Iran, cartucce italiane per sparare contro la protesta popolare
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Iran, cartucce italiane per sparare contro la protesta popolare

Cartucce per le armi che hanno colpito al seno, negli organi genitali, le donne manifestanti. Ieri l’Egitto di al-Sisi. E Myaanmar. E Siria. Oggi gli ayatollah iraniani. Cartucce insanguinate.

Iran, cartucce italiane per sparare contro la protesta popolare
Proteste in Iran
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Dicembre 2022 - 18.00


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Cartucce italiane per la repressione della protesta popolare in Iran. Cartucce per le armi che hanno colpito al seno, negli organi genitali, le donne manifestanti. Ieri l’Egitto di al-Sisi. E Myaanmar. E Siria. Oggi gli ayatollah iraniani. Cartucce insanguinate.

La denuncia

“Riteniamo altamente problematico il fatto che sia stato concesso il permesso alla Cheddite S.r.l. di esportare cartucce o polvere da sparo verso la Turchia, Paese che può averle vendute all’Iran. Tale genere di materiali, infatti, può essere utilizzato non solo per il munizionamento di tipo comune, sportivo o da caccia, ma anche per l’utilizzo da parte di corpi di sicurezza”. Lo hanno scritto oggi cinque associazioni della società civile italiana in risposta alla lettera di chiarimenti che il Ministro plenipotenziario Alberto Cutillo, Direttore Autorità nazionale – UAMA, ha inviato loro il 9 dicembre. La letterarispondeva a una richiesta di chiarimenti delle associazionidopo che in novembre è emerso l’ennesimo coinvolgimento, seppur indiretto, della ditta italo francese Cheddite di Livorno le cui cartucce sono state ritrovate in Irannei luoghi delle manifestazioni iniziate dopo la morte di Masha Amini. Amnesty International Italia, Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, Italia-Birmania Insieme, Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) e Rete Italiana Pace e Disarmo avevano già chiesto chiarimenti in merito alle attività della Cheddite nel 2021, quando era emerso l’utilizzo di cartucce col marchio dell’azienda in Myanmare dopo che tale utilizzo era già stato segnalato precedentemente in Siria.

Nella sua lettera di chiarimenti UAMA, che sulla vicenda ha interpellato l’azienda, spiegava che “solo i bossoli prodotti e marchiati Cheddite possono essere stati venduti ad aziende iraniane e da quest’ultime utilizzate per la produzione di cartucce complete”, ma proprio per questo, sostengono le cinque associazioni nella replica a UAMA, “alla luce del comprovato uso non necessario e sproporzionato della forza” si ritiene che “nessuna licenza di esportazione dovrebbe essere concessa per ogni tipo di materiale che potrebbe esser utilizzato per la repressione interna o per comporre munizionamento destinato a Paesi terzi. Risulta infine difficile – è scritto ancora nella replica – “avvalorare la tesi portata avanti dalla Cheddite S.r.l. riguardo alla sua estraneità a qualunque fornitura, diretta o indiretta, all’Iran, alla luce dell’attuale quadro normativo nazionale che non annovera i bossoli tra i materiali soggetti a vincolo in export. Siamo di fronte – conclude la missiva a UAMA – a un grave vulnus normativo che permette ad un’azienda nazionale di esportare parti essenziali di una munizione a paesi vietati e regimi repressivi”.

Le associazioni ribadiscono pertanto l’urgenza per le autorità italiane di contrastare immediatamente ogni possibile forma di esportazione di armamenti utilizzati per reprimere illegalmente il dissenso in Paesi terzi”, che vi sia “un’integrazione in sede di Regolamento di attuazione, al fine di evitare che episodi gravissimi, come quelli riguardanti l’impresa Cheddite, possano ripetersi” e “un monitoraggio più stringente sull’attuazione del blocco delle esportazioni di armamenti e munizioni previste dalla legislazione italiana e dalle misure restrittive europee”.

Il Medio Oriente, l’eldorado per l’export militare italiano

E’ ciò che si evince dai numeri dell’export militare italiano per il 2021: massimo di esportazioni effettive.

A darne conto, con il consueto rigore analitico, è Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd), sulla base della “nuova e corretta” versione della Relazione annuale del Parlamento sull’export di armamenti.

