Migranti e diritto di asilo: un rapporto come "scudo" contro i seminatori di odio e menzogne
Top

Migranti e diritto di asilo: un rapporto come "scudo" contro i seminatori di odio e menzogne

La lettura della sintesi dell’ultimo Rapporto sul diritto d’asilo della Fondazione Migrantes è un tentativo riuscito di corretta, documentata informazione rispetto a un fenomeno che i narratori di regime stravolgono

Migranti e diritto di asilo: un rapporto come "scudo" contro i seminatori di odio e menzogne
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Dicembre 2022 - 14.32


ATF

Prendetevi il tempo necessario. Dateci retta, è tempo ben speso. Perché la lettura della sintesi dell’ultimo Rapporto sul diritto d’asilo della Fondazione Migrantes, predisposto in modo accurato dal suo ufficio stampa, è un tentativo riuscito di corretta, documentata informazione rispetto a un fenomeno che i narratori di regime di una stampa mainstream stravolgono, facendo scempio della realtà, oltre che dei diritti umani, in funzione di un racconto criminalizzante e securista su cui la destra, non solo in Italia, ha costruito una parte consistente delle sue fortune elettorali. La narrazione della paura. Quella infarcita di metafore come la “bomba” migranti, o di pericoli inesistenti, l’”invasione” di migranti.

Un bilancio ragionato

“Diritto d’asilo, anno 2022. L’anno in cui la guerra d’Ucraina nel giro di poche settimane ha disperso nel cuore d’Europa rifugiati e sfollati a milioni, come non si vedevano dai tempi della Seconda guerra mondiale. L’anno già difficile in cui l’Europa ha saputo accogliere milioni di profughi senza perdere un decimale in benessere e “sicurezza” (oltre 4.400.000 le persone registrate per la protezione temporanea solo nell’UE fino all’inizio di ottobre). Ma anche l’anno in cui la stessa Unione e i suoi Paesi membri hanno fatto di tutto (hanno continuato a fare di tutto) per tener fuori dai propri confini, direttamente o per procura, ora decine di migliaia, ora migliaia, ora poche centinaia o decine di migranti e rifugiati altrettanto bisognosi di protezione (se non ancora più fragili): è avvenuto dalla Grecia a tutti i Balcani, dalla Libia alla frontiera con la Bielorussia, dalle enclave spagnole sulla costa africana alle acque mortifere del Mediterraneo e dell’Atlantico sulla rotta delle Canarie fino, ultima “novità” dell’anno, ai moli dei porti italiani. Cioè quelli di un Paese i cui governi di ogni colore ripetono da anni che l’«Italia non può fare tutto da sola», ignorando le statistiche sui rifugiati presenti nei Paesi europei che l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, aggiorna ogni semestre. Alla fine dello scorso giugno, ormai nel pieno della crisi umanitaria ucraina, vivevano in Italia poco meno di 296 mila “rifugiati” (cioè rifugiati in senso stretto e persone con protezione complementare o temporanea, e quindi profughi ucraini inclusi: la cifra equivale a cinque persone ogni mille abitanti). Però alla stessa data i rifugiati in Francia erano 613 mila e in Germania addirittura 2.235.000.  Alla fine del ’21, prima della guerra, i rifugiati in Italia calcolati dall’Unhcr erano solo 145 mila, mentre però la Francia ne ospitava già mezzo milione e la Germania 1.256.000. Quanto all’incidenza sulla popolazione, la Grecia già sosteneva un carico multiplo rispetto a quello italiano: quasi 12 rifugiati ogni 1.000 abitanti contro i nostri due o poco più; e persino la Bulgaria ne contava tre ogni 1.000. 

Mentre sempre nel ’21, se l’Italia ha registrato 45.200 richiedenti asilo per la prima volta, la Germania ne ha registrati 148.200, la Francia 103.800 e persino la Spagna ne ha ricevuti di più, 62.050 (dati Eurostat). Viene così da chiedersi chi dovrebbe prendersi i migranti da chi, per restare al livello dell’attuale “dibattito” nell’UE. (Piuttosto, occorrerebbe discutere del fatto che le persone che sbarcano sulle nostre coste, a differenza di molte altre che chiedono protezione nell’Europa continentale, devono essere prima salvate da un mare pericoloso con missioni di soccorso degne di questo nome e dovrebbe essere loro risparmiatol’inferno di Libia: qui sì, è vero che l’Italia non può farcela da sola). 

