Guerra ai migranti: piovono le condanne ma i disumani securisti governativi se ne sbattono
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Guerra ai migranti: piovono le condanne ma i disumani securisti governativi se ne sbattono

La Corte europea dei diritti umani (Cedu) del Consiglio d'Europa ha condannato l'Italia per "trattamento inumano" dei migranti, privazione della libertà di questi e respingimenti illegali.

Guerra ai migranti: piovono le condanne ma i disumani securisti governativi se ne sbattono
Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Aprile 2023 - 14.19


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Globalist ne ha fatto un punto d’onore oltre che di caratterizzazione editoriale. Un impegno quotidiano: documentare, anche con il prezioso contributo di giornalisti tra i più impegnati e documentati sul tema, le quotidiane malefatte, in atti e parole, dei securisti al governo per quanto riguarda la guerra da loro scatenata contro le Ong e i migranti.

Malefatte sentenziate

Malefatte oggetto di sentenze e condanne da parte di Tribunali internazionali. 

La Corte europea dei diritti umani (Cedu) del Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia per “trattamento inumano” dei migranti, privazione della libertà di questi e respingimenti illegali. Sulla base del ricorso di quattro tunisini, la Corte ha rilevato che il governo italiano ha “fallito nel respingere le prove che le condizioni nell’hotspot di Lampedusa erano inadeguate; che la presenza (dei quattro, ndr) era considerata una detenzione, ma senza che questa fosse originata da un ordine ufficiale né che fosse un periodo limitato per chiarire la loro posizione o inviarli altrove, come richiesto dalla legge”. Infine, rileva la Corte, la situazione dei migranti “non fu oggetto di una valutazione individuale prima che fossero emessi i provvedimenti di respingimento, che vanno considerati come una espulsione collettiva”. 

La denuncia di Amnesty International

il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa ha dichiarato che le autorità europee hanno fatto ricorso a pratiche qualificate come tortura nei confronti di migranti e rifugiati che tentavano di attraversare le frontiere.

Nel rapporto si parla di un diffuso ricorso alla violenza, alle intimidazioni e alla detenzione per lunghi periodi di tempo e si identifica un “chiaro schema di maltrattamenti fisici” durante le operazioni di respingimento, insieme al costante diniego delle garanzie basilari e del diritto d’accesso all’asilo.

“Questo sconvolgente rapporto si aggiunge al sempre più grande cumulo di prove di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità europee alle loro frontiere, ha dichiarato Eva Geddie, direttrice dell’Ufficio europeo di Amnesty International.

“È la conferma delle testimonianze di migliaia di persone che hanno subito violenza alle frontiere marittime e terresti dell’Europa”, ha aggiunto Geddie.

Il rapporto del Cpt identifica una tendenza generale alle frontiere europee, senza fare cenno a specifici stati. Cita casi in cui agenti di polizia, guardie di frontiera e altri funzionari hanno preso persone a manganellate, hanno esploso colpi di pistola sopra le loro teste, le hanno spinte – spesso ammanettate – nei fiumi, le hanno costrette a camminare a piedi nudi e in mutande e, in alcuni casi, ad attraversare le frontiere completamente nude e le hanno minacciate o aggredite con cani privi di museruola.

Queste prassi brutali e illegali, spesso eseguite nel contesto di ritorni illegali o di respingimenti, sono usate dalle autorità per impedire alle persone in cerca di protezione di raggiungere i loro confini. Le conclusioni del Cpt circa la loro natura sistemica sono corroborate dalle ricerche svolte da Amnesty International lungo le frontiere europee, tra cui quelle recenti in Spagna, Croazia, Polonia, Lituania e Lettonia.

Il rapporto è stato reso noto proprio mentre il parlamento lituano sta esaminando una proposta di legge che intende rendere legali i respingimenti. Se venisse approvata, priverebbe le persone entrate irregolarmente in Lituania di ogni possibilità di chiedere protezione internazionale e causerebbe il ritorno forzato di molte di esse in luoghi dove rischierebbero di subire torture.