“Dai dati riportati nella seconda versione della Relazione governativa – rimarca il report di Ripd – si evince he nel 2021, anno ampiamente segnato dalla pandemia per Covid-19, le aziende militari italiane hanno lavorato a pieno ritmo esportando nel mondo armamenti per controvalore che costituisce un record storico: quasi 4,8 miliardi di euro. Tra i maggiori destinatari di sistemi militari “made in Italy” figurano Qatar (958.849.653 euro), Kuwait (875.393.504 euro), Egitto (773.289.163 euro), Turkmenistan(378.470.352 euro) tutti Paesi che, come noto, non primeggiano certo per alti livelli di democrazia e di rispetto dei diritti umani. Scorrendo il lungo elenco, dopo Regno Unito (233.466.565 euro), Stati Uniti (223.451.692 euro), Francia (148.001.753 euro) troviamo inoltre l’Arabia Saudita (135.844.327 euro) e Emirati Arabi Uniti (122.460.394 euro) di poco preceduti dalla Germania (128.755.982 euro) e subito seguiti dal Pakistan (87.774.972 euro). 

Rimangono alte le nuove autorizzazioni all’export: i principali destinatari

La nuove autorizzazioni individuali mostrano un leggero calo passando dai 3.927.988.408 euro del 2020 ai 3.648.843.633 euro dell’anno scorso, calo che è compensato da “licenze globali” di progetto e varia autorizzazioni di trasferimento che riguardano soprattutto progetti militari congiunti fra Paesi dell’Unione europea e della Nato: ai 3.648.843.633 di euro di “autorizzazioni individuali” (cioè per singole licenze di esportazione) vanno infatti sommati i 1.012.348.699 euro di “licenze globali” e “licenze generali” e “intermediazioni” che rappresentano per le aziende uno strumento di semplificazione delle procedure: il totale definitivo delle autorizzazioni rilasciate nel 2021 è dunque di 4.661.192.334 euro, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (4.647.446.532 euro). Da notare come il valore delle non precisamente definite “intermediazioni” raggiunge la ragguardevole cifra di 90 milioni di euro, anche se non raggiunge i livelli enormi (quasi mezzo miliardo) toccati in qualche caso negli anni più recenti.

Sul calo delle licenze individuali ha influito anche la diminuzione degli ordinativi soprattutto dei Paesi extra-UE che, con limitate risorse, hanno dovuto fronteggiare la pandemia da Covid-19. Anche per questo, per la prima volta negli ultimi sei anni, il valore delle autorizzazioni individuali all’esportazione verso i Paesi Ue e Nato supera quello dei Paesi esterni alle due alleanze politiche e militari dell’Italia: si tratta di 1,9 miliardi di euro (pari al 52,1%) a fronte di 1,7 miliardi (il 47,9%) rilasciati ai Paesi extra Ue-Nato. 

Da sottolineare come anche quest’anno il primo destinatario delle nuove licenze per armamenti italiani è un paese del Medio Oriente, il Qatar, che con oltre 813 milioni di euro supera ampiamente Stati Uniti (763 milioni), Francia (306 milioni) e Germania (263 milioni). Tra i principali acquirenti figurano anche Pakistan(204 milioni), Filippine (99 milioni), Brasile (73 milioni), India (60 milioni), Emirati Arabi Uniti (56 milioni), Malaysia (48 milioni), Arabia Saudita(47 milioni) e l’immancabile Egitto (35 milioni) – che era stato il primo destinatario nei due anni precedenti – i cui corpi di polizia e enti governativi continuano ad essere riforniti dall’Italia di “armi leggere” tra cui pistole e fucili automatici. Più di 970 milioni di euro di licenze di esportazione (pari al 26,6%) riguarda l’Africa settentrionale e il Medio Oriente: un dato preoccupante considerato che quest’area costituisce una delle zone di maggior tensione del mondo. Una zona in cui il Governo Draghi, come i suoi predecessori, ha dunque continuato a inviare armamenti con il beneplacito del Parlamento che raramente ha sollevato obiezioni. 

In totale gli Stati del mondo verso cui sono state autorizzate nel 2021 vendite di armamenti italiane sono stati ben 92”.

Fin qui il rapporto di Ripd.

Caso Regeni, l’intreccio del commercio di armi tra Europa ed Egitto

E’ il titolo del report pubblicato da Voci globali (Traduzione a cura di Valentina Gruarin dell’articolo originale di Elisabetta Brighi pubblicato su openDemocracy)

“ Nel 2019, l’Egitto è diventato ufficialmente il primo cliente delle esportazioni belliche italiane.È rimasto l’acquirente numero uno dell’Italia anche nel 2020, con un volume di trasferimenti autorizzati che è aumentato esponenzialmente tra il 2016 e il 2020: da 7 milioni di euro nel 2016 a 60 milioni nel 2017, 800 milioni nel 2019 e quasi 1 miliardo di euro nel 2020.

