Israele: una "Internazionale dei democratici" per contrastare l'asse Netanyahu-Orban
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Israele: una "Internazionale dei democratici" per contrastare l'asse Netanyahu-Orban

L’”Internazionale nera” passa per Gerusalemme. E per contrastarla c’è bisogno di costruire una “Internazionale dei democratici”, che coinvolga le forze che in Israele si oppongono al governo Netanyahu-Ben-Gvir”.

Israele: una "Internazionale dei democratici" per contrastare l'asse Netanyahu-Orban
Orban e Netanyahu
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22 Gennaio 2023 - 17.17


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L’”Internazionale nera” passa per Gerusalemme. E per contrastarla c’è bisogno di costruire una “Internazionale dei democratici”, che coinvolga le forze che in Israele si oppongono al governo Netanyahu-Ben-Gvir”.

Alleanza democratica

Ne scrive su Haaretz  Noa Landau, firma di punta del quotidiano progressista di Tel Aviv: “Nell’ultimo decennio, la destra israeliana ha sviluppato una strategia sistematica – annota Landau -. Ha condotto un’aggressiva campagna di delegittimazione contro qualsiasi tipo di cooperazione tra il centro-sinistra israeliano e i movimenti liberali e progressisti all’estero, coltivando allo stesso tempo ampi legami con le forze anti-liberali di tutto il mondo.


Secondo loro, il campo liberale di Israele non dovrebbe ricevere sostegno, finanziario o ideologico, da organizzazioni e Paesi europei, compresi i donatori ebrei che sono troppo liberali per i loro gusti. La destra, invece, è più che benvenuta ad abbracciare i conservatori populisti ovunque, a dare priorità al sostegno dei cristiani evangelici rispetto agli ebrei, a difendere scrupolosamente l’estrema destra in Europa e persino a fare causa comune con i neonazisti.


Per anni sono stati lanciati avvertimenti su ciò che avrebbe potuto portare a tutto questo, compreso il timore, che ora si sta concretizzando, di una “ungheresizzazione” del Paese. Nella sua attuale arroganza, la destra israeliana non solo non nasconde di trarre sostegno e ispirazione per il suo progettato colpo di Stato giudiziario dagli eventi in Ungheria, ma se ne vanta apertamente e sfacciatamente.


Giovedì il primo ministro ungherese Viktor Orban ha scritto sul suo account Twitter di aver incontrato il direttore israeliano dell’organizzazione di destra israelo-americana Tikvah Fund, scambiandosi impressioni sugli sforzi per creare una società conservatrice nei rispettivi Paesi. “Costruire una comunità conservatrice è un lavoro difficile. Ma sia [l’Ungheria] che [Israele] hanno già ottenuto ottimi risultati”, ha twittato Orban, aggiungendo: “Oggi ho avuto la possibilità di confrontarmi con Amiad Cohen su questa nobile missione”.


Questi crescenti legami tra la destra israeliana e le forze antiliberali di tutto il mondo sono le basi concrete dei profondi cambiamenti che la destra cerca ora di portare in Israele. Questi legami si sono chiaramente riflessi anche quando la lobby dei coloni ha utilizzato la lobby cristiana evangelica negli Stati Uniti per influenzare l’amministrazione Trump. In Europa, la lobby anti-liberale israeliana si è legata a partiti con note affiliazioni fasciste, sulla base di quella che chiamano “alleanza ebraico-cristiana” che permette a questi partiti di indirizzare il loro razzismo principalmente contro gli immigrati, i neri e i musulmani, con l’aiuto di un timbro di approvazione da parte dello Stato ebraico.


Nel frattempo, però, alcuni membri del campo opposto si sono bevuti il lavaggio del cervello contro simili alleanze con gruppi e leader liberali e progressisti. Se il campo democratico spera di sopravvivere e di uscire vittorioso, deve abbandonare questo atteggiamento e aumentare e normalizzare le sue alleanze internazionali, imparare dall’esperienza di altri nel mondo e fare dichiarazioni e azioni congiunte. Il sostegno non sarebbe necessariamente finanziario, ma piuttosto ideologico. Non c’è nulla di sbagliato nello scambio di conoscenze per promuovere obiettivi politici comuni.