Dall’estate del 2021 Lituania, Polonia e Lettonia hanno utilizzato lo stato d’emergenza per legalizzare i ripetuti respingimenti alle frontiere con la Bielorussia, esponendo molte persone alla violenza fisica, ai ritorni sommari e ad agghiaccianti condizioni di detenzione. Da allora almeno 37 persone hanno perso la vita alla frontiera polacca e molte altre sono morte lungo quelle della Lettonia e della Lituania.

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Confermando anche in questo caso le prove raccolte da Amnesty International, il rapporto del Cpt afferma che generalmente le autorità non indagano sulle denunce di torture, maltrattamenti e altre violenze avvenute nel contesto delle operazioni alle frontiere.

“Il drammatico elenco di violenze e intimidazioni contenuto nel rapporto è purtroppo abbondantemente familiare. La mancanza di provvedimenti per le gravi violazioni dei diritti umani alimenta un ciclo di violenza incontrastata e rivela un profondo disprezzo degli stati europei per la vita delle persone in cerca di protezione”, ha commentato Geddie.

“C’è urgente bisogno che vengano avviate indagini immediate e indipendenti, che i responsabili siano chiamati a risponderne e che siano istituiti forti meccanismi indipendenti di monitoraggio alle frontiere”, ha concluso Geddie.

 La “rotta tunisina”

In base ai dati del Viminale relativi al primo trimestre dell’anno, rilanciati dall’Agenzia Nova, la Tunisia si conferma il primo Paese di partenza delle imbarcazioni cariche di migranti che arrivano in Italia via mare. Risulta infatti che almeno 15.537 persone sono arrivate sulle coste italiane dalla Tunisia da inizio anno fino al 28 marzo, oltre 180 sbarchi al giorno, un boom del 920 per cento rispetto ai 1.525 arrivi dello stesso periodo dello scorso anno: siamo già a circa metà dei 32.101 sbarchi complessivi dalla rotta tunisina dell’intero 2022.

Inoltre, secondo le autorità di Tunisi, la Guardia costiera del Paese nordafricano ha intercettato almeno 10.200 migranti diretti verso l’Italia dall’inizio del 2023 fino al 20 marzo scorso: si tratta di circa un terzo degli oltre 30mila salvataggi di migranti in mare realizzati dai guardacoste tunisini nel corso del 2022.

La Libia è il secondo Paese di partenza, dopo la Tunisia

Accelera anche la rotta libica, al secondo posto con 10.628 arrivi al 28 marzo, comunque in aumento del 152 per cento rispetto ai 4.207 arrivi dello stesso periodo dell’anno scorso. Più della metà dei nuovi arrivi è partito dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia guidata dal generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) sostenuto dai mercenari del gruppo russo Wagner. Un trend recentemente confermato ad “Agenzia Nova” da Laurence Hart, direttore dell’ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e capo missione in Italia e Malta.

“Ci sono varie motivazioni per questo aumento. Una di particolare peso è il fermo pesca che ha imposto il governo libico in un certo periodo dell’anno scorso. Il 99 per cento dei pescatori della Libia si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro e senza risorse. In più, gli armatori libici non hanno più avuto la possibilità di usare le loro navi, che sono state poi acquistate da trafficanti o da contrabbandieri”, ha detto Hart.

I numeri del ministero dell’Interno italiano visionati dall’agenzia evidenziano poi un calo della rotta turca, la stessa della tragedia di Cutro: 693 arrivi al 28 marzo rispetto ai 916 dello stesso periodo del 2022, un dato ancora in linea con i 16.115 sbarchi complessivi dei migranti partiti dalla Turchia lo scorso anno.

