I coloni marciano, i soldati muoiono: così Israele riflette sul prezzo dell'occupazione
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I coloni marciano, i soldati muoiono: così Israele riflette sul prezzo dell'occupazione

Le Forze di Difesa israeliane spesso fungono da servizio di sicurezza privato per le marce dei coloni e altri eventi

I coloni marciano, i soldati muoiono: così Israele riflette sul prezzo dell'occupazione
Militari israeliani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Ottobre 2022 - 17.36


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I coloni marciano, i soldati muoiono. E’ uno dei frutti avvelenati dell’occupazione israeliana della Cisgiordania.

A darne conto è un editoriale di Haaretz.

“Il capo del Consiglio regionale della Samaria, Yossi Dagan, è un esempio estremo ma rappresentativo della visione distorta del mondo dei coloni e del pericolo che essi rappresentano per le forze di sicurezza e per tutti gli israeliani. Martedì scorso, all’indomani della morte del sergente maggiore Ido Baruch, Dagan si è lamentato in un’intervista al canale televisivo pubblico Kan 11: “Ho implorato ogni giorno che chiudessero i posti di blocco, raccogliessero le armi e agissero contro l’Autorità palestinese“.


Dagan stava rispondendo al fatto che Baruch è stato ucciso mentre prestava servizio di guardia vicino all’ingresso posteriore dell’insediamento di Shavei Shomron. Secondo lui, è meglio imprigionare i palestinesi in modo che i coloni possano muoversi liberamente. Ma la vera chutzpah di Dagan sta nel fatto che il posto di guardia dove Baruch è stato colpito è occupato solo sporadicamente. Il motivo per cui era presente quel giorno era la grande marcia dei coloni nella zona. In altre parole, il sergente maggiore Baruch è stato ucciso per permettere ai coloni di organizzare una marcia dimostrativa nei territori occupati.


Non è la prima volta che le Forze di Difesa israeliane fungono da servizio di sicurezza privato per le marce dei coloni e altri eventi. Due settimane fa, un soldato è stato leggermente ferito da spari palestinesi nei pressi di Hawara, a sud di Nablus, mentre sorvegliava una manifestazione di coloni organizzata da Dagan e compagnia per protestare contro la situazione della sicurezza sulle strade della Cisgiordania. L’apice della follia si è verificato mezzo anno fa, durante una marcia dei coloni verso l’avamposto di Homesh. La giornalista di Haaretz Hagar Shezaf ha riferito all’epoca che “le decine di autobus radunati vicino all’insediamento di Shavei Shomron sembravano in attesa di portare i loro passeggeri in una gita di un giorno in famiglia. Invece, i genitori e i bambini che si sono accalcati sui veicoli hanno attraversato il posto di blocco militare sulla Route 60 per dirigersi verso l’avamposto di Homesh”. Durante questa marcia, chi ha pagato il prezzo è stato il palestinese. Per consentirne lo svolgimento, l’esercito ha bloccato per ore l’ingresso al villaggio di Bizariya, “altri quattro villaggi palestinesi lungo la Statale 60 sono stati bloccati con cumuli di terra e la circolazione dei palestinesi sulla Statale 60 è stata vietata”. Questa è l’incarnazione di una situazione distorta. Per proteggere i coloni che vivono nei territori occupati e che vogliono celebrare pubblicamente le ingiustizie che perpetrano, Israele invia i soldati a proteggere i trasgressori della legge, opprimendo al contempo i palestinesi. Il risultato è che i palestinesi attaccano i soldati, ma alla fine chi si lamenta è Dagan.

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L’esercito non dovrebbe sorvegliare le marce dei coloni – non in tempi ordinari, e certamente non in tempi di tensione, quando gli attacchi terroristici avvengono quasi ogni giorno. Invece di collaborare a questa assurdità, il Ministro della Difesa Benny Gantz farebbe meglio a ordinare al Capo di Stato Maggiore dell’Idf Aviv Kochavi di porre fine a questo pericoloso rituale, anche a costo di scontrarsi con la leadership dei coloni”.
Così Haaretz.

