Siria, il terremoto non ferma Erdogan: bombardati i curdi nel Rojava
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Siria, il terremoto non ferma Erdogan: bombardati i curdi nel Rojava

La pulizia etnica lanciata da Erdogan nel Rojava prosegue, nonostante i morti, a migliaia, e la devastazione che ha marchiato quell’area della Siria.

Siria, il terremoto non ferma Erdogan: bombardati i curdi nel Rojava
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Febbraio 2023 - 17.33


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Neanche l’apocalisse sismica frena i propositi sanguinari del sultano di Ankara. La pulizia etnica nel Rojava prosegue, nonostante i morti, a migliaia, e la devastazione che ha marchiato quell’area della Siria.

Erdogan non si ferma.

Ne scrivono Maurizio Bongioanni e Simone Santi perr LifeGate: “La Siria ha un disperato bisogno di aiuti umanitari in seguito al devastante terremoto del 6febbraio, che ha colpito il nord del paese e il sud della Turchia, eppure non solo i soccorsi vengono ostacolati dall’esercito turco disposto sulla frontiera ma quest’ultimo ha sferrato una serie di attacchi contro i curdi.

A lanciare l’allarme sono le stesse popolazioni minacciate, il cui grido è stato raccolto e diffuso da pochi media occidentali. Già due giorni dopo il sisma, la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan ha attaccato l’area di Tal Rifaat già colpita dal terremoto. “Gli sfollati curdi della regione di Afrin hanno trovato rifugio nell’area a nord di Aleppo”, ha riferito Kamal Sido, esperto di Medio Oriente dell’Associazione per i popoli minacciati (Apm). “È scandaloso che uno stato della Nato stia esacerbando una catastrofe umanitaria. Non c’è una parola di critica da parte degli altri paesi dell’Alleanza”.

I curdi chiedono un cessate il fuoco per poter gestire gli aiuti ai terremotati.

L’approvvigionamento delle aree curde non è impedito solo da Assad: la Turchia, in particolare, ha chiuso i valichi di frontiera verso le aree curde della Siria settentrionale alle forniture umanitarie. E a questi si aggiungono i bombardamenti, confermati da Enrico La Forgia, caporedattore de Lo Spiegone, che direttamente interpellato da LifeGate ha detto: “Per quanto sporadici al momento gli attacchi stanno proseguendo. Le forze democratiche siriane e il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan, nda) in Turchia hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale per permettere una migliore gestione della crisi nel nord-ovest della Siria e della Turchia del sud. Ancora non sappiamo che cosa comporterà questa richiesta: al momento potrebbe portare a una distensione da parte della Turchia o a un nulla di fatto”.

Un drone turco ha colpito un target curdo, un’autovettura, facendola esplodere. “Una delle mie fonti sul posto mi riferisce di almeno un morto negli attacchi”. La notizia dell’attacco è stata confermata anche dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. 

La Turchia accusata di bloccare gli aiuti in Siria

Il Pkk ha emesso un comunicato   in cui accusa le politiche del governo turco dei devastanti effetti del terremoto di lunedì scorso. “Il governo turco sta usando gli effetti del terremoto come scusa per lanciare nuove guerre”, si legge. Il partito di Erdogan, l’Akp e il partito nazionalista Mhp sono inoltre accusati di aver usato i fondi destinati al terremoto per arricchirsi e sovvenzionare la guerra contro i curdi.

Che la Turchia stia impendendo l’afflusso di aiuti umanitari verso i curdi coinvolti dal terremoto è un fatto confermato da diverse fonti…”.

La testimonianza.

“Funzionari del governo della Siria ci hanno bloccato a un check-point a 50 chilometri di Aleppo chiedendoci di consegnare tutto il nostro carico di aiuti alla Mezzaluna rossa araba siriana. Per noi questo è inaccettabile, anche perché riteniamo molto probabile che questa organizzazione non consegnerà il materiale alle aree a maggioranza curda”. La denuncia arriva all’agenzia Dire da Fee Bauman, coordinatrice dei programmi della Mezzaluna rossa curda, a una settimana dal terremoto che ha devastato intere aree della Siria settentrionale e della Turchia meridionale, provocando a oggi oltre 33mila vittime.

La dirigente parla da un posto di blocco situato fra Manbij e Aleppo, seconda città della Siria e capoluogo dell’omonimo governatorato nel nord del Paese. Il check-point segna il confine fra un’area sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord e del Nord-est (Aanes), una coalizione di vari gruppi e minoranze, fra i quali i curdi, e una gestita dal governo del presidente Bashar Al-Assad. Il territorio della Siria è diviso in diverse aree di influenza che sono espressione delle varie fazioni che stanno animando un conflitto civile scoppiato nel 2011.

