Yemen, l’infinita mattanza di bambini e una guerra per procura colpevolmente ignorata
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Yemen, l’infinita mattanza di bambini e una guerra per procura colpevolmente ignorata

Secondo l'Unicef, più di 11.000 bambini sono stati uccisi o mutilati a causa del conflitto in Yemen – una media di quattro al giorno dall'escalation del conflitto nel 2015.

Yemen, l’infinita mattanza di bambini e una guerra per procura colpevolmente ignorata
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12 Dicembre 2022 - 17.56


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Secondo l’Unicef, più di 11.000 bambini sono stati uccisi o mutilati a causa del conflitto in Yemen – una media di quattro al giorno dall’escalation del conflitto nel 2015. Poiché questi sono solo i casi verificati dalle Nazioni Unite, è probabile che il verobilancio di questo conflitto sia molto più alto. 

Tra il marzo 2015 e il 30 settembre 2022: 3.774 bambini sono stati uccisi (2.742 maschi; 983 femmine; 49 il cui sesso è sconosciuto) e 7.245 bambini feriti (5.299 maschi; 1.946 femmine); 3.904 ragazzi sono stati reclutati nei combattimenti e 91 ragazze hanno preso parte alle azioni o ai posti di blocco; ci sono stati 672 attacchi a strutture scolastiche e o il loro utilizzo per fini militari e 228 attacchi/uso militare di strutture sanitarie; 445 bambini (tutti maschi) sono stati detenuti; 152 bambini sono stati rapiti (140 maschi e 12 femmine); 47 bambini sono stati esposti a violenza sessuale legata al conflitto (29 maschi e 18 femmine). 

Sebbene la tregua mediata dalle Nazioni Unite abbia portato a una significativa riduzione dell’intensità del conflitto, altri 62 bambini sono stati uccisi o feriti tra la fine della tregua all’inizio di ottobre e la fine di novembre. Almeno 74 bambini fanno parte delle 164 persone uccise o ferite da mine e ordigni inesplosi solo tra luglio e settembre 2022. 

A quasi otto anni dall’escalation del conflitto, più di 23,4 milioni di persone, tra cui 12,9 milioni di bambini, hanno bisogno di assistenza umanitaria e protezione – quasi tre quarti dell’intera popolazione. Si stima che 2,2 milioni di bambini in Yemen siano colpiti da malnutrizione acuta, tra cui quasi 540.000 bambini sotto i cinque anni che soffrono di malnutrizione acuta grave e lottano per sopravvivere. 

“Per bambini come Yasin, di 7 mesi, e sua madre Saba, a cui ho fatto visita in un ospedale ad Aden, la vita è diventata una lotta per la sopravvivenza”, afferma il Direttore generale dell’Unicef Catherine Russell, che la scorsa settimana ha lanciato l’appello dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia, per l’intervento umanitario a favore dei bambini dello Yemen. “Migliaia di bambini hanno perso la vita e altre centinaia di migliaia sono a rischio di morte per malattie prevenibili o per fame. Yasin è solo uno dei troppi bambini gravemente malnutriti in Yemen. Hanno tutti bisogno di un sostegno immediato, poiché i servizi di base sono praticamente collassati”. 

Apocalisse umanitaria

Più di 17,8 milioni di persone, tra cui 9,2 milioni di bambini, non hanno accesso a servizi idrici e igienici sicuri. Per anni, il sistema sanitario del Paese è stato estremamente fragile: solo il 50% delle strutture sanitarie è funzionante, lasciando quasi 22 milioni di persone – tra cui circa 10 milioni di bambini – senza un adeguato accesso all’assistenza sanitaria. 

La copertura vaccinale è stagnante a livello nazionale, con il 28% dei bambini sotto l’anno di età che non ha effettuato le vaccinazioni di routine. Se a ciò si aggiunge la mancanza di accesso all’acqua sicura, i bambini sono esposti a un rischio estremo a causa di regolari epidemie di colera, morbillo, difterite e altre malattie prevenibili con il vaccino. 

Allo stesso tempo, lo Yemen sta affrontando una grave crisi dell’istruzione, che comporta enormi conseguenze a lungo termine per i bambini. Due milioni di bambini non vanno a scuola, e questo numero potrebbe salire a 6 milioni di bambini che vedono interrotta la loro istruzione, dato che almeno una scuola su quattro nello Yemen è distrutta o parzialmente danneggiata. 

