Migranti, con la guerra alle Ong meno salvataggi e più morti: effetti del decreto sicurezza
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Migranti, con la guerra alle Ong meno salvataggi e più morti: effetti del decreto sicurezza

Nel solo mese di gennaio, denuncia l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim),  66 persone sono morte nel Mediterraneo. Una media di due vittime al giorno da quando, con il decreto Piantedosi, la flotta umanitaria è stata decimata

Migranti, con la guerra alle Ong meno salvataggi e più morti: effetti del decreto sicurezza
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8 Febbraio 2023 - 14.13


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Ecco cosa ha prodotto il Decreto migranti e anti Ong. 

Da 300 a meno di 80 persone in media soccorse in mare con il decreto. E’ quanto sottolineato dal capo missione di Medici Senza Frontiere, Juan Matias Gil, durante una recente conferenza stampa alla Camera sul Dl Sicurezza. “Dopo otto anni si continua a morire nel Mediterraneo”, aggiunge. “Noi ora andiamo via dopo il primo soccorso quando prima facevamo 4,5 soccorsi in media a missione”, spiega. Dal 2015 sono state tratte in salvo “233mila persone”, evidenzia poi Valentina Brinis di Open Arms. E sarebbero 20 i procedimenti penali e amministrativi a cui la Ong ha detto di essere andata incontro in questi anni. “E’ un’area di mare in cui nel 2023 si continua a perdere la vita. E’ una rotta trafficatissima, ogni anno a percorrerla sono 80-100mila persone. Oltre duemila muoiono in questa tratta”, aggiunge Brinis.

Nel solo mese di gennaio, denuncia l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim),  66 persone sono morte nel Mediterraneo. Una media di due vittime al giorno da quando, con il decreto Piantedosi, la flotta umanitaria è stata decimata e la rotta di barchini e gommoni resta a lungo senza alcun monitoraggio. 

Un bilancio inquietante.

E’ quello declinato da Alessandro Puglia per Vita, in articolo di fine 2002: “La criminalizzazione del soccorso in mare – scrive Puglia – torna prepotentemente sulla scena dei salvataggi nel Mediterraneo centrale nel 2022. In Italia al 23 dicembre secondo i dati del Ministero dell’Interno sono stati 101.127 i migranti sbarcati, numeri superiori rispetto al 2021 quando gli arrivi in Italia erano stati 64.612, soltanto 33.863 nel 2020. Dati che vanno contestualizzati davanti al costante evolversi dello scenario migratorio e alla pandemia Covid-19 che negli anni scorsi ha rallentato il numero delle partenze.

Sono invece 1.998 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale secondo i dati del progetto Missing Migrants dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni, non considerando i naufragi che non è stato possibile documentare. Ai quasi 2mila morti tra cui almeno 88 minori si aggiunge il numero delle persone che vengono intercettate dalla guardia costiera libica e riportate nei centri di detenzione: oltre 23 mila nel 2022.

Al numero dei morti, vicino a quello del 2021 quando erano 2.062, al numero sempre crescente delle intercettazioni da parte delle autorità libiche, bisogna affiancare la percentuale dei soccorsi da parte delle Ong: soltanto il 14% secondo l’Ispi sul totale dei migranti arrivati in Italia (pari a più di 14mila persone tratte in salvo). 

Ma in Italia c’è ancora chi parla di “pull-factor” e la criminalizzazione del soccorso in mare si ripresenta. Il nuovo governo Meloni dopo aver esordito con il criterio dello “sbarco selettivo” e l’espressione infelice di “carico residuale” dirotta ora le navi della società civile nei porti del Nord Italia[…].«Le recenti operazioni delle navi di soccorso dimostrano che l’assegnazione veloce di un porto lontano ha un prezzo. I porti sicuri devono essere assegnati subito, ma con i porti molto a nord la volontà politica è di tenere le navi lontane dai soccorsi il più a lungo possibile», scrive Sea-Watch, Ong che dal 2014 ha portato in salvo oltre 35 mila persone e che oltre alle navi possiede due arei da ricognizione (Seabird 1 & 2) che permettono di monitorare le violazioni che avvengono nel Mediterraneo al pari di Pilotes Volontaires con i velivoli Colibrì.

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L’impostazione del nuovo governo è ora anche quella di vietare alle navi Ong i soccorsi multipli: «Lo scopo di questi nuovi decreti è chiaro. Queste nuove regole hanno come obiettivo quello di diminuire le capacità di soccorso, mentre le persone, fuggendo, combattono per la propria vita. L’interruzione delle nostre missioni dopo ogni soccorso, anche se numericamente piccolo, e l’immediato ritorno a terra si tradurrà inevitabilmente in un aumento dei costi del carburante e in molto tempo perso», ha spiegato Hermine Poschmann di Mission Lifeline impegnata a dicembre nel Mediterraneo con la Sea Eye 4 e la Rise Above.

