Migranti: il governo 'securista' Meloni parla di "pull factor" ma chiude gli occhi sui "push factor"
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Migranti: il governo 'securista' Meloni parla di "pull factor" ma chiude gli occhi sui "push factor"

Il governo securista insiste sul “pull factor” delle Ong. Ma chiude gli occhi sulla questione cruciale: il “push factor”.

Migranti: il governo 'securista' Meloni parla di "pull factor" ma chiude gli occhi sui "push factor"
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1 Marzo 2023 - 14.02


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Il governo securista insiste sul “pull factor” delle Ong. Ma chiude gli occhi sulla questione cruciale: il “push factor”.

Di grande interesse è il report di Dario Prestigiacomo per EuropaToday: “La presenza in mare di navi delle Ong rappresenta “un vantaggio logistico per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, permettendo loro di adeguare il modus operandi in funzione della possibilità di ridurre la qualità delle imbarcazioni utilizzate, aumentando correlativamente i profitti illeciti, ma esponendo a più concreto rischio di naufragio le persone imbarcate”. È con queste parole che per la prima volta l’intelligence italiana attribuisce alle organizzazioni umanitarie impegnate nella ricerca e nel soccorso dei barconi di migranti il cosiddetto “pull factor”, un fattore di attrazione che, secondo tale teoria, provocherebbe un aumento delle partenze e delle tragedie. “È un fatto oggettivo: la presenza delle navi ong aumenta la probabilità di incidenti, rovesciamenti e morti in mare”, ha aggiunto il sottosegretario Alfredo Mantovano per essere più chiari, nelle stesse ore in cui il governo e l’agenzia Ue Frontex si rimbalzavano le responsabilità per presunti mancati soccorsi al barcone affondato al largo di Cutro, in Calabria. Ma cosa dice davvero il rapporto degli 007 italiani? “C’è un aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi Ong, principalmente in area Sar libica”, si legge nella Relazione 2022 dell’intelligence. Queste attività “vengono spesso pubblicizzate sui social network dai facilitatori dell’immigrazione irregolare quale garanzia di maggiore sicurezza del viaggio verso l’Europa”, aggiungono. Che questo corrisponda a realtà, è difficile da negare: da sempre i trafficanti cercano tutti gli appigli possibili per sponsorizzare come sicuri i propri viaggi della speranza. Prima dell’arrivo delle Ong, per esempio, era la sicurezza di trovare il pronto soccorso delle navi della Guardia costiera italiana a essere citata dai trafficanti quale assicurazione per la buona riuscita per la traversata. Ma un conto sono gli stratagemmi dei criminali per imbonire i clienti, un altro l’effettivo peso di questi stratagemmi sul numero di uomini, donne e bambini che di anno in anno tenta la via più rischiosa per raggiungere l’Europa.

Guardando ai dati della relazione degli 007, del resto, saltano agli occhi una serie di dati che sembrano contraddire le conclusioni sulle Ong e il loro presunto “pull factor”.  Innanzitutto, le attività di ricerca e soccorso: nel 2022, secondo quanto riporta il rapporto, ci sono stati poco più di 57mila persone soccorse in mare mentre cercavano di raggiungere illegalmente le coste italiane. Di queste, “solo” 11.892 sono state salvate dalle navi delle organizzazioni umanitarie. Il resto, 45.136, sono state soccorse dalle cosiddette missioni Sar istituzionali, ossia dalle navi di Marina militare e Guardia costiera. A leggere queste cifre, viene da pensare che se il “pull factor” esiste, il primo a fomentarlo sia proprio lo Stato. 

Detto in altri termini, se il legame navi Ong-partenze si basa sul fatto che la presenza di queste organizzazioni favorisce la propaganda (e i conseguenti affari) dei trafficanti, allora lo Stato dovrebbe sospendere le sue attività di soccorso, andando contro al diritto internazionale, tra l’altro. In effetti, a leggere meglio il rapporto dell’intelligence italiana, quando si parla di fattori di spinta non si fa differenza tra navi Ong e navi istituzionali. Il “pull factor”, dunque, è di entrambe le strutture di soccorso. Anzi, il rapporto indica chiaramente che “nel corso del 2022 l’incremento più significativo dell’attività di soccorso in mare” ha “riguardato le operazioni del Dispositivo istituzionale (ad esempio Frontex, Guardia Costiera, Guardia di Finanza)”.   