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Si pensi, ad esempio, alle parole dello storico Andrea Peto, costretto all’esilio dall’Ungheria a causa del regime di Orban, in un’intervista a Ayelett Shani (Haaretz edizione ebraica, 20 gennaio): “Vale la pena di leggere ciò che scrivono le persone che hanno studiato questa politica negli ultimi dieci o due anni. Tutto è noto in anticipo. La sceneggiatura è scritta. Lo vediamo in azione in Brasile, in Ruanda, in Turchia, in Russia. È chiaro chi sono gli attori, quali sono le conseguenze, come funziona a livello globale. L’ispirazione e le idee sono globali. La strategia è globale. Ci sono istituzioni internazionali che se ne occupano”.
È giunto il momento di smettere di avere paura e di scusarsi, e per il campo liberale di stabilire alleanze internazionali corrispondenti”.
Così Landau

Un abbraccio iniziato anni fa

Globalist ne scriveva già nel 2019: “
Tutto è pronto per il grande evento internazionale. Gerusalemme, capitale di “Visegrad 2”. I sovranisti non conoscono confini. Si ritrovano sotto ogni latitudine, in ogni angolo del pianeta. Uniti da affinità ideologiche e da pratiche comuni. Il “Gruppo di Visegrad” ha un nuovo “associato”: Israele. E poco importa che in diversi Paesi di quel gruppo (Ungheria, Polonia, in primis) spirino venti antisemiti che arrivano anche ai vertici del potere politico. Il 18 e 19 febbraio, Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, accoglierà a Gerusalemme i suoi omologhi dei Paesi del “Patto di Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia). Per Netanyahu, in piena campagna elettorale, sarà uno spot potente per fare il vuoto a destra. Ciò che importa di più, per chi governa oggi lo Stato ebraico, è che “quelli di Visegrad” lavorino dall’interno per minare quella Unione europea che i falchi di Tel Aviv considerano una entità ostile, smaccatamente filopalestinese e filoiraniana. Dividere l’Europa, dunque, anche per ciò che concerne la “battaglia delle ambasciate”: Netanyahu approfitterà del summit per premere sui suoi sodali europei perché seguano la strada aperta da Donal Trump, e trasferiscano le loro ambasciate da Tel Aviv a Gerusalemme. 

Ma non c’è solo questo a rendere affini e sodali il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i suoi omologhi di “Visegrad”: altro terreno d’intesa, è quello di un sovranismo che alza muri contro i migranti.  Un discorso che vale soprattutto per il più grande amico di Netanyahu ad Est: il premier ungherese Viktor Orban. Già in passato, diverse ong israeliane hanno accusato Netanyahu di accettare il sostegno diplomatico di uno dei principali leader antisemiti europei. Il capo del governo magiaro è stato identificato da una parte della società civile israeliana come un estimatore dell’ammiraglio filonazista Miklos Horthy. Gli attacchi di Orban al finanziere George Soros, colpevole, secondo alcuni, di progettare l’invasione dell’Europa da parte di orde di migranti, hanno ulteriormente alimentato l’ostilità dell’opinione pubblica liberal nei confronti dell’“uomo forte” di Budapest. Un passo indietro nel tempo. Diciannove luglio 2017, Budapest.  L’incontro era a porte chiuse, ma il microfono è rimasto acceso per pochi minuti e le cuffie distribuite tra i giornalisti hanno trasmesso per errore l’attacco di Benjamin Netanyahu all’Europa, accusata di lavorare per minare i rapporti con Tel Aviv. Il primo ministro israeliano, nel corso di un incontro riservato che si è tenuto in mattinata nella capitale ungherese, critica con veemenza il comportamento “da pazzi” che l’Ue tiene verso Israele. Si trattava della prima vista all’Ungheria di un leader israeliano degli ultimi 30 anni.

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Oltre al primo ministro ungherese Viktor Orban, incontra i leader degli altri Paesi che compongono il gruppo di Visegrad – Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia.“ L’Unione europea deve scegliere se vuole vivere e prosperare o scomparire. È l’unica organizzazione di stati che stabilisce le sue relazioni con Israele, che le fornisce la tecnologia, sulle condizioni politiche. Nessuno lo fa. È folle. E contro gli interessi dell’Europa”, avrebbe detto Netanyahu ai leader di Visegrad sollecitati a usare la loro influenza nell’Ue per allentare le condizioni nei rapporti bilaterali tra Bruxelles e Tel Aviv. “Prima di tutto vi suggerisco di aiutarci ad accelerare la formazione di accordi tra Europa e Israele, e che passiate un messaggio ai vostri colleghi su come aiutare l’Europa stessa. Tutto (ciò che Israele può offrire, ndr) è a vostra disposizione, in qualsiasi campo” avrebbe proposto Netanyahu ai leader dei quattro Paesi dell’Est. “Smettetela di attaccare Israele. Sostenetelo, invece. L’Europa si sta disimpegnando dal più grande polo di innovazione al mondo. Non ha senso. State minando la vostra sicurezza, minando Israele”, ha sottolineato il premier. “Iniziate a sostenere le economie europee facendo quello che gli americani, i cinesi e gli indiani stanno già facendo”, ha spiegato Netanyahu in relazione alle potenze che hanno aumentato la cooperazione tecnologica con lo Stato ebraico. “Non sono molto politicamente corretto: so che è uno shock per alcuni di voi. Ma la verità è la verità. Noi siamo parte della cultura europea”, ha continuato. “A est di Israele, non c’è più Europa”. Netanyahu, a microfoni accesi a sua insaputa, esprime anche un chiaro sostegno per la linea anti-immigrazione del gruppo Visegrad, che in questi anni ha alzato muri e barriere di filo spinato per bloccare le ondate di profughi provenienti dal Medio Oriente. Il premier israeliano dice di credere nella libera circolazione delle merci e delle idee, “ma non delle persone” ed esortato i leader dell’Europa orientale a proteggere i propri confini. Concetti che saranno ribaditi nella due giorni della prossima settimana.