Marginale invece la rotta dell’Algeria, che ha portato in Italia almeno 199 migranti irregolari, in aumento rispetto alle 55 persone arrivate in Sardegna nello stesso periodo del 2022, a fronte di 1.389 arrivi del 2022. “Ci sono varie motivazioni per questo aumento. Una di particolare peso è il fermo pesca che ha imposto il governo libico in un certo periodo dell’anno scorso. Questo ha generato un notevole numero di partenze. Il 99 per cento dei pescatori della Libia sono egiziani e si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro e senza risorse. In più, gli armatori libici non hanno più avuto la possibilità di usare le loro navi, che sono state poi acquistate da trafficanti o da contrabbandieri. Questa è una delle spiegazioni, poi ci sono anche altri fattori”, ha detto Hart.

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Costa d’Avorio primo Paese di origine dei migranti

Secondo i dati del cruscotto statistico giornaliero pubblicato nel sito del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, i migranti subsahariani hanno ampiamente soppiantato i nordafricani nei primi mesi del 2023. Al primo posto degli sbarchi in Italia al 29 marzo 2023 c’è infatti la Costa d’Avorio con 3.815 arrivi, mentre nello stesso periodo del 2022 c’era l’Egitto con circa 1.600 sbarchi dalla rotta libica, in particolare quella “orientale” che dalle coste di Cirenaica punta alla Sicilia.

Segue poi un altro Paese dell’Africa occidentale, la Guinea, con 3.296 arrivi al 29 marzo 2023, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso c’era il Bangladesh con circa 1.250 sbarchi. I cittadini del Pakistan risultano oggi al terzo posto degli sbarchi irregolari in Italia, con 2.066 arrivi via mare, mentre lo scorso anno erano i migranti provenienti dalla Tunisia (918) a occupare il gradino più basso del podio. La quota di tunisini arrivati finora in Italia è comunque raddoppiata nell’arco di un anno, con 1.859 sbarchi registrati al 29 marzo. Ma è opportuno ricordare che dalla Tunisia partono soprattutto subsahariani, solo uno su dieci è di nazionalità tunisina.

La presidente insiste

Noncurante di denunce, morti affogati, disperati ricacciati nei campi di concentramento libici, Giorgia Meloni continua a battere tasti ormai consunti, riproponendo narrazioni tranquillizzanti e propositi bellicosi.

“Bisogna cambiare radicalmente la forma mentis che fino all’altro ieri dominava la politica italiana a Bruxelles: l’idea che non ci sia niente da fare, che l’Italia sia vittima predestinata della migrazione irregolare, senza controllo, a causa della sua posizione al centro del Mediterraneo. Quell’era è finita”. Così proclama la  presidente del Consiglio in un’intervista al Messaggero Veneto parlando di immigrazione. “In poche settimane abbiamo impresso una nuova direzione alla politica dell’Europa, la Commissione ha accolto le nostre posizioni e – prosegue – ora condivide con noi un intervento che punta a vigilare sulle rotte del Mediterraneo centrale e orientale, combattere i trafficanti, aumentare la presenza dell’Europa in Africa per fare formazione, prevenzione, selezione dei talenti che vogliono venire in Italia. So che la rotta orientale dell’immigrazione è il tema chiave per il Friuli Venezia Giulia, ma l’impostazione non cambia: controllo, azione sul territorio, investimenti, flussi regolati”, sottolinea il premier

Parlando poi del decreto flussi, Meloni spiega come il provvedimento “risponde a questa esigenza manifestata dal mondo produttivo e si accompagna alla nostra azione di contrasto alla criminalità, all’inasprimento delle pene contro i trafficanti di esseri umani. Non devono essere gli scafisti a scegliere chi deve entrare (e poi restare) in Italia, perché questo è un danno prima di tutto per i tanti migranti che ne avrebbero potuto beneficiare”, evidenzia il presidente del Consiglio.

Niente di nuovo. Si va avanti su una linea dimostratasi fallimentare oltre che disumana.

Di questa linea .sciagurata a parte il sostegno garantito e ribadito dal governo italiano al securista tunisino: il presidente Kais Saied. Di lui Globalist ha scritto a più riprese. Stavolta ci ritorniamo con Amnesty International.

