Italia-Libia: l'azzardo Meloni e quella "torta petrolifera" da spartire
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Italia-Libia: l'azzardo Meloni e quella "torta petrolifera" da spartire

La stampa mainstream arruolata dal palazzo (Chigi) per una riedizione dell’Istituto Luce 2.0, ha pompato l’ultima narrazione glorificante sul ruolo da protagonista assoluto che il governo sovranista italiano eserciterebbe nel Mediterraneo. 

Italia-Libia: l'azzardo Meloni e quella "torta petrolifera" da spartire
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Maggio 2023 - 14.42


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La stampa mainstream arruolata dal palazzo (Chigi) per una riedizione dell’Istituto Luce 2.0, ha pompato l’ultima narrazione glorificante sul ruolo da protagonista assoluto che il governo sovranista italiano eserciterebbe nel Mediterraneo. 

Narrazione di regime

Globalist ha già scritto dell’incontro a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il generale libico Khalifa Haftar. L’uomo forte della Cirenaica, giudicato responsabile di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, è stato accolto dal governo italiano – la premier Meloni, il ministro degli Esteri Tajani – come fosse uno statista con cui stringere accordi, più o meno segreti, su questioni cruciali come i migranti e lo sfruttamento delle risorse energetiche – petrolio e gas – di cui la Libia è ricca. 

La narrazione di regime si è spinta, imbeccata, fino al punto di leggere lo scontro tra Parigi e Roma sui migranti, come provocato dall’ira di Macron per il protagonismo italiano nel Mediterraneo e sulla Libia in particolare, del quale (protagonismo) l’incontro di Roma tra Meloni e Haftar sarebbe l’ennesima riprova. 

Uno che le cose le sa e non le nasconde

La persona in questione è Nello Scavo. Di seguito una interessante conversazione con l’inviato di Avvenire pubblicata da Vita a firma Anna Spena.

“Il generale giudicato responsabile di crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante la seconda guerra civile libica (2019-2020), guerra che lui stesso aveva alimentato, viene incontrato a Palazzo Chigi. Ma perché? E perchè questi incontri sucitano polemiche? Lo abbiamo chiesto a Nello Scavo, giornalista del quotidiano Avvenire e scrittore. Scavo conosce profondamente le dinamiche interne del Paese ed è autore, tra gli altri, del libro Libyagate-Inchieste, dossier, ombre e silenzi, edito da Vita e Pensiero. Un’inchiesta che porta alla luce il dramma libico, una vera e propria fabbrica della tortura, dove si vive in un solo modo, inumano e degradante, e si muore in molti modi diversi.

Ricordiamo che lo scorso 2 febbraio si è rinnovato per altri tre anni il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia. Memorandum firmato per la prima volta nel 2017 dall’allora primo ministro, Paolo Gentiloni, e dall’allora presidente del consiglio presidenziale della Libia, Fayez Mustafa Serraj. Con il memorandum l’Italia si è impegnata a fornire mezzi, strumentazione, supporto tecnico e formazione alle autorità libiche preposte al controllo delle frontiere marittime e terrestri per aumentare la loro capacità di presidiare, intercettare e respingere i migranti in viaggio, in particolare verso le coste italiane. Tra il 2017 e la fine del 2022, sono state centomila le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse in centri di detenzione controllati dalle varie milizie in lotta nel Paese, subendo sequestri, torture e violenze.

«Non è la prima volta che gli esponenti del governo italiano incontrano Haftar», spiega Scavo. «Giuseppe Conte e Luigi di Maio, allora rispettivamente premier e ministro degli esteri, erano volati a Bengasi a seguito della liberazione dei due pescatori di Mazara del Vallo dopo 108 giorni di prigionia. Arrestati perché accusati dalle autorità libiche di aver violato le acque internazionali. Ma i pescatori siciliani erano stati presi in ostaggio per negoziare su altre partite». La Libia oggi è sinonimo di violenze, stupri, riduzione in schiavitù e omicidi. «Il fatto che Haftar arrivi in Italia», continua Scavo, «dal punto di vista geopolitico significa più cose insieme. Innanzitutto Haftar è più disponibile a cooperare con i partner istituzionali in una ipotetica stabilizzazione della Libia». E anche la premier avrebbe ribadito il sostegno italiano all’azione delle Nazioni Unite in Libia per la rivitalizzazione di un processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023. «Poi non sappiamo quale sia stato il vero oggetto dell’incontro, ma credo che il tema idrocarburi sia stato centrale. Sentiamo parlare di un nuovo piano Mattei (il progetto del governo per diventare hub energetico del Mediterraneo tra Etiopia, Algeria, Libia e Azerbaigian ndr) e di investimenti in Libia per 8 miliardi di euro. Ecco 8 miliardi di euro per un Paese come la Libia sono una cifra strepitosa, e adesso in tanti vogliono sedersi attorno al tavolo dove ci sarà la spartizione della torta. La Libia e la regione della Cirenaica sono piene di risorse di gas. E se l’Italia intende affrancarsi dalla Russia dal punto di vista energetico, Haftar, che governa sulla Cirenaica, per il governo si configura come un interlocutore necessario».