Homesh, avamposto della colonizzazione

Così ne scrive Gideon Levy, icona vivente del giornalismo israeliano, firma storica del quotidiano progressista di Tel Aviv.


“Il crimine è Homesh, l’uccisione di Yehuda Dimentman è la punizione. La maggior parte degli israeliani la vede diversamente, perché questo è ciò che viene detto loro: Un bel giorno uno studente di yeshiva viene ucciso senza alcuna colpa, solo perché era un ebreo e i suoi sanguinari assassini sono nati per uccidere. I palestinesi sono sempre nel ruolo dei cattivi; gli ebrei sono sempre le vittime. È una versione confortante, ma non ha alcun legame con la realtà. Se c’è un posto in Cisgiordania in cui un attacco non è stato sferrato dal nulla, senza motivo o contesto, Homesh è quel posto. Se c’è un luogo in cui i palestinesi non hanno modo di reclamare la loro terra se non con la violenza, Homesh è quel luogo. E se c’è un luogo in cui i coloni, la destra, il governo e l’esercito stanno facendo tutto il possibile per provocare questo spargimento di sangue, Homesh è quel luogo. Il sangue di Dimentman è anche sulle loro mani.


“Perché, perché, perché?”, ha lamentato su Twitter il colono Ariel Danino di Kumi Uri. Kumi Uri è un avamposto i cui abitanti attaccano anche soldati e polizia. Ecco perché: Il governo israeliano decise di evacuare Homesh durante il disimpegno da Gaza nel 2005. Otto anni dopo, l’Alta Corte di Giustizia ha ordinato allo Stato di annullare gli ordini di appropriazione e chiusura dell’area emessi contro i palestinesi. I coloni, sostenuti dall’esercito, dal governo e dalla destra, vi stabilirono una yeshiva. Per anni abbiamo cercato di avvicinarci a Homesh diverse volte. Coloni armati e mascherati sono sempre usciti da quella pura casa della Torah e ci hanno scacciato con minacce. Il loro rabbino guardava da lontano e non interveniva. Quando siamo venuti lì dopo la sentenza dell’Alta Corte insieme ad alcuni proprietari terrieri di Burqa, non hanno osato scendere dalla loro auto. Non ho mai visto palestinesi così spaventati come questo gruppo di contadini, ai quali per 35 anni non è stato permesso di andare nella loro terra. Per un momento, c’è stata la speranza che venisse fatta tardiva giustizia, poi, quando si supponeva che avessero il permesso di tornare, non hanno osato lasciare l’auto per paura dei coloni.

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Dal marzo 2020, B’Tselem ha documentato sette aggressioni da parte di questi figli della Torah provenienti da Homesh. Hanno aggredito donne e un bambino, ferito anziani e giovani pastori e vandalizzato auto e case nel vicino villaggio palestinese di Silat al-Dhahr.


Circa quattro mesi fa hanno catturato un palestinese di 15 anni, Tareq Zubeidi, che aveva osato fare un picnic con i suoi amici vicino a questa scuola di violenza sfrenata, e lo hanno torturato. Ha raccontato che l’hanno picchiato, legato e preso a calci mentre era legato, l’hanno legato al cofano della loro auto e poi l’hanno buttato giù, dopodiché l’hanno legato per le braccia a un albero e gli hanno bruciato le piante dei piedi con un accendino. Erano usciti dalla yeshiva, a quanto pare erano amici di Dimentman.


