggi politici dell’opposizione Nejib Chebbi e Noureddine Bhriri. “Con la crisi economica in Tunisia che si sta sempre più approfondendo, le autorità dovrebbero cercare di In febbraio 2023, le autorità tunisine hanno aperto un’indagine penale contro 17 sospetti e ne hanno arrestati 12. Il presidente ha pubblicamente etichettato i detenuti come “terroristi” e li ha accusati di complottare per attaccare lo stato e fomentare tensioni sociali. Le autorità tunisine hanno già fatto abbastanza danni al diritto alla libertà di espressione e allo Stato di diritto detenendo arbitrariamente i dissidenti per accuse infondate. L’Associazione degli Avvocati di Tunisi ha informato che sono stati aggiunti quattro nuovi sospetti alla lista dei sospetti. Quattro nuovi individui sotto indagine sono Ayachi Hammami, Nejib Chebbi, Bochra Belhaj Hamida e Noureddine Bhiri. Hammami è già sotto indagine in base a una legge draconiana sul crimine informatico per aver criticato pubblicamente le autorità. Le autorità tunisine hanno preso di mira i critici e i presunti oppositori del presidente con indagini penali e processi in un contesto di un più ampio regresso dei diritti umani. Il presidente Saied ha adottato una nuova costituzione che minaccia i diritti umani e ha emesso decreti-legge che minano l’indipendenza giudiziaria e la libertà di espressione.

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L’abbraccio dei securisti

Ricostruisce Daniele Prestigiacomo su EuropaToday: ““Era il 2021 quando Giorgia Meloni, all’epoca leader dell’opposizione, tuonava contro la Turchia, rea di aver “messo l’Europa sotto il ricatto migratorio ottenendo dall’Ue miliardi di euro per bloccare i flussi di profughi”. Sono passati due anni da allora, e adesso, in veste di premier, la leader di FdI vorrebbe prendere a modello l’accordo tra Bruxelles e Ankara per applicarlo in Tunisia, e fermare quello che è diventato il principale punto di partenza dei flussi di migranti che sbarcano in Italia, già arrivati a quota 40mila nel 2023. Poco importa che il leader di Tunisi abbia poco da invidiare, in quanto ad autoritarismo, al “sultano” Recep Erdogan. E che il boom di partenze dalle coste del Paese nordafricano suoni come una forma di pressione, se non di ricatto, nei confronti di Roma e del resto dell’Europa. L’importante per il governo è chiudere il rubinetto, utilizzando i soldi Ue. 

Da Paese simbolo della Primavera araba, il movimento che sembrava lanciarla verso la democrazia, la Tunisia si è trasformata negli ultimi anni in un grattacapo geopolitico per l’Europa e l’Occidente. Il presidente Kais Saied, giunto al potere nel 2019, ha pian piano eroso i fondamenti del fragile stato di diritto messo in piedi in precedenza, togliendo poteri al parlamento e accentrandoli nelle sue mani. In contemporanea, la recessione causata dalla pandemia di Covid-19, seguita dall’aumento del prezzo dei cereali e dell’energia legato alla guerra in Ucraina, hanno accelerato la discesa all’inferno dell’economia del Paese, fortemente dipendente dalle importazioni. Da mesi, scarseggiano beni di prima necessità come il petrolio, lo zucchero, il latte e il burro. I carichi di grano e altri alimenti sono stati spesso rispediti indietro per mancanza di risorse. 

Più la situazione economica peggiorava, più Saied affondava il coltello sulla società civile e sulla politica per imporre il suo potere autoritario: negli ultimi mesi decine di importanti attivisti, politici e sindacalisti sono stati arrestati e accusati di tradimento o di pericolo per la sicurezza nazionale. Tra loro c’è Rached Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda, uno dei principali avversari di Saied. Se Ghannouchi spinge per un Islam politico, Saied si è posto come baluardo della laicità, rifiutandosi di inserire l’Islam nella costituzione come religione di Stato. Questo però non gli ha impedito di accusare, di recente, i migranti di religione cristiana che arrivano dall’Africa subsahariana di far parte di una sorta di complotto volto alla sostituzione etnica dei musulmani tunisini.