Ma i bambini sono davvero “tutti uguali”?

ma intanto ci troviamo in «un’Unione europea e un’Italia “sdoppiate”, solidali con gli ucraini e discriminanti e in violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali con altri – scrivono nell’Introduzione a Il diritto d’asilo. Report 2022. Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati (Tau Editrice 2022, pp. 440) le curatrici Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti -: Per qualcuno le frontiere sono aperte, mentre per altri non lo sono nemmeno i porti dopo un naufragio. A essere a rischio è lo stesso diritto d’asilo e persino lo stato di salute delle nostre democrazie. In questo quadro di pesanti trattamenti discriminanti sia internazionali che nazionali si aprono interrogativi scomodi: i bambini sono davvero tutti uguali? Godono tutti degli stessi diritti? Le persone in fuga da conflitti e guerre che hanno già perso la casa e magari persone care non sono tutte uguali e non hanno tutte gli stessi diritti? Provocatoriamente ci viene da chiederci se invece per avere accesso a questi diritti bisogna essere biondi o cristiani o venire dal continente europeo…». 

Leggi anche:  Sbarcati a Ravenna i 202 naufraghi soccorsi dalla Life Support di Emergency: tra loro 15 donne e 18 minori

Per uscire dall’impasse

E tuttavia il nuovo rapporto della Fondazione Migrantes, come sottolineano ancora Molfetta e Marchetti, «non rinuncia a proporre in ogni settore – dall’ambito legale a quello sociale ed etico – possibili strategie per uscire dall’impasse, riconoscendosi nell’orizzonte di senso a cui bisognerebbe tendere, ancora una volta tratteggiato dalle parole di papa Francesco in occasione della 108ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati. Con tutti i migranti e i rifugiati: non solo con quelli che ci piacciono o che sentiamo più vicini a noi, perché solo così si potrà tendere a realizzare anche in terrà pace e giustizia».

Prima parte – Dal mondo con lo sguardo rivolto all’Europa

2021-2022: aumentano le persone in fuga, tra pandemia, conflitti e crisi climatica 

Nel 2022, un anno segnato da nuovi e vecchi conflitti, ancora una volta dalla pandemia di Covid-19 e dal cambiamento climatico, il numero di persone in fuga ha superato la soglia dei 100 milioni in tutto il mondo. Oltre il 70% di chi lascia il proprio Paese cerca rifugio in uno Stato confinante e solo una piccola parte arriva in Europa. La carenza di canali d’ingresso legali e sicuri costringe le persone in fuga, pur riconosciute e protette dal diritto internazionale, a mettersi nelle mani di trafficanti e ad affrontare viaggi lunghi e pericolosi, seguendo una varietà di percorsi: le due rotte principali di accesso sono state quella del Mediterraneo centrale e quella balcanica. Sono poi milioni le persone che hanno fatto ingresso in UE dall’Ucraina dall’inizio del conflitto e sono circa 170 mila i cittadini ucraini arrivati in Italia entro la fine di settembre 2022. 

Il numero di persone in fuga e le richieste di protezione aumentano ovunque. Però le forme di riconoscimento e protezione subiscono una contrazione e una diversificazione che rischiano di creare richiedenti asilo e rifugiati di “serie A” e “B”, mentre chi fugge da disastri ambientali ed effetti del cambiamento climatico ancora fatica a veder riconosciuta il proprio status in assenza di un quadro condiviso.