Il “Salvini” tunisini

Amnesty International ha sollecitato le autorità tunisine a mettere subito fine all’ondata di attacchi contro i migranti neri africani iniziata nei primi giorni di febbraio e aumentata dopo le parole razziste e xenofobe pronunciate dal presidente Kais Saied il 21 febbraio.

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Quel giorno, durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale, il presidente Saied aveva fatto commenti d’odio e discriminatori, favorendo così la violenza contro i neri africani: folle di facinorosi erano scese in strada aggredendo migranti, studenti e richiedenti asilo, decine dei quali erano poi stati arrestati dalla polizia e successivamente espulsi.

Secondo il presidente Saied, orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana” erano arrivati in Tunisia, “con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati”: una situazione “innaturale”, parte di un disegno criminale per “cambiare la composizione demografica” e fare della Tunisia “un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico”.

Il presidente Saied deve ritrattare le sue parole e ordinare indagini per dare il chiaro segnale che la violenza razzista contro i neri africani non sarà tollerata. Deve smetterla di cercare capri espiatori per i problemi economici e politici del paese. La comunità dei migranti neri africani ha il terrore di subire arresti arbitrari o espulsioni sommarie”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Fino ad oggi le autorità tunisine hanno minimizzato se non negato completamente quanto è accaduto. Ora devono indagare sulle violenze della polizia contro i migranti neri africani, porre subito fine alle espulsioni e impedire ulteriori attacchi razzisti da parte di gruppi violenti o agenti dello stato”, ha aggiunto Morayef.

Dopo due settimane di negazione dei fatti e le proteste internazionali suscitate dalle parole del presidente Saied, il 5 marzo le autorità tunisine hanno annunciato nuove misure” per favorire sia la residenza legale dei migranti che le procedure di rimpatrio “per coloro che vorranno lasciare volontariamente il paese”. Tuttavia, le violenze sono proseguite.

Amnesty International ha intervistato 20 persone attualmente a Tunisi: cinque richiedenti asilo e 15 migranti irregolari provenienti da vari stati dell’Africa subsahariana. Tutti hanno denunciato di essere stati aggrediti da folle violente e che in almeno tre mesi la polizia, pur presente, è rimasta a guardare.

Avvocati senza frontiere, un’organizzazione non governativa che fornisce aiuto legale ai richiedenti asilo e ai migranti, ha dichiarato che dall’inizio di febbraio almeno 840 migranti, studenti e richiedenti asilo neri africani sono stati arrestati in varie città della Tunisia.

Tutte le testimonianze sono state concordi nell’affermare che, dopo il discorso del presidente Saied, uomini armati di bastoni e coltelli hanno compiuto aggressioni in strada e assaltato abitazioni private.  In otto casi, migranti e richiedenti asilo neri africani sono stati cacciati dalle loro abitazioni e i loro beni personali sono stati rubati o distrutti. Altri sono stati sfrattati dai proprietari dopo che erano circolate minacce che chiunque ospitasse o impiegasse “migranti illegali” sarebbe stato punito.

Amnesty International ha esaminato video e immagini dall’interno del centro di detenzione di Ouardia, a Tunisi, che mostrano agenti picchiare migranti. In un video, gli agenti trascinano un nero africano per una rampa di scale.

Negli ultimi giorni centinaia di neri africani sono stati minacciati affinché tornassero negli stati di origine. Il 1° marzo è stato rimpatriato un gruppo di guineani, il 4 marzo sono stati espulsi almeno 300 maliani e ivoriani in quelle che sono state definite “evacuazioni volontarie”.

Negli ultimi mesi i mezzi d’informazioni tradizionali e le piattaforme social hanno alimentato campagne contro i neri africani. Esponenti del Partito nazionalista tunisino, che denuncia “la grande sostituzionedemografica, sono regolarmente intervistati e promuovono le loro tesi online senza alcuna reazione da parte delle autorità”.

E l’Italia li sostiene.

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