“Gli uomini di Orban, i dirigenti polacchi e la destra israeliana sono fatti della medesima pasta – rimarca Zeev Sternhell, tra i più autorevoli e affermati storici israeliani -.  Sono attivamente impegnati a liquidare l’‘ordinamento liberale’. Lottano contro i diritti umani e contro la separazione delle istituzioni, puntano a un regime dove i tribunali, i mass media, le istituzioni culturali, il mondo accademico e la società civile siano sottoposti tutti al potere”. Sgomento, Sternhell aggiunge, riferendosi ai protagonisti del vertice in programma: “Tre quarti di secolo dopo la seconda guerra mondiale, personalità della Destra nazionalista, cattolica, odiatori dell’illuminismo, i cui padri hanno assecondato lo sterminio degli ebrei o si sono limitati a guardare, sono adesso visti come i nostri fratelli”. Il vertice “sovranista” interroga e inquieta anche la diaspora europea. Annota in proposito Giorgio Gomel, di JCall (European Jewish call for reason, fondata il 3 maggio 2010 da Daniel Cohn Bendit) Italia: “Il governo d’Israele  – scrive Gomel – persegue suoi interessi politici: fra questi il manifesto proposito di dividere e disarticolare l’Ue circa le posizioni che assume sul conflitto israelo-palestinese e sui rapporti con l’Iran ‘corteggiando’ i Paesi del gruppo di Visegrad e altri retti da governi nazional-populisti come l’Austria e l’Italia”. Ma, osserva ancora l’esponente di JCall – vi è anche una affinità elettiva sul piano ideologico fra il Likud di Netanyahu e alcuni di questi partiti che esaltano l’identità etnica, il rifiuto degli immigrati, l’intolleranza del diverso. L’attrazione per tali movimenti nazionalisti e antieuropei è pero autodistruttiva per Israele: l’Europa resta il primo partner commerciale e il principale fornitore di fondi di ricerca per università e imprese israeliane.

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Un’Europa attraversata da nazionalismi e dominata da Le Pen, Orban e Salvini non sarebbe certamente benefica per Israele”. “Gli storici di Yahd Vashem (il Museo della Shoah) – ricorda ancora Gomel – hanno condannato il documento congiunto firmato da Netanyahu e dal primo ministro polacco Morawiecki in quanto contiene “gravi errori e distorsioni” circa gli atti di cittadini polacchi collaborazionisti con i nazisti e per simili motivi, il progettato Museo Museo di Budapest che esonera del tutto il regime fascista di Horthy dalle sue colpe nello sterminio degli ebrei ungheresi”. Per cercare di parare una parte di queste critiche, Netanyahu ha dovuto sostenere che i Polacchi hanno collaborato con i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. A stretto giro di tweet  è arrivata la risposta, piccata, di Morawiecki, secondo cui il suo Paese è stato vittima dell’occupazione nazista. La polemica per “Bibi” può finire qui: “Il primo ministro non ha intenzione di replicare” alle parole del suo omologo polacco, fa sapere ad Haaretz un portavoce del premier israeliano. Ciò che oggi  conta davvero per Netanyahu è l’assonanza totale sul presente e sul futuro con i suoi amici di Visegrad. Erigere muri e combattere l’Europa “filo iraniana” è il loro credo comune. Ma la polemica politica monta. Durissimo è il commento, via tweet, di Yair Lapid, leader del partito laico centrista Yesh Aitd: “Il summit in programma nei prossimi giorni – denuncia Lapid – include un primo ministro che ha approvato una legge che umilia la memoria delle vittime dell’Olocausto e un premier che ha pubblicato materiali anti-semiti”. Il riferimento è al duo Morawiecki&Orban”.

Sono passati quattro anni d’allora. E la situazione è ulteriormente peggiorata. L’asse Netanyahu-Orban si è rafforzato. Combatterlo non è un compito che spetta soltanto ai democratici israeliani e ungheresi. 

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