Questa crescita vertiginosa è dovuta non solo alla quantità di armi vendute dal Paese, ma al tipo di armi oggetto della compravendita. La tendenza al rialzo è iniziata nel 2015, sotto il Governo di Matteo Renzi, caratterizzata da un aumento significativo dell’esportazione di armi leggere, di piccolo calibro e di software di sorveglianza. Ciò costituisce una trasgressione alle normative italiane che vietano il trasferimento di armi a Paesi che violano i diritti umani o sono impegnati in conflitti.

Ma il flusso delle esportazioni belliche ha cambiato significativamente marcia nel 2019, quando Italia ed Egitto hanno stretto un accordo – storico per entrambi i Paesi – per la vendita di sistemi d’arma complessi. Oltre alle due fregate già consegnate, l’accordo prevede la fornitura di altre quattro fregate, 24 jet Eurofighter, un satellite militare e 24 velivoli da combattimento leggeri. La maggior parte di questo equipaggiamento sarebbe prodotto da aziende che sono, almeno in parte, di proprietà dello Stato italiano, come Fincantieri.

Il sostegno dell’Europa ai dittatori

Nel periodo tra il 2016 e il 2020 proprio mentre la repressione del regime di al-Sisi si inaspriva in seguito all’assassinio di Giulio Regeni, la cooperazione militare tra l’Egitto e i suoi partner europei si è intensificata drasticamente. La lotta al terrorismo islamico – un mantra molto amato su entrambe le sponde del Mediterraneo – è servita come pretesto ideale per un processo di riarmo di cui hanno beneficiato soprattutto gli appaltatori privati della Difesa e le élite governative, sia in Egitto che in Europa.

Inoltre, queste compravendite di armi, spesso finanziate da prestiti concessi da Paesi esportatori di materiale bellico, si sono rivelate strumentali nel creare una maggiore interdipendenza, anche finanziaria, tra le due sponde del Mediterraneo, tanto che ora i Governi europei hanno un interesse diretto nella sopravvivenza del regime di al-Sisi.

Dieci anni dopo le Primavere arabe, l’Europa, nonostante il suo iniziale sostegno alle lotte e alle richieste di giustizia sociale manifestate dalle proteste di massa, sembra aver riscoperto il suo amore per i dittatori.Il cinico approccio europeo è stato spesso giustificato in termini di convenienza, per cui l’Europa ha posto gli interessi particolari al di sopra dei valori sociali: una dicotomia che si rivela falsa da più punti di vista.

In primo luogo, come hanno dimostrato le rivolte arabe, non si raggiungerà la stabilità né tantomeno una sicurezza a lungo termine senza giustizia sociale, il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e un’idea di democrazia. Gli “interessi nazionali” non sembrano in linea con il tanto decantato sostegno alla stabilità e alla sicurezza.

Sembra ovvio che nel caso della cooperazione militare con l’Egitto, gli interessi nazionali siano equiparati agli interessi dell’industria della Difesa e delle élite governative, su entrambe le sponde del Mediterraneo. Questi difficilmente rappresentano gli interessi delle nazioni coinvolte che finiscono spesso per essere vittime di tali politiche.

In terzo luogo, la credibilità dell’Europa sta diminuendo sensibilmente nella regione che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che, come ha affermato recentemente un avvocato egiziano per i diritti umani, i Governi europei “si stanno comportando come nemici della democrazia“, anziché come Stati democratici desiderosi di aiutare altri Paesi nella transizione verso la democrazia.

Il danno di reputazione all’estero è considerevole, ma lo è anche il pericolo che, a causa di un effetto boomerang, i principi democratici si indeboliscano anche in Europa – un processo che, di fatto, sta già avvenendo.

A questo proposito, un vecchio detto afferma: “La verità ha molti nemici, le bugie hanno molti amici”. La verità su quello che è successo a Giulio Regeni è estremamente scomoda, sia per il Governo egiziano, ma anche per i Governi europei – specialmente per lo Stato italiano, la cui strategia per assicurare che l’Egitto si assuma la responsabilità dell’omicidio di Regeni è finora miseramente fallita”.

L’articolo è dello scorso anno. Ma sempre scritto oggi. Perché, un anno dopo, nulla è cambiato nella scellerata politica dell’Europa verso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Si continuano a vendere armi a regimi dittatoriali. L’Europa continua a genuflettersi ai piedi degli al-Sisi, degli Erdogan, degli autocrati che popolano il Medio Oriente reprimendo nel sangue ogni protesta popolare, uccidendo, torturando, facendo sparire chiunque – attivisti dei diritti umani, blogger, avvocati, giornalisti etc. – che osano rivendicare libertà, riforme, diritti. E spesso questa brutale repressione viene esercitata con armi vendute agli aguzzini dalla “civile” Europa. E dall’Italia. L’Iran ne è l’ultima, tragica riprova.

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