Entrare nelle dinamiche interne del Paese con gli occhiali dell’Occidente è complicato. Meno difficile da comprendere è la strategia di politica estera che sta seguendo Saied: di base, il presidente può contare ancora sull’appoggio di Usa e Ue, in particolare di Italia e Francia. Ma Saied comincia sempre più a strizzare l’occhio a Cina e Russia, cosa che preoccupa non poco i governi occidentali. La strategia sembra chiara: mettere pressione su Stati Uniti ed Europa affinché assecondino le sue richieste. E qui entra in gioco il governo Meloni.

Il nodo centrale in questo momento per Saied è come far fronte alla grave crisi economica e sociale del Paese con un bilancio pubblico affossato dai debiti. Servono soldi. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) è disposto a versare fino a 1,9 miliardi di dollari di prestiti, ma chiede in cambio delle riforme. Condizioni su cui tanto Siaed, quanto l’opposizione sono per una volta uniti nel dire no. Il piano dell’Fmi prevede infatti misure lacrime e sangue che la popolazione difficilmente riuscirebbe a sopportare in questo momento: la completa eliminazione dei sussidi per cibo e carburante, il taglio della spesa per la sanità pubblica, l’istruzione e la protezione sociale, e la privatizzazione delle principali aziende pubbliche. “La soppressione dei sussidi per i prodotti di base aggraverà le diseguaglianze e amplierà la distanza tra regioni interne e costiere della Tunisia, nuocendo alla crescita economica del Paese”, scrive Alissa Pavia, dell’Atlantic Council.

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Per Saied, accettare tali condizioni vorrebbe dire porre fine al proprio potere, e per questo a inizio mese ha rifiutato di firmare l’accordo con l’Fmi. In contemporanea, ha accennato a un possibile sostegno da parte dei Brics, il gruppo di Paesi di cui fanno parte Cina e Russia. L’Europa ha fatto sapere di essere pronta a venire in aiuto della Tunisia, e oggi la commissaria Ue agli Interni, Ylva Johansson, presenterà i piani di Bruxelles al ministro tunisino Kamal Feki. Alla riunione avrebbero dovuto partecipare anche i ministri degli Interni di Italia e Francia. Il Viminale sperava di arrivare a questo incontro con qualcosa di concreto in mano, ma c’è un problema: l’Ue non intende sborsare fondi finché non ci sarà un accordo tra Tunisi e l’Fmi. 

Per uscire dallo stallo, Roma sta cercando di trovare una via di mezzo: “Noi stiamo insistendo perché si dia una prima tranche di finanziamenti per favorire le riforme e a mano a mano, se si realizzano, se ne potranno dare altri. Vediamo se il Fondo monetario e il resto d’Europa saranno con noi”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani. In altre parole, la soluzione di compromesso italiana è che intanto si dia una prima tranche di 300 milioni di dollari, in modo da sbloccare anche gli aiuti Ue. Se Saied farà o meno le riforme chieste dall’Fmi lo si vedrà in seguito. Per il momento, quello che conta per l’Italia è che la Tunisia non crolli, e che il presidente torni a sigillare le sue coste, bloccando il più possibile le partenze dei migranti”.

La deriva autoritaria 

Di grande interesse è un report dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): “Sezioni chiuse e diversi fermi tra gli iscritti: all’indomani dell’arresto di Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista di opposizione Ennahda, sulla Tunisia cala la scure della repressione politica. “Gli agenti sono arrivati al quartier generale e hanno ordinato a tutti quelli che erano all’interno di uscire prima di chiuderlo – racconta a Rfi Riadh Chaibi un esponente del partito – aggiungendo che “la polizia ha chiuso anche gli uffici di altri partiti in tutto il paese e vietato qualsiasi riunione”. Il giro di vite sulle attività politiche imposto dal presidente Kais Saied è confermato anche dal Fronte di salvezza nazionale (Fsn), principale coalizione di opposizione di cui Ennahdha fa parte, a cui è stato impedito ieri di tenere una conferenza stampa alla luce dell’arresto di Ghannouchi: “La polizia ha impedito lo svolgimento della conferenza stampa e ha installato barriere davanti alla sede del partito”, ha detto il portavoce del Fsn Ahmed Néjib Chebbi. Intervenendo a una cerimonia nella sede dei servizi di sicurezza, Saied ha invitato la giustizia ad “assumere il suo ruolo in questa fase che sta attraversando il paese”. E senza citare l’arresto di Ghannouchi ha avvertito: “Stiamo conducendo una guerra spietata contro coloro che cercano di minare lo stato e le sue istituzioni”. Una circolare del ministero dell’Interno riferisce che le riunioni negli uffici di Ennahda e in quelli del Fsn nella regione di Tunisi sono vietati nell’ambito dell’emergenza in vigore nel Paese.[…] L’arresto del leader di Ennahda e la chiusura delle sedi dell’opposizione è solo il punto d’arrivo di una svolta autoritaria in atto da tempo nel Paese.

