Libia, uno Stato fallito che l'Italia continua a finanziare e ad armare
Top

Libia, uno Stato fallito che l'Italia continua a finanziare e ad armare

Cambiano i governi, i presidenti del Consiglio, i ministri degli Esteri, le maggioranze parlamentari, ma la musica resta la stessa. Una musica lugubre. Tragicamente ripetitiva

Libia, uno Stato fallito che l'Italia continua a finanziare e ad armare
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Gennaio 2023 - 12.52


ATF

La Libia, uno Stato fallito che l’Italia continua a finanziare. E ad armare. Siamo ormai oltre il perseverare è diabolico. Cambiano i governi, i presidenti del Consiglio, i ministri degli Esteri, le maggioranze parlamentari, ma la musica resta la stessa. Una musica lugubre. Tragicamente ripetitiva. Cosa sia la Libia, Globalist lo ha documentato con una mole di articoli, interviste, documenti. Avvalendosi di autorevoli analisti di geopolitica.

Le “due Libie”.

E’ la volta di Federico Manfredi Firmian (Sciences Po, Ispi, Università di Sheffield). Che in un recente report per l’Istituto di Studi di politica internazionale, annota tra l’altro: “La Libia rimane politicamente e territorialmente divisa fra due governi rivali. I fronti militari sono calmi e la guerra civile non è imminente ma la situazione resta instabile. 

La capitale Tripoli ed il nord ovest del paese sono controllati dal Governo di unità nazionale (Gnu), attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Il governo di Tripoli è riconosciuto a livello internazionale e occupa il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione africana, ma è meno unito di quanto sembri. Dbeibah è una figura politica che rappresenta un compromesso fra i poteri forti dell’ovest, che includono le milizie islamiste di Tripoli e Misurata e interessi economici legati a reti di clientelismo.

L’est del paese e vaste zone della Libia centrale sono nominalmente sotto l’autorità della Camera dei Rappresentanti, la legislatura unicamerale della Libia, che nel marzo 2022 ha creato un governo parallelo con Fathi Bashagha come primo ministro. In realtà, è il generale Khalifa Haftar a governare questi territori in modo autoritario.

I due campi si reggono fondamentalmente su network di forze armate e milizie organizzate a livello locale e regionale, ma mantengono al tempo stesso complesse alleanze internazionali che hanno loro permesso di perdurare negli anni. Il governo di Tripoli ha l’appoggio militare della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. La Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono invece i principali alleati di Haftar.

Le divisioni della Libia di oggi non sono un semplice conflitto est-ovest. I due pretendenti al potere, Dbeibah e Bashagha, non sono distinguibili l’uno dall’altro né per ideologia né per provenienza. Sia Bashagha sia Dbeibah sono originari di Misurata ed entrambi hanno l’appoggio di fazioni islamiste. Un altro fattore che li accomuna è che non hanno legittimità democratica. Le ultime elezioni nazionali in Libia si sono tenute nell’ormai lontano 2014. Quanto a Haftar, nonostante si sia efficacemente posizionato come uomo forte anti-islamista, il suo Esercito nazionale libico conta fra le sue file diversi battaglioni salafiti e il generale lascia loro campo libero in materia di questioni religiose.

Le élite politiche della Libia sono interessate principalmente a ottenere posizioni di potere nel governo e nelle forze di sicurezza, a controllare le finanze pubbliche e le infrastrutture energetiche e a gestire le alleanze internazionali.

La Libia è un petrostato: nel 2021, i proventi del petrolio hanno rappresentato il 98% delle entrate pubbliche, secondo dati della Banca centrale della Libia. Le autorità di Tripoli controllano la compagnia petrolifera nazionale, la National Oil Corporation (Noc), e la Banca centrale, e riscuotono quindi la totalità dei proventi della produzione di idrocarburi. Ma le forze di Haftar controllano l’intera “mezzaluna del petrolio” nell’est del paese, così come cinque dei principali porti petroliferi della Libia: Es Sider, Ras Lanuf, Zueitina, Brega e Hariga. (Gli altri due principali porti petroliferi, Mellitah e Zawiya, sono nell’ovest del paese.)

Haftar non può vendere il petrolio direttamente sui mercati internazionali ma può bloccare fino a ¾ della produzione e dell’esportazione, cosa che ha fatto ripetutamente negli anni per forzare il governo di Tripoli a cedergli una percentuale dei proventi.

Un accordo segreto fra Haftar e Dbeibah, probabilmente mediato dagli Emirati Arabi Uniti, ha portato alla nomina di Farhat Bengdara al posto di direttore della Noc nel luglio 2022. I termini dell’accordo non sono pubblici ma da quando Bengdara ha preso le redini della Noc la completa ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio in tutta la mezzaluna dell’est indica che Haftar sta incassando una percentuale dei proventi.

Da un punto di vista politico e militare, la Libia resta in una situazione di stallo. Il paese rimane diviso, malgovernato, suscettibile a sporadici scontri armati su scala limitata e ad abusi dei diritti dei cittadini libici e dei migranti. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha inoltre complicato ulteriormente il processo di mediazione dell’Onu in Libia”.