L’applicazione della protezione temporanea per i rifugiati dall’Ucraina: si possono trarre insegnamenti per la politica europea in materia di asilo? –

All’inizio del marzo 2022, l’attivazione della direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea a favore delle persone fuggite dalla guerra in Ucraina ha costituito un passo importante verso un sistema di protezione più umano. Ma non bisogna dimenticare il pericoloso doppio standard dell’Europa in materia d’asilo. Non solo la politica repressiva dell’Europa nel settore è ancora in pieno svolgimento (basti pensare alla situazione fra Grecia e Turchia, in Libia ecc.). Vi è notizia di squallidi incidenti discriminatori ai danni delle persone di colore al confine tra Ucraina e UE. Mentre solo pochi mesi fa i richiedenti asilo non europei bloccati nelle gelide foreste al confine tra Polonia e Bielorussia sono stati usati come pedine politiche dal leader bielorusso Lukashenko e poi disumanizzati come “attacco ibrido” dai leader dell’UE. Così, è assolutamente necessario sfruttare lo slancio unitario in materia di asilo dimostrato nel contesto dell’Ucraina per rimodellare e riorientare gli sforzi politici verso una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’Unione. Il fatto che l’Europa sia in grado di assorbire e integrare ampi movimenti di rifugiati invita anche a ripensare e ad abbandonare i discutibili accordi con Paesi terzi e le pratiche illegali alle frontiere volte a tenere fuori i rifugiati.

Leggi anche:  Disaiuti allo sviluppo: la bufala del "Piano Mattei"

Il ritorno dei muri e dei confini nell’Europa di oggi 

La proliferazione delle barriere anti-migranti – ben 19 quelle che delimitano tratti di confine esterni ma anche interni alla “zona Schengen”, tutte erette negli ultimi 20 anni – solleva numerose problematiche giuridiche in materia di rispetto dei diritti fondamentali: la principale è quella legata al diritto di accesso alla protezione internazionale. Anche se va riconosciuto che la Commissione Europea si è opposta alle richieste di diversi Stati membri di poter utilizzare fondi dell’Unione per la costruzione di queste barriere di confine, il suo l’operato su una delle più grandi questioni politiche che dilaniano l’Europa è stato debole o inesistente. Ma anche l’irrazionalità di alcune proposte avanzate dall’attuale Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, insieme alla visione complessiva che le sorregge, è un segno inquietante di un’involuzione del processo di costruzione del sistema comune di asilo nell’UE.

Seconda parte – Tra l’Europa e l’Italia

Il nuovo report sul diritto d’asilo presenta i risultati di un focus group realizzato nel luglio 2022 tra alcuni membri dell’associazione Unire (Unione nazionale italiana per rifugiati ed esuli) e non solo, provenienti da Afghanistan, Eritrea, Somalia, Sudan e Venezuela, che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza dell’esodo e che attualmente vivono in Italia. Questi rifugiati individuano alcune criticità trasversali (fra cui l’atteggiamento assunto da numerosi governi europei che si oppongono ai sistemi di ricollocazione dei rifugiati, il comportamento opposto con cui è stato accolto il massiccio esodo dall’Ucraina, l’approccio eurocentrico dei media e la necessità di garantire pari accesso su vie sicure e legali alle persone in fuga dai conflitti). E portano all’attenzione del pubblico e delle istituzioni alcune proposte di advocacy per riformare le politiche in materia di asilo che a oggi sembrano problematiche e inique.

Vietato l’ingresso ai minori senza genitori! I casi del Niger e dell’Ucraina 

I minori non accompagnati dai genitori sono uno dei gruppi di rifugiati più vulnerabili in assoluto e così, a livello internazionale e nazionale, sono previste norme e procedure stringenti a loro tutela. Talvolta, tuttavia, il modo in cui tali norme e procedure vengono concretamente applicate produce dei paradossi: vi sono situazioni in cui, di fatto, i minori non accompagnati si trovano a subire trattamenti deteriori rispetto agli adulti e ai minori che vivono con la propria famiglia. È il caso dei non accompagnati rifugiati in Niger, che sono esclusi dai corridoi umanitari verso l’Italia e dagli altri canali legali, nei quali vengono inseriti solo adulti e nuclei familiari. In modo analogo, molti minori ospiti di istituti o case famiglia sono rimasti bloccati in Ucraina, dopo lo scoppio della guerra, a causa di ostacoli burocratici che ne impedivano l’evacuazione, nonostante la grande disponibilità all’accoglienza da parte di famiglie e associazioni italiane.