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Lo studio 

Chiarito questo, volendo fare le pulci al metodo di analisi degli 007, non si può non notare come la loro relazione non citi altre evidenze a supporto della tesi del pull factor. Utile sarebbe stato, per esempio, consultare la letteratura scientifica (molto scarna a dirla tutta) sui fenomeni migratori, che da tempo hanno smentito tale tipo di fattore. Uno degli studi più documentati è per esempio quello pubblicato da due ricercatori italiani, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, che hanno analizzato i dati delle partenze sulla rotta del Mediterraneo centrale tra il 2014 e il 2018. Il 2015, per esempio, è stato senza dubbio l’anno in cui l’attivismo delle Ong umanitarie ha cominciato a guadagnarsi gli onori delle cronache: complice la grave crisi siriana, i salvataggi delle Ong passarono dallo 0,8 per cento del 2014 al 13 per cento. Questo comportò un aumento delle partenze? Assolutamente no. Anzi, ci fu un calo. Altro dato: prima del boom di navi Ong “quasi 8 migranti su 10 venivano già caricati su gommoni, non barche grandi”. Nel 2017, poi, quando le navi delle Ong divennero le principali responsabili dei salvataggi nel Mediterraneo, il numero di migranti partiti dalla Libia diminuì drasticamente. Come mai?

Secondo Villa e Cusumano, un ruolo lo svolse l’accordo siglato tra il governo italiano e quello libico per fermare le partenze. L’accordo, però, con il tempo non ha retto, e i trafficanti hanno ricominciato a fare lauti affari (pare anche perché alcuni di loro erano presenti nei vertici della guardia costiera di Tripoli). Quando nel 2018, l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini iniziò la sua stretta sulle Ong (bloccando anche l’operazione Ue Sophia), i morti rispetto all’anno precedente sono aumentati del 19%. E questo nonostante il calo dichiarato delle partenze. Dato che smentirebbe anche l’equazione più partenze uguale più morti.

Villa ha proseguito le ricerche anche negli anni successivi: tra gennaio 2019 e metà febbraio 2020, scrive su Ispi, “abbiamo scoperto che le attività di soccorso delle Ong non hanno aumentato le partenze dei migranti dalla Libia, che sono rimaste quasi esattamente identiche a quando nessuna nave era presente nell’area. Le partenze sembravano essere influenzate dalle condizioni meteorologiche – con temperature in aumento che lentamente aumentavano le partenze e forti venti che le diminuivano drasticamente – e dalle condizioni politiche in Libia, non dall’arrivo delle navi di soccorso”. E qui arriviamo a un altro elemento sottolineato da diversi esperti di migrazione: i “push factor”, i fattori di spinta. 

I push factor

“Le persone continuano a partire dalla Libia perché la situazione è così instabile, le violenze sono così forti che decidono di farlo a prescindere dalla presenza o meno di salvataggi in mare”, ha detto qualche giorno fa l’Oim, l’organizzazione internazionale sulle migrazioni dell’Onu, che è operativa proprio in Libia. Detto altrimenti, se le persone decidono di mettere a rischio la loro vita, le ragioni andrebbero cercate più là inizia il loro viaggio, invece che nell’ultimo miglio del loro percorso. È strano, in tal senso, che nella relazione dell’intelligence non si insista più di tanto sui fattori di spinta: “Le attuali aree di crisi umanitaria e di instabilità socio-politica continuano a spingere un notevole numero di persone a emigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita”, si legge in un breve passaggio. Eppure, basta scorrere il documento per vedere come nel 2022 siano aumentati notevolmente i fattori di crisi nelle aree di provenienza dei migranti: c’è l’insicurezza alimentare alimentata anche dal conflitto in Ucraina, c’è l’estensione dei movimenti terroristi nei Paesi africani a sud di Marocco, Libia e Tunisia, ossia le porte dei trafficanti del Maghreb verso Spagna e Italia. Tutte cause che difficilmente si possono risolvere dall’oggi al domani. Le partenze continueranno, ci ha insegnato la storia recente. E forse  – conclude Prestigiacomo – non sarà una nave umanitaria in meno in mare a fermarle o a ridurle.   

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Una testimonianza diretta

Il documentarista Michelangelo Severgnini racconta a Byoblu:  “Mi occupo di Libia e quindi dei migranti schiavi lì presenti. I ragazzi che sono in Tripolitania sanno che, quando si imbarcano sui gommoni sgonfi, questi non sono in grado da soli di raggiungere le coste italiane. Hanno quindi bisogno di sapere che ci sarà qualcuno, a un certo punto, del mare che raccoglierà loro per portarli in Italia. Questo spinge sia i ragazzi africani a tenersi informati, rispetto agli spostamenti delle navi delle Ong. I trafficanti vengono così incentivati ad accordarsi con tali organizzazioni non governative in modo da rendere la traversata quanto più sicura. Il fenomeno dell’immigrazione non è prodotto solo dalle Ong, ma anche dei gruppi armati della Tripolitania. 

Come funziona la macchina che produce l’immigrazione dall’Africa? Ci sono le mafie sub sahariane che hanno tutto l’interesse a raggirare i loro connazionali per mandarli verso la Tripolitania col sogno dell’Europa. Vengono ridotti così, in questa regione, in schiavitù, alla tortura e sono usati a scopo di estorsione. I riscatti vengono raccolti dalle stesse mafie, presso le famiglie presenti nelle città di origine dei ragazzi. Significa che sono loro stessi interessati a fare partire quanti più ragazzi perché così potranno avere dei guadagni diretti. Questo consente la presenza in Tripolitania di 700mila migranti schiavi, a Tripoli e dintorni, che sono le coste della Libia da cui partono i gommoni. Possiamo anche evitare che le Ong siano in mare e che i gommoni partano, ma questi sono bloccati in Tripolitania da anni senza avere la possibilità di tornare a casa, né di andare avanti. Bisogna pensare quindi ad un’azione di più ampio respiro che passi necessariamente attraverso lo smantellamento delle milizie e dei gruppi armati della Tripolitania e quindi conseguentemente anche del governo di Tripoli”.