La flotta della società civile resiste. Nel 2022 la Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha portato a termine 14 missioni nel 2022 salvando 3.742 persone, tra cui 1071 minori, 927 non accompagnati. Ad agosto è salpata per la sua prima missione la Sos Humanity che ha portato in salvo 855 persone e ancora altre navi come l’Astral e la Open Arms della omonima Ong spagnola che nel 2022 ha concluso 97 operazioni di soccorso o la Louise Michel che ha portato a termine quattro difficili operazioni di salvataggio e tornerà insieme alle altre sulla scena dei salvataggi nel 2023.

Marittimi, medici, soccorritori, psicologi, ostetriche, mediatori culturali: equipaggi di professionisti che ogni giorno in mare cercano di salvare vite umane”.

Così il report di Vita. Come documentato dall’Oim il 2023 è iniziato nel peggiore dei modi.

Una brutta storia.

Botte con bastoni, cinghie, razionamenti estremi dell’acqua da bere, prigionieri nella stiva e la morte di alcuni compagni di viaggio per il caldo e la disidratazione. E’ il racconto dell’incubo vissuto da decine di migranti a bordo di una carretta del mare che ne trasportava circa 600, soccorsi la scorsa estate e giunti nei porti di Messina, Catania e Siracusa il 24 luglio a bordo di motovedette della guardia costiera: sono quattro i presunti scafisti, e nei loro confronti sono stati adesso emessi altrettanti ordini di custodia cautelare in carcere per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante di aver sottoposto i migranti a “trattamento inumano e degradante”, e per omicidio aggravato. Nel porto di Messina la motovedetta approdò con a bordo 5 cadaveri e 179 migranti. Terminate le operazioni di accoglienza, gli investigatori della squadra Mobile e del Gico, coordinati dalla Procura della Repubblica di Messina e con la collaborazione dei colleghi di Catania e Siracusa, avviarono le indagini: dopo circa un mese di permanenza in una ‘connection house’ sulle coste Libiche e il pagamento di circa 3000 euro ciascuno per il viaggio, il peschereccio partì alla volta dell’Italia nella serata del 19 luglio. Fu una nuova lunga tappa dell’orrore che si aggiungeva agli abusi probabilmente già subiti in Libia. I migranti hanno raccontato di violenze subite a bordo, del caldo insopportabile nella stiva, del viaggio accanto ai cadaveri: cinque presunti scafisti, tutti di nazionalità egiziana, furono sottoposti a fermo di polizia giudiziaria per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. All’esito degli ulteriori approfondimenti, per quattro di loro è arrivata la richiesta di misura cautelare in carcere e poi la sua applicazione. 

Gli aiuti agli aguzzini

6 febbraio 2023. “Oggi ad Adria il Governo italiano regala una nuova motovedetta alla Libia affinché continui e incrementi la violenta pratica illegale dei respingimenti nel Mediterraneo. Lo fa per la prima volta con una cerimonia pubblica. Intanto in mare si continua a morire”. Così denuncia in una nota l’Ong tedesca Sea-Watch,. Solo negli ultimi giorni, prosegue l’Ong, “dodici salme sono arrivate a Lampedusa, due persone sono disperse, due corpi sono stati recuperati dalla Sea Eye 4 e ora si trovano a bordo. Una donna è arrivata a Lampedusa aggrappata a un salvagente, possibile unica superstite di un naufragio fantasma”.

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Il 5 febbraio, avverte ancora l’Ong, “la stessa Sea Eye 4 ha richiesto un’evacuazione medica per una persona in gravi condizioni di salute, deceduta in ospedale dopo aver atteso per ore il trasferimento. Mentre il Governo è impegnato a stringere le mani, a criminalizzare il soccorso in mare, a obbligare le navi delle Ong a inutili e pericolosi viaggi verso porti lontani, nel Mediterraneo si continua a morire. Siamo di fronte a una strage intollerabile. Invertite la rotta”. conclude Sea-Watch.

Le “dimenticanze” della premier.

Così Nello Scavo, tra i giornalisti più informati e impegnati sulla Libia e il Mediterraneo, presenta la visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un articolo su Avvenire del 28 gennaio scorso.Oggi la premier Giorgia Meloni sarà in visita a Tripoli, dove incontrerà il vertice politico della Libia. Nell’incontro si parlerà certamente dei migranti e di come fermarli, impedendo loro di tentare l’attraversamento del Mediterraneo. È noto che nella maggior parte dei casi queste povere persone, in fuga da fame, guerre e inguiustizie, sono trattate in modo disumano e usate come oggetti nel traffico di uomini fiorente in quel Paese. Ma quello che conta per Roma è l’accordo che sarà siglato a margine del viaggio della prima ministra: un’intesa da 8 miliardi di dollari in relazione all’esplorazione e allo sfruttamento di due giacimenti prospicienti la costa occidentale libica. La joint-venture paritetica tra l’Eni italiana e la compagnia petrolifera statale libica Noc dovrebbe operare in due aree esplorative in un blocco marino dove è già stato scoperto gas nelle strutture “A” ed “E”, circa 140 chilometri a nord-ovest di Tripoli. I due giacimenti hanno riserve stimate per 6 trilioni di piedi cubi e per svilupparli saranno necessari circa tre anni e mezzo. Al ritmo di 850 milioni di piedi cubi al giorno, la produzione potrà andare avanti per 25 anni, ha previsto: in metri cubi, si tratta 8,78 miliardi l’anno. Un affare gigantesco di sfruttamento dei giacimenti fossili (ndr).