Per tutti questi anni l’ala destra ha tenuto dimostrazioni a Homesh, con la partecipazione di ministri e deputati del governo. L’Idf non ha mosso un dito, come al solito. Dal 2013 il portavoce dell’Idf ha promesso ad Haaretz il solito servizio a parole: “L’ingresso dei palestinesi nella terra sarà deciso in base al loro legame con la proprietà”. Naturalmente, l’Idf non ha mai controllato il “legame con la proprietà” da parte dei teppisti coloni. E così non c’è più nessuno che esegua le decisioni del governo e faccia rispettare le sentenze dell’Alta Corte, né c’è nessuno che restituisca la terra agli sfortunati agricoltori di Burqa. È abbastanza per impazzire. Ai palestinesi restano due opzioni: arrendersi, come facevano i contadini di Burqa, o cercare di recuperare con la forza la loro terra e i resti della loro dignità. Questo è ciò che gli assassini di Dimentman stavano apparentemente cercando di fare,
Cosa consiglierebbe ai palestinesi? Cosa fareste voi al loro posto? Con orrore, neanche questo li aiuterà. Prossimamente: il ritorno a Homesh. Spoiler: a sud di Homesh si trova l’avamposto di Evyatar. Nove palestinesi hanno già pagato con la vita le proteste per il furto della terra. Anche lì Israele  – conclude Levy – sta superando il sistema con la creazione di una “yeshiva”. Presto un terrorista assetato di sangue cercherà di colpire i coloni anche lì; allora Israele si lamenterà, farà la vittima e piangerà sul suo amaro destino di fronte al crudele terrore palestinese”.
Lo “Stato” dei coloni

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Settecentocinquantamila abitanti. Centocinquanta insediamenti. Centodiciannove avamposti. Il 42 per cento della West Bank controllato. L’86 per cento di Gerusalemme Est “colonizzata”. Uno Stato nello Stato. Dominato da una destra militante, fortemente aggressiva, ideologicamente motivata dalla convinzione di essere espressione dei nuovi eroi di Eretz Israel, i pionieri della Grande Israele. Quella che si svela è una verità spiazzante: oggi in Terrasanta, due “Stati” esistono già: c’è lo Stato ufficiale, quello d’Israele, e lo “Stato di fatto”, consolidatosi in questi ultimi cinquant’anni: lo “Stato” dei coloni in Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank).

A dar conto delle dimensioni di questo “Stato” sono i dati di un recente rapporto di B’tselem (l’ong pacifista israeliana che monitorizza la situazione nei Territori). Lo Stato “di fatto” ha le sue leggi, non scritte, ma che scandiscono la quotidianità di oltre 750mila coloni.

Lo “Stato di Giudea e Samaria” è armato e si difende e spesso si fa giustizia da sé contro i “terroristi palestinesi” che, in questa visione manichea, coincidono con l’intera popolazione della Cisgiordania. Molti attacchi contro i palestinesi sono stati registrati nelle aree di Ramallah e Nablus (Cisgiordania occupata). In particolare, nella zona vicina agli avamposti della Valle Shiloh e in quella in prossimità degli insediamenti israeliani di Yitzhar (Nablus) e Amona (Ramallah), quest’ultimo da poco evacuato dal governo israeliano. Nel villaggio di Yasuf (governatorato di Salfit), i residenti palestinesi si sono svegliati con i pneumatici di 24 auto bucati e alcune scritte razziste in ebraico (“Morte agli arabi” tra le più diffuse) lasciate sulle loro abitazioni. Sono i cosiddetti “price-tag” (tag mechir in ebraico) ovvero gli atti di ritorsione (il “prezzo da pagare”) compiuti dagli attivisti di destra e coloni israeliani contro i palestinesi in risposta ad un attacco da parte di quest’ultimi.

Citando ufficiali della difesa,Haaretz scrive che gli attivisti di destra più estremisti sono “i giovani delle colline”, molti dei quali vivono negli avamposti illegali della Cisgiordania e il cui numero è stimato intorno alle trecento unità. Un dato interessante è che la maggior parte dei responsabili delle violenze è giovanissima (tra i quindici e i sedici anni). Nel 1997, a un anno dal primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro, c’erano circa 150.000 coloni in Cisgiordania. Due decenni dopo il numero dei coloni è vicino ai 600.000, esclusi i quartieri di Gerusalemme est oltre la Linea Verde. Questi dati non includono i coloni che vivevano negli avamposti illegali (complessivamente si superano i 750.000). 

Per difendere l’illegalità che si fa “Stato”, continuano a morire soldati israeliani, chiamati a fare da servizio di scorta dei fanatici sostenitori di “Eretz Israel”. 

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