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La Libia adesso è il secondo Paese di partenza, dei migranti che arrivano via mar mediterraneo centrale. Più della metà degli arrivi dalla Libia ora parte dalla Cirenaica. Quindi viene da chiedersi, ma un Memorandum per limitare l’arrivo delle persone e costringerle in condizioni disumane, tenerle prigioniere, non è già abbastanza? «Quella dei migranti è una questione complessa», spiega Scavo. «Come tutte le faccende che riguardano la Libia d’altronde. Le milizie libiche, che hanno incassato soldi e legittimazione politica dai partner europei, hanno volontariamente spostato il flusso migratorio sulla Tunisia. “Ci avete pagato per non far partire le persone dalle nostre coste? Ecco dalle nostre coste i migranti non partono più”, o almeno ne partono di meno. Ma è stato un “trasloco” da un Paese all’altro. La verità è che i migranti sono utilizzati come merce di scambio e le loro vite considerate vuote a perdere. In questa guerra non dichiarata i migranti sono carne da cannone. E di questo non ci stupiamo. Quando siamo davanti a un governo che ha fatto del fenomeno immigrazione un’arma di distrazione di massa, e che prima che fosse eletto ha promesso che avrebbe fermato il flusso migratorio, quando invece adesso gli sbarchi stanno tornando ai massimi storici, cerchi di scendere a patti con chi quei flussi può provare a bloccarli».

In Libyagate, il libro di Scavo, si denuncia una rete internazionale che dalla Libia arriva in Europa attraverso Malta e l’Italia, con la connivenza di faccendieri e politici e sotto il grande ombrello delle organizzazioni mafiose. Nel libro ci sono mesi di lavoro, interviste, consultazione di migliaia di documenti, inchieste sul campo, analisi dei dati. «Abbiamo mandato milioni di euro nel Paese per acquistare attrezzature, scuolabus, e altro. Tutta strumentazione che in Libia nessuno ha mai visto arrivare. È stata però equipaggiata la guardia costiera libica, il caso più clamoroso è quello di Bija…».

Abd al-Rahaman al-Milad, conosciuto come Bija appunto, maggiore della marina libica, è stato accusato di essere un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e decretato il divieto d’espatrio. E proprio Scavo, nell’ottobre 2019, è stato sotto tutela della polizia, un provvedimento scattato dopo le minacce ricevute per aver condotto un’inchiesta sul traffico di esseri umani dalla Libia portandolo allo scoperto. «Ma ancora traffico di armi, stupefacenti, tracce di petrolio di contrabbando libico trovate a Mazara nei depositi del boss Matteo Messina Denaro. Gli essere umani vengono usati come schermo per tutte queste altre questioni».

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Così Scavo.

Inferno libico

Dal Rapporto 2022-2023 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo.

Così sulla Libia: “Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a detenere arbitrariamente migliaia di persone. Decine di manifestanti, avvocati, giornalisti, voci critiche e attivisti sono stati rastrellati e sottoposti a tortura e altro maltrattamento, sparizione forzata e “confessioni” videoregistrate. Le milizie e i gruppi armati hanno fatto ricorso all’uso illegale della forza per reprimere proteste pacifiche in tutto il paese. Decine di persone sono state arrestate, perseguite e/o condannate a lunghe pene detentive o a morte per le loro convinzioni religiose; per la loro reale o percepita identità di genere e/od orientamento sessuale; o per il loro attivismo Lgbti. Le autorità, le milizie e i gruppi armati hanno imposto rigide restrizioni allo spazio civico e all’accesso delle agenzie umanitarie alle comunità colpite e hanno intrapreso campagne diffamatorie contro organizzazioni internazionali e libiche per i diritti. Le milizie e i gruppi armati hanno ucciso e ferito civili e distrutto proprietà di civili durante scontri sporadici e localizzati. L’impunità è rimasta diffusa e le autorità hanno finanziato le milizie e i gruppi armati responsabili di abusi. Donne e ragazze hanno subìto radicate forme di violenza e discriminazione. Le minoranze etniche e le persone sfollate internamente hanno incontrato ostacoli nell’accesso all’istruzione e all’assistenza medica. Le unità della guardia costiera libica, supportata dall’Ue, e le milizie dell’Autorità di supporto alla stabilità hanno intercettato in mare migliaia di rifugiati e migranti e li hanno riportati con la forza in Libia, dove sono stati detenuti. I migranti e rifugiati detenuti sono stati sottoposti a tortura, uccisioni illegali, violenza sessuale e lavoro forzato.

Detenzione arbitraria, privazione illegale della libertà e processi iniqui

Le milizie, i gruppi armati e le forze di sicurezza hanno continuato a detenere arbitrariamente migliaia di persone; alcune erano trattenute da oltre 11 anni senza accusa né processo. Tuttavia, per tutto l’anno, il Gnu e le Laaf hanno annunciato il rilascio di decine di detenuti in relazione al conflitto e altri trattenuti per motivi politici.

Decine di persone sono state arbitrariamente arrestate sulla base della loro reale o percepita affiliazione politica o tribale, o delle critiche contro potenti milizie o i gruppi armati, e sottoposte a sparizione forzata o trattenute in incommunicado per periodi anche di 11 mesi. Alcune sono state tenute in ostaggio a scopo di riscatto.