Il ministro ossessionato

Mentre il ministro dell’Interno Piantedosi continua imperterrito a tirare in ballo il ruolo dell’Ue, dimenticando le responsabilità italiane – “Sulla questione dei migranti l’Europa, probabilmente, deve fare qualcosa di più – la voce delle Ong è chiara. L’Unicef ricorda Aylan, il bambino profugo morto nell’ottobre del 2015 su una spiaggia turca le cui immagini fecero il giro del mondo. “Le immagini di questi corpi e di queste donne ci rimandano a Aylan e a tutto quello che è successo negli ultimi dieci anni – le parole di Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia – Non è più il tempo dell’indifferenza. La politica deve fare un salto di qualità e non salire su queste vicende, chi prima e chi dopo, per contrastarsi. Ci vuole buon senso e dialogo e speriamo che gli impegni che stiamo ascoltando in questi momenti e dettati dal dolore proseguano perché altrimenti domani mattina il rischio è che tutto questo torni nell’indifferenza. La domanda che mi pongo è: di nuovo abbiamo dovuto vedere i corpi dei bambini morti e delle mamme morte per poterci indignare? Non c’era bastato Aylan? Basta, mai più, adesso bisogna trovare soluzioni, lo si può fare, la politica lo può fare”. 

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Per SeaWatch, organizzazione tedesca no-profit che opera nel Mediterraneo centrale, è “intollerabile che l’unica via d’accesso all’Europa sia il mare. L’assenza di missione di ricerca e soccorso europea è un crimine che si ripete ogni giorno”.

“Ancora una volta, l’ennesima, ci troviamo a piangere la morte ingiusta di chi cerca un futuro migliore in fuga da guerre e povertà. Mentre la politica, in Italia e in Europa, pensa di risolvere con muri e restrizioni per le Ong”, scrive su Twitter Filippo Ungaro, direttore della Comunicazione di Save the Children Italia.

Un’analisi ineccepibile

Annota il Post: “Per il governo, specialmente uno di destra come quello Meloni, le Ong sono un obiettivo piuttosto facile. I loro dirigenti e capi missione spesso sono stranieri, le navi battono bandiera straniera – perlopiù per ragioni fiscali – e dal punto di vista mediatico sono finite diverse volte al centro di critiche perché accusate (senza dati a sostegno) di favorire le partenze dei migranti. Da anni le Ong lamentano di essere trattate dalla destra europea come capri espiatori di una questione molto più grande, cioè la gestione dei flussi migratori da parte dell’Italia e dei paesi dell’Unione Europea. Anche in Italia tutti i partiti di destra, il Movimento 5 Stelle ma anche a tratti il Partito Democratico hanno accusato le Ong di alimentare gli arrivi dei migranti irregolari in Italia.

«Eravamo i buoni, i bravi e i belli e oggi siamo quelli potenzialmente vicini agli scafisti, forse trafficanti, e non si sa bene come spendiamo i nostri soldi», diceva nel 2019 il presidente di Save The Children Italia, Claudio Tesauro. Save The Children è una delle Ong che negli ultimi anni ha deciso di interrompere i soccorsi in mare. Nel 2016 a bordo di una sua nave, la Vos Hestia, lavorava un agente alla sicurezza, Pietro Gallo, che fornì informazioni e dossier sulle Ong ai servizi segreti italiani e allo staff del segretario della Lega, Matteo Salvini. I documenti di Gallo sono poi confluiti nell’unico processo ancora in corso contro alcune Ong che soccorrono persone in mare, avviato dalla Procura di Trapani e noto soprattutto per le tesi molto fragili portate avanti dall’accusa.

Negli ultimi anni inoltre né il governo italiano né l’Unione Europea hanno poi attuato operazioni con l’esplicito obiettivo di soccorrere migranti in difficoltà: come per esempio era stata Mare Nostrum, un’operazione militare e umanitaria decisa dal governo guidato da Enrico Letta nell’ottobre del 2013 dopo un grave naufragio vicino a Lampedusa, in cui morirono più di 300 migranti. Mare Nostrum si è chiusa poco più di un anno dopo, nel novembre del 2014.

Una presenza diffusa nel Mediterraneo di navi governative o delle Ong con l’esplicito compito di soccorrere migranti in difficoltà avrebbe forse potuto cambiare le cose, nella vicenda del peschereccio naufragato domenica in Calabria: ma è difficile fare ipotesi riguardo a scenari così remoti”.

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