Le sabbie mobili libiche aspettano Giorgia Meloni per misurare le intenzioni della prima premier donna d’Italia nell’ex colonia dove non c’è neanche bisogno di mascherare i volti per sapere con chi si ha a che fare. I clan che spadroneggiano nel Paese, aprendo e chiudendo a piacimento le rotte migratorie del mare, quelli che si arricchiscono con il contrabbando di petrolio, le milizie che controllano il territorio in un connubio di tribalismo e mafia, sono oramai seduti ai tavoli che contano.

Dal ministro dell’Interno al capo del Dipartimento contro l’immigrazione illegale fino al direttore dell’accademia della Marina militare, sono tutti nomi a cui l’Interpol ha dedicato più di un alert in questi anni. L’ultimo padrino a raggiungere i piani alti è Emad Trabelsi, segnalato dalle Nazioni Unite per essersi arricchito imponendo una tassa personale di 3.600 dollari per ogni autocisterna di nafta di contrabbando che dalla Libia si dirige verso la Tunisia.

I report degli investigatori Onu e le reiterate segnalazioni degli attivisti locali, lo indicano da almeno cinque anni come uno dei campioni nel disprezzo dei diritti umani. Nei giorni scorsi Trabelsi ha incontrato funzionari della sicurezza italiani a cui ha promesso un freno alle partenze dei barconi. Parole scritte sulla sabbia. I clan negli ultimi mesi si sono attrezzati per trasferire i migranti appena oltre il confine con la Tunisia e da lì far salpare decine di zattere in ferro, assemblate in fretta senza che mai si riescano a individuare i cantieri navali che dalla sera alla mattina varano i peggiori barchini mai visti in anni di migrazioni.

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La mano pesante sui migranti è affidata a un altro capobanda che dopo aver combattuto nella difesa di Tripoli, aggredita dalla soldataglia del generale di Bengasi Haftar, si è conquistato i galloni di fedelissimo del premier Dbeibah. E’ Mohammed al-Khoja, accusato da varie organizzazioni internazionali e dalle agenzie Onu d’essere legato al business del traffico di persone. Ora guida il Dipartimento contro l’immigrazione illegale (Dcim) che gestisce i campi di prigionia statali nei quali anche nell’ultima relazione del segretario generale Onu Antonio Guterres, firmata il 9 dicembre scorso, migranti e profughi «continuano a essere detenuti arbitrariamente in condizioni disumane».

L’intelligence italiana si è mossa con circospezione nelle ultime settimane allo scopo di rassicurare proprio gli uomini di Bengasi, e in particolare i fedelissimi di Fathi Bashagha, ex ministro dell’Interno di Tripoli che dopo aver fallito la nomina a capo del governo è passato dalla parte dell’ex nemico Haftar, facendosi nominare capo del governo ribelle di Tobruk, sorretto militarmente proprio dalle fazioni federate dal generale.

Alludendo al possibile arrivo di Giorgia Meloni a Tripoli, Bashagha nei giorni scorsi si è infatti «sorpreso» per gli incontri con un «governo scaduto» come quello guidato da Abdul Amid Dbeibah, che avrebbe dovuto cedere il passo alle prime elezioni democratiche oltre un anno fa, ma che con vari pretesti rimane alla guida di Tripoli.

Nel solo mese di dicembre, dopo non aver mosso un dito per quasi un anno, le forze navali della Cirenaica, coinvolte fra l’altro nella cattura e nella brutale prigionia dei pescatori siciliani di Mazara del Vallo, hanno intercettato in mare e riportato a terra circa 3.400 migranti, poi gettati in prigioni sconosciute: una mano tesa all’Italia, che proprio in Cirenaica è in cerca di accordi energetici stabili. Dall’altra parte a controllare il ricco giacimento di Zawyah e i traffici illeciti di uomini, armi e oro nero, ci sono gli uomini della milizia “al Nasr”, i cui capi sono tutti sottoposti a sanzioni Onu.

Tra essi il feroce “Bija”, quel maggiore Abdurahman al Milad che nel 2017 già aveva dato prova di poter contenere il traffico di migranti, in cambio di maggiore sicurezza per le estrazioni petrolifere dirette verso la Penisola, dopo essere stato riservatamente ospitato nel nostro Paese nel corso di vari incontri in Sicilia e nei ministeri romani. Ora Bija è il responsabile della formazione dei futuri comandanti delle motovedette libiche donate dall’Italia.

Ma non è di questo che si parlerà durante gli incontri con Meloni. In Libia, del resto, il vero prezzo del petrolio e del gas viene stabilito nella borsa delle vite a perdere. E chiunque intende avere più idrocarburi e meno migranti, incuranti del sostegno diretto alla filiera della tortura, deve trattare con i capimafia. Anche se hanno un titolo da ministro”, conclude Scavo.

Ecco con chi l’Italia fa affari. E che sostiene nel lavoro sporco, e criminale, dei respingimenti. 

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