“Se i bambini dello Yemen devono avere una qualche possibilità di avere un futuro dignitoso, le parti in conflitto, la comunità internazionale e tutti coloro che esercitano influenza sugli stessi devono assicurarsi che siano protetti e sostenuti”, sottolinea Russell. “Fra questi, bambini come Mansour, che ho incontrato in un centro di riabilitazione e protesi sostenuto dall’Unicef. La sua gamba è stata amputata al ginocchio dopo essere stato colpito da un cecchino. Nessun bambino dovrebbe soffrire questo. Il rinnovo urgente della tregua sarebbe un primo passo positivo che consentirebbe un accesso umanitario fondamentale. In definitiva, solo una pace duratura permetterà alle famiglie di ricostruire le loro vite distrutte e di iniziare a pianificare il futuro”. 

L’Unicef ha urgentemente bisogno di 484,4 milioni di dollari per rispondere alla crisi umanitaria in Yemen nel 2023. La mancanza di finanziamenti prevedibili per le sfide legate agli interventi urgenti mette a rischio la continuità dei servizi chiave, mettendo a repentaglio la vita e il benessere dei bambini.  

Sette anni di conflitto: gli attori regionali

A delineare il quadro è un dettagliato report di Eleonora Ardemagni per Ispi, uno dei più autorevoli think tank europei di geopolitica. 

“Dopo il 2015 il crescente ruolo degli attori regionali ha trasformato il conflitto, aggiungendo un ulteriore livello di scontro. Dunque, per risolvere la guerra è necessario anche il coinvolgimento delle potenze mediorientali, ma non basta: i gruppi yemeniti hanno agende politiche interne e, in diversi casi, rimangono assai autonomi dagli sponsor esterni, come nel caso degli houthi. 

Arabia Saudita: Riyadh credeva, nel 2015, che l’intervento militare in Yemen sarebbe stato una “guerra lampo”. Invece, i sauditi non sono riusciti a ottenere una vittoria militare, nonostante la superiorità strategica rispetto agli houthi. In più, dopo il 2015 gli houthi hanno rafforzato i legami politico-militari con l’Iran e avviato una snervante campagna asimmetrica, con missili e droni, contro il territorio saudita: la sicurezza nazionale del regno è oggi più a rischio che nel 2015. Riyadh sta cercando una via d’uscita politica dal conflitto, ma l’estrema debolezza del governo riconosciuto offre prospettive cupe. Nel novembre 2021 i militari sauditi si sono ritirati da alcune postazioni strategiche nel sud (base di Burayqah ad Aden; l’aeroporto di Ataq in Shabwa; ritiro dalle basi in al-Mahra e ridispiegamento ad al-Ghayda). Fintanto che gli houthi saranno una minaccia per il confine saudita e le regioni meridionali del regno (Jizan, Asir, Najran), i sauditi saranno obbligati a mantenere una presenza militare in Yemen, anche al di là dell’eventuale cessazione dei bombardamenti.

Iran: grazie all’alleanza con Ansar Allah (gli houthi), Teheran è riuscita a guadagnare un significativo spazio strategico in Yemen (accesso al Mar Rosso tramite la presenza houthi nel porto di Hodeida), con ridotti investimenti finanziari e militari. Gli iraniani non sono in grado di condizionare le scelte politiche di Ansar Allah, che rimane l’anello più esterno della galassia delle milizie transnazionali sciite pro-Iran. La differenza dottrinale fra houthi (sciiti zaiditi) e iraniani (sciiti duodecimani), nonché la differenza fra agenda locale (houthi) e agenda transnazionale volta all’esportazione della rivoluzione islamica (Iran), vanno tenute in considerazione. Tuttavia, entrambi gli attori sono stati fin qui abili nell’utilizzare l’alleanza come strumento di rafforzamento e legittimazione reciproca, in chiave anti-saudita. Al momento, gli iraniani possono contare su un alleato stabile nello Yemen nordoccidentale.

Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi è riuscita a costruire uno spazio di influenza geostrategica lungo le coste meridionali e le isole dello Yemen, partendo da zero e riducendo il potere dei sauditi nell’area. Ciò è stato possibile grazie all’impegno militare, soprattutto di terra, delle forze armate emiratine, nonché all’organizzazione e addestramento di milizie yemenite (soprattutto nel sud e nell’ovest costiero) dalle simpatie secessioniste. La fitta rete di alleanze locali forgiata dagli Eau ha permesso al paese di ritirarsi ufficialmente dallo Yemen nel 2019 (quando i costi, anche d’immagine, della presenza emiratinaerano diventati più alti dei benefici), pur mantenendo intatta la propria influenza nel paese, specie nelle aree portuali e costiere.

Oman: Muscat continua a giocare il ruolo del mediatore informale nella crisi yemenita, come nell’intero scenario mediorientale. In più occasioni, il sultanato ha ospitato colloqui riservati fra sauditi, statunitensi, Nazioni Unite e houthi. Nel 2021 la diplomazia dell’Oman si è fatta però inusualmente più visibile: una delegazione capeggiata dal ministro degli Esteri ha persino visitato Sana’a e i vertici di Ansar Allah. L’attivismo del sultanato si spiega, oltreché con il nuovo corso del sultano Haitham bin Tariq al-Said (succeduto a Qaboos nel 2020), con la necessità di contenere l’espansionismo emiratino e saudita nel governatorato yemenita di al-Mahra, proprio al confine (permeabile) con l’Oman. Infatti, Mahra e il Dhofar omanita ospitano tribù legate per lignaggio, dialetto ed economia informale; un’area della quale gli omaniti sono sempre stati, finora, i registi indiscussi, prima che arrivassero emiratini e sauditi.

Qatar: Doha ha partecipato alla Coalizione a guida saudita, ma ne è stata espulsa nel 2017, quando Riyadh ruppe le relazioni diplomatiche con l’emirato. In Yemen l’influenza dei qatarini è meno spiccata che in altri paesi. Tuttavia, il Qatar ha rapporti con entrambe le parti in conflitto. Doha mediò la tregua fra governo e insorti houthi nel 2010 mantenendo, da allora, un canale di comunicazione con Ansar Allah; inoltre, l’emirato sostiene il partito Islah, specialmente la componente, anche tribale, legata alla Fratellanza musulmana.

Turchia: dal 2020 le voci sul ruolo di Ankara in Yemen si sono intensificate ma non vi sono tuttavia certezze, a parte la penetrazione geostrategica della Turchia nel vicino Corno d’Africa-Golfo di Aden. Il sostegno dei turchi alla Fratellanza musulmana rende verosimili i report sull’appoggio della Turchia al partito Islah, incluso l’invio di combattenti siriani nelle fila delle forze filo-governative. In particolare, la Turchia sarebbe attiva nel governatorato di Shabwa e avrebbe investito nella riattivazione del porto di Qena, sul Mar Arabico, anche per contrastare il predominio emiratino nell’area.

Israele: dal 2020 le autorità israeliane studiano con crescente preoccupazione le mosse degli houthi tra nord dello Yemen e Mar Rosso. Ansar Allah ha sempre manifestato ostilità verso la comunità ebraica yemenita (ormai minuscola), attaccando ebrei, sinagoghe e librerie storiche; “maledizione sugli ebrei” è parte dello slogan che gli houthi sono soliti scandire. Le capacità missilistiche di Ansar Allah (raffinate dagli iraniani) destano inquietudine a Tel Aviv, anche perché gli houthi hanno moltiplicato le minacce verbali contro Israele. Nel 2021 Tel Aviv ha dispiegato Iron Dome (sistema antimissilistico) a protezione della città di Eilat (Golfo di Aqaba); nel gennaio 2022 gli houthihanno sequestrato una nave emiratina (con carico “civile” per gli Eau; “militare” per gli houthi) a largo di Hodeida: Ansar Allah ha affermato che il gesto è un avvertimento per Israele. Nel Mar Rosso le prime esercitazioni navali congiunte fra Eau-Israele-Bahrein e Stati Uniti (novembre 2021) e le tensioni marittime fra Israele e Iran sono il contesto in cui l’antagonismo fra houthi e Israele sta crescendo, con prospettive da non sottovalutare.