Rotte migratorie verso e dall’Albania: le condizioni dei migranti e richiedenti asilo in transito 

Un approfondimento sulle migrazioni irregolari e sui richiedenti asilo in transito lungo la rotta albanese. Si tratta di un caso emblematico perché, in seguito alle recenti trasformazioni della rotta dei Balcani occidentali, il Paese, tradizionalmente riconosciuto come realtà di emigrazione, è diventato per un numero significativo di migranti un Paese di transito, e col fenomeno di esternalizzazione delle politiche migratorie da parte dell’UE tende a diventare un luogo di contenimento. L’Albania, infatti, è stato il primo Paese dei Balcani occidentali ad avere siglato nel 2018 un accordo con Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) per il coordinamento delle attività di contrasto all’immigrazione irregolare, la criminalità e il traffico degli esseri umani.

Leggi anche:  Migranti, Smeriglio (Avs): "La Ue tratta i bambini come criminali, il nuovo Patto è una vergogna"

Terza parte – Guardando all’Italia

L’anno che sta per concludersi sarà ricordato come quello in cui sono definitivamente esplose tutte le contraddizioni e i nodi irrisolti che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro sistema di accoglienza. Ne emergono, in sintesi, una precisa “tensione politica” e una lampante inerzia organizzativa: l’esito è una costante e crescente precarizzazione del diritto all’accoglienza e con essa dello stesso diritto d’asilo. Il 2022 ha visto infatti, nel primo semestre e in particolare dalla fine di febbraio, il sistema nazionale scomporsi e frammentarsi al cospetto della più grande emergenza immigratoria della sua storia ventennale: il flusso dei rifugiati ucraini in fuga dalla guerra. La contraddizione aperta dal cosiddetto “sistema binario” si è aggravata mostrando il proliferare di sottosistemi dedicati, delineando un quadro preoccupante in termini di mancata equità e un sistema inaccessibile al migrante senza mediazione. Vale la pena, dunque, di riprendere in mano il documento Il sistema che ancora non c’è, nel quale quest’anno la rete Europasilo ha elaborato sei proposte per una possibile, necessaria riforma.

Non c’è integrazione senza legami. Un approccio interculturale alla coesione sociale 

Dalle ricerche condotte in diversi contesti emerge che non è solo importante favorire in modo generale la coesione sociale e il contatto interculturale, ma è anche necessario che le relazioni intergruppi tra comunità ospitante e rifugiati siano oggetto di politiche mirate. In questa direzione va anche l’approccio della cosiddetta “community-based protection”, in particolare nell’accezione secondo cui anche la comunità ospitante (oltre agli stessi rifugiati) dovrebbe essere subito inclusa nella definizione delle priorità e nella programmazione degli interventi. Sulla base di questi spunti, il terzultimo contributo del rapporto Migrantes presenta diverse esperienze di costruzione di legami tra rifugiati e “autoctoni” che si stanno diffondendo in numerosi Paesi europei, concludendo che la coesione sociale e l’accoglienza diffusa sono sicuramente fattori facilitanti ma non di per sé sufficienti a garantire una positiva integrazione.

Le navi quarantena tra necessità e limiti alla libertà  Dall’esperienza delle “navi quarantena” utilizzate per la sorveglianza sanitaria dei migranti arrivati via mare fra la primavera del 2020 e quella del 2022, è emerso un quadro discutibile sul quale il sipario si è chiuso con una visione desolante. Oltre alle difficoltà per l’accesso all’assistenza medica e legale, ciò che fa più riflettere è l’aver condotto su queste navi, senza basi giuridiche, anche centinaia di cittadini stranieri risultati positivi al Covid-19 che si trovavano già in centri di accoglienza sul territorio.  Allo stesso tempo, questa misura ha ostacolato in maniera sostanziale le procedure di accesso al diritto di asilo frammentandole e, di conseguenza, portando a provvedimenti di espulsione dei richiedenti una volta scesi dalle navi”.

Questo è il quadro veritiero di un fenomeno che riguarda milioni di persone. Esseri umani, e non materiale residuale di cui sbarazzarsi in ogni modo. 

Native

Articoli correlati