Civili e altri accusati di violazioni dei diritti umani sono stati processati da tribunali militari in procedimenti giudiziari gravemente iniqui. A giugno, la corte d’appello di Tripoli ha trasferito alla procura militare 82 imputati accusati di coinvolgimento nelle uccisioni avvenute nel carcere di Abu Salim nel 1996, con la motivazione che il reato aveva avuto luogo in un ambiente militare e che gli accusati erano membri delle forze armate. Molti degli imputati erano stati torturati o altrimenti maltrattati in seguito al loro arresto, dopo la caduta del regime di Muammar al-Gaddafi nel 2011, e le loro “confessioni” estorte sotto tortura erano state utilizzate nei procedimenti giudiziari contro di loro.

Le milizie e i gruppi armati hanno rapito e intimidito avvocati, procuratori e giudici.

Gli avvocati che rappresentavano civili processati da tribunali militari della Libia orientale hanno riferito di avere subìto vessazioni e intimidazioni da parte di giudici e procuratori militari. A Bengasi, l’Agenzia per la sicurezza interna (Internal Security Agency – Isa), un gruppo armato, ha arrestato l’avvocato Adnan al-Arafi a maggio e lo ha detenuto per 13 giorni, dopo che aveva querelato un giudice militare.

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I processi penali erano celebrati all’interno della base di Mitiga, a Tripoli, controllata dalla milizia Apparato di deterrenza per combattere il crimine organizzato e il terrorismo (Deterrence Apparatus for Combating Organized Crime and Terrorism – Dacot), in un clima in cui avvocati e giudici temevano di subire rappresaglie per avere sollevato o indagato su affermazioni relative a detenzione arbitraria, tortura e altro maltrattamento ad opera dei miliziani del Dacot.

Tortura e altro maltrattamento

Le milizie e i gruppi armati hanno sistematicamente torturato e altrimenti maltrattato i detenuti nell’impunità. Percosse, scosse elettriche, esecuzioni simulate, fustigazione, annegamento simulato, sospensione in posizioni contorte e violenza sessuale sono stati denunciati dai parenti e dai prigionieri trattenuti dal Dacot, dall’Ssa e dall’Isa a Tripoli, dalla Forza operativa congiunta (Joint Operations Force – Jof) di Misurata, oltre che dai gruppi armati come l’Isa, Tariq Ben Zeyad (Tbz) e la 128ᵃ brigata in Libia orientale.

I detenuti erano trattenuti in condizioni crudeli e disumane, caratterizzate da sovraffollamento, diniego di assistenza medica e mancanza d’igiene, mancanza di esercizio fisico e cibo sufficiente.

In tutto il territorio libico si sono contati decine di decessi in custodia, collegati a resoconti di tortura, diniego di cure mediche e malnutrizione.

Le milizie e i gruppi armati hanno in larga parte ignorato un decreto approvato dal ministero dell’Interno a maggio, che vietava la pubblicazione sui social network delle “confessioni” dei detenuti.

La legislazione libica ha mantenuto l’imposizione di punizioni corporali, come la fustigazione e l’amputazione.

Libertà d’associazione

Le milizie e i gruppi armati hanno rapito decine di operatori della società civile e attivisti, nel quadro di una campagna di diffamazione intrapresa dai ministri del Gnu e dalle milizie affiliate contro le associazioni per i diritti, libiche e internazionali, accusate di diffondere l’ateismo e l’omosessualità e di attaccare i “valori” libici. Gli attori umanitari internazionali e libici hanno riferito un aumento delle già rigide restrizioni al loro lavoro, come il diniego di accedere alle strutture di detenzione e alle comunità che necessitavano di aiuti, arresti, convocazioni a scopo di interrogatorio e altre forme di vessazione.

Attacchi illegali

Benché il cessate il fuoco nazionale in vigore da ottobre 2020 abbia in generale tenuto, le milizie e i gruppi armati hanno violato il diritto internazionale umanitario durante i loro sporadici e localizzati scontri armati, compiendo tra l’altro attacchi indiscriminati e distruzione di infrastrutture civili e proprietà private.

 Impunità

Le autorità e i membri delle milizie e dei gruppi armati responsabili di crimini di diritto internazionale hanno goduto di una pressoché totale impunità. Le autorità hanno continuato a finanziare gruppi armati e milizie responsabili di abusi senza alcun controllo e a integrare i loro membri nelle istituzioni statali. A novembre, il Gnu ha nominato ministro dell’Interno ad interim Emad Trabulsi, comandante della milizia Agenzia per la pubblica sicurezza, nonostante il comprovato coinvolgimento della sua milizia in crimini contro rifugiati e migranti”.

Questa parte del capitolo-Libia è più che sufficiente per rinfrescarsi la memoria su cosa accade nel martoriato Paese nordafricano, i crimini contro l’umanità che si consumano pressoché quotidianamente in terra (lager) e in mare (respingimenti) e i loro responsabili, esecutori e mandanti. Khalifa Haftar è uno di questi. 

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