Stando alla ricostruzione di Bauman, uomini fedeli all’esecutivo di Damasco hanno fermato il convoglio di aiuti, diretto anche alle popolazioni curde e alle decine di migliaia di persone sfollate che risiedono nella zona di Shabha, pure provenienti in maggior parte dalla città a maggioranza curda di Afrin.

“Siamo bloccati qui da almeno tre giorni. Il convoglio è formato da due grandi camion e uno più piccolo; con noi abbiamo tende, coperte, materassi, cibo per bambini oltre che due ambulanze e strumentazione medica”, spiega la coordinatrice. “All’inizio gli uomini del governo ci avevano chiesto di consegnare metà del carico ma oggi hanno cambiato idea, invitandoci a dare il nostro materiale alla Mezzaluna rossa araba siriana. Siamo abituati a pressioni del governo quando si tratta di andare in aree a maggioranza curda, come Afrin e anche come Sheikh Maqsood, sobborgo curdo di Aleppo. Stavolta però- evidenzia la responsabile- quello che ci chiedono è veramente troppo: per noi è inaccettabile, anche perché non ci fidiamo di questa organizzazione e non crediamo che porterà gli aiuti alle persone che ne hanno bisogno con estrema urgenza. Già in passato abbiamo avuto modo di documentare comportamenti del genere”. 

Baumann aggiunge che “media locali rilanciano la notizia secondo cui la Turchia, che di fatto controlla le aree vicino Afrin, sta facendo pressioni su Damasco affinché questa non permetta agli aiuti di arrivare ad alcune popolazioni, oltre a bloccare lei stessa gli aiuti nelle zone poste sotto il suo controllo”.

La coordinatrice chiarisce di “non poter confermare queste voci”, ma poi evidenzia quello che a suo dire è “il punto della questione: il terremoto della scorsa settimana ha ucciso e lasciato in grande difficoltà decine e decine di migliaia di persone, eppure ogni fazione lo sta strumentalizzando a livello politico”. Una manipolazione politica della crisi che è anche “degenerata in attacchi espliciti, come il raid con drone delle forze turche che ieri avrebbe fatto una vittima vicino Kobane”, nei territori dell’Aanes.

Da qui, l’appello dell’esponente della Mezzaluna rossa curda: “La priorità assoluta è far arrivare gli aiuti, basta con queste divisioni politiche che lasciano la gente in balia della sofferenza”. Al messaggio dell’organizzazione curda fa eco la ong italiana Un ponte per, che con la Mezzaluna collabora da anni e con cui è in contatto costante: “Chiediamo un immediato intervento delle autorità diplomatiche italiane ed europee con il governo di Damasco per consentire al convoglio di accedere ad Aleppo ed evitare che casi analoghi si ripetano in questi giorni con altre ong”, si legge in una nota pubblicata su Facebook.

Il mancato arrivo degli aiuti nei territori abitati da curdi e da persone sfollate nel governatorato di Aleppo viene confermato alla Dire anche da Jan Hasan, giornalista e attivista residente a Shabha.

“Un convoglio di aiuti e ambulanze aspetta fermo da giorni nei pressi di Manbij, da quello che sappiamo agli operatori è stato anche chiesto di consegnare una delle due ambulanze che portano con loro”, afferma Hasan. “Abbiamo ricevuto voci anche di arresti di personale medico che stava cercando di raggiungere Shabha”. Il terremoto ha reso ancora più complessa una situazione molto dura. “Circa 5mila famiglie hanno lasciato Aleppo per venire nei campi per sfollati dove già vivevano migliaia di persone perché hanno paura di vivere in case già danneggiate e indebolite da anni di guerra”, scandisce alla Dire Hasan”.

L’appello delle Ong.

A rilanciarlo è Save the Children

“Le Ong che lavorano in Siria, comprese quelle internazionali, hanno chiesto un urgente aumento del sostegno e un’azione immediata per garantire assistenza umanitaria alle popolazioni colpite dal terremoto in Siria. La risposta umanitaria deve corrispondere alla portata del disastro.

A una settimana dal terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria, poiché non sono state inviate attrezzature e capacità aggiuntive nella Siria settentrionale, le squadre di soccorso locali hanno potuto perlustrare solo il 5% delle aree colpite. I potenziali sopravvissuti intrappolati sotto le macerie del restante 95% non sono stati soccorsi in tempo. La comunità internazionale ha deluso il popolo siriano non reagendo abbastanza velocemente e non sostenendo le squadre di ricerca e soccorso.

Consapevoli che questa tragedia ha avuto un impatto sull’intera risposta umanitaria, esprimiamo la nostra profonda ammirazione e sostegno alle organizzazioni umanitarie, ai volontari e a tutti gli operatori umanitari sul campo che si stanno assumendo la risposta pur essendo essi stessi colpiti.