Continuiamo ad armarli

Scrive Duccio Facchini su Altreconomia del 24 ottobre 2022: L’Italia fornirà altre 14 imbarcazioni alle milizie libiche per intercettare e respingere le persone in fuga nel Mediterraneo. La commessa è stata aggiudicata definitivamente nella primavera di quest’anno per 6,65 milioni di euro nell’ambito di una procedura curata da Invitalia, l’agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia che sulla carta dovrebbe occuparsi dell’”attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” e che invece dall’agosto 2019 ha stipulato una convenzione con il ministero dell’Interno per garantire “supporto” tecnico anche sul fronte libico. La copertura finanziaria dei nuovi “battelli” è garantita, così come tante altre, dalla “prima fase” del progetto “Support to integrated Border and migration management in Libya” (Sibmmil) datato dicembre 2017, cofinanziato dall’Unione europea, implementato dal Viminale e inserito nel quadro del Fondo fiduciario per l’Africa (Eutf).

Si tratta in questa occasione di 14 mezzi “pneumatici con carena rigida in vetroresina” da 12 metri -come si legge nel capitolato di gara-, in grado di andare a una velocità di crociera di almeno 30 nodi, con un’autonomia di 200 miglia nautiche, omologati al trasporto di 12 persone e destinati a “svolgere i compiti istituzionali delle autorità libiche” (è la seconda tranche di una procedura attivata oltre tre anni fa). Quali non si poteva specificarlo. Anche sull’identità dei beneficiari libici c’è scarsa chiarezza da parte di Invitalia, il cui amministratore delegato è Bernardo Mattarella. Negli atti non si fa riferimento infatti né all’Amministrazione generale per la sicurezza costiera (Gacs) né alla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim), che opera sotto il ministero dell’Interno libico, quanto a una generica “polizia libica”.

Chi si è assicurato la commessa, con un ribasso del 5% sulla base d’asta, è stata la società B-Shiver Srl con sede a Roma. B-Shiver è la ragione sociale del marchio Novamarine, nato a Olbia nel 1983 e poi acquisito negli anni dal gruppo Sno. “È uno dei must a livello mondiale perché ha fatto una rivoluzione nel campo dei gommoni, con il binomio carena vetroresina e tubolare”, spiega in un video aziendale l’amministratore delegato Francesco Pirro.

B-Shiver non si occupa soltanto della costruzione dei 14 mezzi veloci ma è incaricata anche di “erogare un corso di familiarizzazione sulla conduzione dei battelli a favore del personale libico”: 30 ore distribuite su cinque giorni.
Nell’ultima versione del capitolato sembrerebbe sparita la possibilità di predisporre in ogni cabina di pilotaggio dei “gavoni metallici idonei alla custodia di armi”, come invece aveva ipotizzato il Centro nautico della polizia di Stato nelle prime fasi della procedura di gara.

Le forniture italiane alla Libia per rafforzare il meccanismo di respingimenti delegati continuano, dunque, a oltre cinque anni dal memorandum tra Roma e Tripoli in fase di imminente rinnovo. Un accordo che ha prodotto “abusi, sfruttamento, detenzione arbitraria e torture”, come denunciano oltre 40 organizzazioni per i diritti umani italiane”. 

Un appello inascoltato

“A cinque anni dal Memorandum Italia–Libia, il bilancio delle ricadute sulla vita di uomini, donne e bambini migranti è tragico. Dal 2017 ad oggi quasi 100.000 persone [1] sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela.

“L’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerarlo un paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. Il Memorandum Italia – Libia crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità” affermano le organizzazioni che oggi, 26 ottobre, sono scese in piazza con la società civile contro il rinnovo degli accordi.

Il Memorandum prevede il sostegno alla Guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento. Continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, abusate e uccise. Dal 2017 la Guardia costiera libica ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’UE. Ugualmente le risorse utilizzate per l’implementazione degli interventi umanitari non hanno bilanciato i crimini contro l’umanità che sono commessi attraverso il Memorandum.

La Libia non è un Paese sicuro

La Libia non può essere considerato un luogo sicuro. Il quadro politico è particolarmente instabile, e le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come il numero delle persone sfollate. Nel paese è pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili. Le opzioni sicure e legali per fuggire sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri, tanto che sono molte le persone che decidono di intraprendere un viaggio di ritorno via terra – in particolare lavoratori stagionali provenienti dai paesi vicini – correndo rischi simili a quelli già affrontati per raggiungere la Libia. Molti altri, invece, provano ad attraversare il Mediterraneo pagando somme messe da parte con lavori svolti spesso in condizioni disumane, e affrontando viaggi pericolosi, in cui la probabilità di annegare è alta quanto quella di essere intercettati e respinti.

Alla luce della situazione di insicurezza e instabilità del paese, delle innumerevoli testimonianze di abusi e violenze e della completa e totale irriformabilità del sistema Memorandum, chiediamo all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e al Governo italiano di non rinnovare gli accordi con la Libia.

Le organizzazioni firmatarie:

A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Agenzia Habeshia, Alarm Phone, Amnesty International Italia, AOI, ARCI, ASGI, Baobab Experience, Centro Astalli, CGIL, CIES, CINI, Civicozero onlus, CNCA, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Comunità Papa Giovanni XXIII, CoNNGI, Cospe, FCEI, Focus Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, EMERGENCY, EuroMed Rights, Europasilo, Intersos, Magistratura Democratica, Mani Rosse Antirazziste, Medici del Mondo Italia, Mediterranea, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Open Arms, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, ResQ – People Saving People, Save the Children, Sea Watch, Senza Confine, SIMM, UIL, UNIRE, Un Ponte per.

L’appello è caduto nel vuoto. Quello sciagurato Memorandum è stato automaticamente, senza dibattito parlamentare, rinnovato per altri tre anni. Nel frattempo, il governo Meloni ha decretato guerra alle Ong. 

Native

Articoli correlati