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Nelle ultime settimane gli arresti ai danni di giornalisti, imprenditori e sindacalisti avevano fatto temere un’ulteriore svolta autoritaria da parte del presidente Saied che, dal luglio 2021 ad oggi, ha prima rimosso il primo ministro e sciolto parlamento, e poi ha concentrato su di sé tutti i poteri con modalità che in molti avevano definito da “colpo di stato”.

Da allora la Tunisia ha subìto una progressiva trasformazione istituzionalecon l’adozione di una controversa Costituzioneche ha instaurato un sistema iper-presidenziale, l’insediamento di unnuovo parlamento fortemente ridimensionatolimitazioni all’indipendenza della magistratura. Nel corso di questi mesi, Saied ha represso con violenza le proteste di chi lo accusava di voler riportare il paese verso l’autoritarismo e lo scorso 21 febbraio ha denunciato la presenza di “orde di migranti subsahariani” in Tunisia che avrebbero minacciato sul piano demografico “l’identità arabo-islamica” del paese. Il suo discorso, che riflette echi della teoria complottista della grande sostituzione’ – molto in voga anche tra i partiti di estrema destra in Europa –, ha di fatto segnato un immediato peggioramento delle condizioni di vita di migliaia di migranti presenti nel Paese, in un clima di tensioni sociali inasprite dalla crisi economica e da un’inflazione galoppante”.

Commenta Lorenzo Fruganti, Ispi Mena centre: “L’arresto di Rachid Ghannouchi e la chiusura delle sedi di Ennahda sembrano configurarsi come l’ennesimo atto di un graduale processo di repressione del dissenso pubblico portato avanti dal presidente Kais Saied a partire dalla sua presa dei poteri il 25 luglio del 2021. Se tale arresto rientra nella strategia del capo dello stato volta a far ricadere su Ennahda le responsabilità per le attuali difficoltà socioeconomiche della Tunisia, la mossa di Saied potrebbe finire per minare la stabilità politica del paese in un momento di grande incertezza sul piano economico e finanziario. D’altra parte, fermo nella sua volontà di non scendere a compromessi, il presidente continua a rifiutare ogni iniziativa di dialogo nazionale (inteso a risollevare le sorti dello stato) avanzata dalle forze di opposizione e dalle organizzazioni della società civile, sostenendo che quest’ultimo dovrebbe aver luogo solo nel quadro del nuovo parlamento eletto. Un organo legislativo che, tuttavia, è fortemente ridimensionato nelle sue funzioni e dal quale restano esclusi i partiti che si sono schierati contro il “colpo di stato” di Saied.”

Nuovi cimiteri

Le autorità in Tunisia stanno pensando di costruire nuovi cimiteri per accogliere i resti di migranti annegati in mare nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, che le onde restituiscono alle spiagge tunisine ogni giorno.

Le cifre dell’orrore – ricorda il Guardian, che dedica un servizio a questa storia – sono impressionanti: almeno 800 i cadaveri riaffiorati dal mare nel 2022 sulla sola costa di Sfax e già 300 quest’anno, secondo la Mezzaluna Rossa tunisina.Fra i corpi ci sono quelli di donne, anche incinte, e di bambini. 
Per ridurre la pressione su ospedali, obitori e cimiteri, i funerali, anche collettivi, vengono tenuti quasi quotidianamente, ma i posti scarseggiano. Il governatorato di Sfax – citato dal Guardian – scrive in una nota che “l’afflusso elevato di vittime ha prodotto un eccesso di 170 copri sulla possibilità di ricezione del dipartimento di medicina legale dell’Università Burghiba”, i cui vertici hanno tenuto una riunione con le autorità sanitarie locali per trovare una “soluzione radicale”. Fra le ipotesi quella di dotarsi di nuovi mezzi refrigerati per trasportare i cadaveri e di individuare nuovi spazi cimiteriali. L’Unhcr, l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, stima che dall’inizio del 2023 siano almeno 20.000 migranti partiti dalle coste tunisine diretti in Italia e altri 15.000 dalla Libia.

Questa è la Tunisia oggi. 

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