L’Onu stima che oltre 6.500 persone siano state uccise e 10.000 ferite in tutte le aree della Siria. Milioni di persone hanno perso la casa e stanno vivendo un nuovo sfollamento dopo 12 anni di guerra e traumi. È probabile che questi numeri aumentino nelle prossime settimane. La mancanza di supporto attraverso risorse e attrezzature alle squadre di soccorso nelle aree colpite ha portato alla perdita di molte vite.

Le Ong sono estremamente preoccupate per il fatto che l’attuale livello di risposta nelle aree colpite della Siria non sia affatto vicino a quello necessario di fronte alla devastazione. A sette giorni dall’inizio della crisi, le ONG ribadiscono che è necessario un significativo aumento degli sforzi per garantire l’accesso senza ostacoli a tutte le aree colpite della Siria con ogni mezzo possibile per salvare vite umane e ridurre le sofferenze…

Vogliamo che la comunità internazionale capisca che la sofferenza dei siriani in tutta la regione e le loro esigenze, in costante peggioramento negli ultimi 12 anni di questa crisi prolungata, non sono scomparse. Il terremoto ha portato nuove sofferenze, aumentato il numero delle persone bisognose, esacerbato i bisogni esistenti e ostacolato la risposta in corso. Vediamo nuovi bambini non accompagnati, rifugi collettivi e campi esistenti ora pieni di persone senza cibo, senza acqua, senza coperte, senza possibilità di riscaldamento. Ciò di cui c’è bisogno è più assistenza, più accesso e più finanziamenti. Reindirizzare risorse e finanziamenti esistenti da altre parti della Siria NON è la soluzione. Ciò metterà solo le comunità l’una contro l’altra, creerà più concorrenza per finanziamenti inadeguati, aumenterà le lacune nella risposta generale e annullerà i progressi vitali compiuti. Abbiamo bisogno di nuovi finanziamenti flessibili e immediati per raggiungere la comunità umanitaria il più rapidamente possibile.

Le Ong chiedono alla comunità internazionale di stare al di sopra della politica, mettere al centro i principi umanitari e portare avanti un aumento urgente e immediato del sostegno umanitario per alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite e sostenere coloro che le aiutano”.

Il momento della responsabilità.

Annota su La Stampa Francesca Mannocchi: “Il giorno dopo il terremoto Charles Lister, direttore dei programmi su Siria e antiterrorismo ed estremismo del Middle East Institute, ha scritto una lunga analisi dal titolo «Le vittime del terremoto in Siria intrappolate da Assad», in cui analizzava le difficoltà della gestione degli aiuti transfrontalieri per le zone controllate dai ribelli e provava a guardare oltre. 

Se è vero come è vero che il regime manipola e dirotta gli aiuti umanitari, se è vero come è vero che il «regime guadagna anche enormi somme imponendo tassi di cambio manipolati alle Nazioni Unite, rubando così la metà di ogni dollaro di aiuti inviato alla Siria», scrive Lister, la comunità internazionale deve poter oggi intraprendere azioni per prevenire o migliorare la sofferenza dei civili. 

Espandere l’assistenza attraverso Damasco, per esempio, ma solo a fronte di una autorizzazione a fare lo stesso nelle zone controllate dai ribelli, solo a fronte dell’accesso a una istituzione di controllo come le Nazioni Unite. 

Pare difficile, vista la condotta degli anni passati, che il regime di Assad conceda tali accessi, ma deve essere chiaro all’Occidente che la crisi siriana precede – e di molto – il terremoto. Così come devono essere chiari i numeri e le previsioni che ne derivano. 

«Nel 2022, la migrazione illegale di siriani in Europa è aumentata vertiginosamente del 100% – scrive ancora Lister -. Con gli effetti di questo terremoto quei numeri aumenteranno notevolmente in primavera». 

Per dodici anni la comunità internazionale ha agito con cecità, ignorando le cause profonde della crisi, o con insofferenza di fronte ai flussi migratori di chi non riusciva più a sopravvivere in Siria o alternando la timidezza di fronte agli attacchi sui civili a pesanti sanzioni economiche. Una condotta oscillante, contraddittoria che non ha alleviato il dolore e le sofferenze di milioni di siriani. 

Oggi è arrivato per l’Occidente il momento della responsabilità, i governi devono mostrare tutta la loro determinazione nell’aiutare un popolo martoriato e troppo a lungo trascurato, così come le Nazioni Unite devono mostrare di saper essere ancora quell’istituzione necessaria a proteggere chi oggi non solo non sa come sfamare i propri figli ma non ha mezzi per estrarre i cadaveri di quelli che ha perso dalle macerie dell’ennesima tragedia che li ha colpiti”.

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