Sette anni di conflitto: gli attori internazionali

Stati Uniti: l’interesse principale degli statunitensi in Yemen rimane il contrasto alle formazioni jihadiste, Aqap in primis. Come dichiarato dalla National Intelligence Usa nel 2021, il gruppo jihadista dello Yemen è considerato ai primi posti fra le minacce alla sicurezza nazionale americana: lo confermano le campagne di bombardamento con i droni, in corso dal 2002. Dal 2015 Washington ha appoggiato l’intervento della Coalizione saudita contro gli houthi, fornendo appoggio logistico e d’intelligence; nel 2021 il presidente Joe Biden ha nominato un inviato speciale per lo Yemen e ha annunciato la fine del sostegno americano alle operazioni offensive nel paese, a esclusione di quelle contro Aqap. Sebbene gli Stati Uniti abbiano provato a slegare il dossier Yemen dal nodo irrisolto dei rapporti con l’Iran, le due partite rimangono intrecciate e, dunque, diplomaticamente bloccate.

Unione europea: il ruolo dell’UE in Yemen si è finora caratterizzato per l’accento su diplomazia umanitaria e aiuti allo sviluppo. Tra i paesi europei, la diplomazia della Gran Bretagna è la più attiva, anche in virtù degli storici legami con il sud e il ritorno “a est di Suez”, con epicentro il Golfo, nell’era post-Brexit. Danimarca, Germania, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia e Italia partecipano dal 2019 alla missione civile di monitoraggio del cessate il fuoco a Hodeida (United Mission to support the Hodeidah Agreement, Unmha). Data la crescente interdipendenza fra le dinamiche del Mar Rosso-Bab el-Mandeb e quelle del Mar Mediterraneo, lo Yemen può essere considerato il “confine sud” dello spazio d’interesse europeo (come il Sahel lo è, analogamente, per le dinamiche nordafricane e libiche).

Russia: sin dal 2015 Mosca ha mantenuto rapporti con tutti gli attori yemeniti. Infatti, la Russia riconosce la presidenza Hadi e il governo rilocato ad Aden, ma ha contatti con gli houthi. Nell’aprile 2015 i russi si astennero sulla Risoluzione Onu n. 2216 chiedendo che tutte le parti in conflitto, non solo gli insorti sciiti, dichiarassero il cessate il fuoco; inoltre, i russi mantennero l’ambasciata nella Sana’a occupata fino a fine 2017. Mosca ha buone relazioni anche con i secessionisti del Stc (ricevuti nella capitale russa nel febbraio 2021) e con il gruppo di Tareq Saleh, che ha incontrato l’ambasciatore russo in Yemen. Da una prospettiva geopolitica, la Russia ha buoni rapporti con tutti gli attori regionali coinvolti nel paese: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran. E può vantare legami storici con lo Yemen, che ospitò una base militare sovietica (ad Aden) negli anni della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Pcry). Oggi che il quadrante del Mar Rosso-Corno d’Africa torna centrale anche per la Russia, Mosca può giocare numerose carte diplomatiche e strategiche in (e attraverso) lo Yemen.

Cina: anche Pechino, come Mosca, ha mantenuto una posizione d’equilibrio fra le parti in conflitto, pur reiterando la necessità di preservare la sovranità dello Yemen. Allo stesso modo, i cinesi possono far leva sui rapporti politico-economici con Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi. Per Pechino, ancor di più che per Mosca, la stabilità dello Yemen è cruciale. Intorno alle coste e ai porti yemeniti (per la gran parte controllati da milizie, non dalle forze regolari), passa la Via della Seta marittima, dunque gli interessi economico-commerciali della Cina fra Oceano Indiano, Mar Rosso e Mediterraneo: non a caso Gibuti, di fronte allo Yemen, ospita la prima base militare cinese all’estero. Da non dimenticare poi che l’ormai scarso petrolio estratto in Yemen ha come prima meta la Cina: nel 2019 l’export petrolifero yemenita è salito del 40% rispetto al 2018 (55.000 barili di greggio esportati al giorno), greggio destinato soprattutto alla Cina (29.000 barili in media al giorno dal 2016, estratti in Hadhramaut e in partenza dal terminal di Ash Shihr)”.

Questi gli attori esterni di una interminabile, devastante, guerra per procura. Gli undicimila bambini uccisi o mutilati ne sono le vittime innocenti. 

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