Isarele, the settlement enterpise's land: così i coloni espropriano le terre palestinesi
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Isarele, the settlement enterpise's land: così i coloni espropriano le terre palestinesi

Secondo uno studio di Kerem Navot gli avamposti illegali con il nome di pastori hanno permesso ai coloni di prendere il controllo di circa 60.000 acri, quasi il 7% della terra classificata come Area C.

Isarele, the settlement enterpise's land: così i coloni espropriano le terre palestinesi
Pastori palestinesi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Settembre 2022 - 14.21


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Una impresa dedita all’accaparramento di terre palestinesi. Dove non arrivano le ruspe e la forza armata, ci pensano i dollari. Che all’impresa in questione non mancano. 

A spiegare cosa sia è un editoriale di Haaretz:“L’accaparramento di terre da parte dell’impresa di insediamento nell’Area C della Cisgiordania continua a pieno ritmo, sotto gli auspici dell’Amministrazione Civile e con l’aiuto dell’esercito e dei successivi governi israeliani. Ora l’agenzia sta presentando un piano che consentirebbe la legalizzazione di decine di avamposti illegali, i cosiddetti pastori. Negli ultimi anni il numero di avamposti di pastori è salito a 50, facendo guadagnare a questa forma di acquisizione da parte dei coloni il dubbio titolo di “forma più comune di avamposto di insediamento in Cisgiordania”.

Secondo uno studio di Kerem Navot, che ricerca e monitora le pratiche e le politiche israeliane di utilizzo della terra in Cisgiordania, gli avamposti illegali con il nome di pastori hanno permesso ai coloni di prendere il controllo di circa 60.000 acri, quasi il 7% della terra classificata come Area C. L’appropriazione della terra avviene con quello che potrebbe essere definito il metodo dei coloni-capra: Una capra, cioè un gregge di capre e pecore, viene portata in un’area, creando la necessità di un ampio pascolo. La maggior parte degli avamposti di pastorizia in Cisgiordania opera senza un contratto di pascolo da parte del Ministero dell’Agricoltura e solo pochi hanno ottenuto tali contratti dalla Divisione Insediamenti dell’Organizzazione Sionista Mondiale.

L’enorme vantaggio di questo metodo è che permette di controllare il massimo della terra con il minimo della manodopera dei coloni. Dopo che il metodo del saccheggio è stato stabilito e utilizzato per prendere il controllo di decine di migliaia di acri, viene introdotta la seconda fase del piano: la “regolarizzazione”. Prima si infrange la legge, poi si cambia la legge per legalizzare il saccheggio. Questa è la missione che Ze’ev Hever – capo di Amana, il braccio esecutivo del movimento di colonizzazione, che purtroppo, ma senza sorpresa, ha trovato un pubblico comprensivo nell’Amministrazione Civile – ha assunto. Il protocollo in fase di elaborazione consentirebbe di legalizzare i 30-35 avamposti agricoli esistenti che soddisfano il criterio principale: Sono situati su terreni cosiddetti statali. Se approvato, il protocollo consentirebbe la creazione di altri avamposti di questo tipo. Ancora una volta, i coloni hanno dimostrato che la criminalità ebraica nei territori paga sempre.

L’Amministrazione civile ha iniziato a formulare la bozza di regolamento circa due anni fa, sullo sfondo dell’aumento del numero di questi avamposti. La risposta giusta al crescente numero di fattorie create illegalmente sarebbe stata quella di provvedere alla loro rimozione e di intensificare l’applicazione della legge. Invece, l’agenzia si è inchinata ai padroni dei coloni e cerca di tagliare la legge per adattarla ai loro vizi. L’Amministrazione civile non può approvare da sola il nuovo protocollo. Anche il ministro della Difesa e il ministero della Giustizia devono approvarlo. Il ministro della Difesa Benny Gantz non ha ancora espresso la sua posizione. Sta aspettando che il protocollo gli venga presentato.

Si spera che riconosca che si tratta di un meccanismo di saccheggio progettato per prendere il controllo di una parte sempre maggiore dell’Area C, per impedire ai palestinesi di lavorare la loro terra e per ridurre il loro spazio vitale. Non deve prestare il fianco a un’azione che invade il territorio palestinese, in violazione degli accordi sottoscritti da Israele, e che incoraggia la criminalità dei coloni. Gantz deve respingere completamente il protocollo e ordinare l’evacuazione degli avamposti dei pastori esistenti”. Così l’editoriale. 

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Quel rapporto di Hrw

“Un rapporto pubblicato da Human Rights – scrive Michela Perathoner inviata di Unimondo in Palestina – dimostra con chiarezza la discriminazione perpetrata da Israele nei confronti della popolazione palestinese. ‘I bambini palestinesi che vivono in aree sotto controllo israeliano studiano a lume di candela, mentre vedono la luce elettrica attraverso le finestre dei coloni, dichiara a tale proposito Carroll Bogert, vice-direttore esecutivo per le relazioni esterne di Human Rights Watch. 

Il rapporto Separati ed ineguali, ultimo di una serie di documenti pubblicati dall’organizzazione per la tutela dei diritti umani sulla questione palestinese, identifica pratiche discriminatorie nei confronti dei residenti palestinesi rispetto alle politiche che vengono invece promosse per i coloni ebrei. Un sistema di leggi, regole e servizi distinto per i due gruppi che abitano la Cisgiordania: in poche parole, secondo Human Rights Watch le colonie fiorirebbero, mentre i palestinesi, sotto controllo israeliano, vivrebbero non solo separati e in maniera ineguale rispetto ai loro vicini, ma a volte anche vittime di sfratti dalle proprie terre e case. 

‘E’ assurdo affermare che privare ragazzini palestinesi dell’accesso all’istruzione, all’acqua o all’elettricità abbia qualcosa a che fare con la sicurezza’, spiega ancora Bogert. Perché il problema, come sempre, è la sicurezza, e le motivazioni indicate dal Governo israeliano qualora si parli di discriminazioni o trattamenti differenziati tra coloni e palestinesi residenti in Cisgiordania, vi vengono direttamente o indirettamente collegate.  

Il rapporto, insomma, identifica pratiche discriminatorie che non avrebbero ragione di esistere neanche in base a questo genere di motivazioni. Come denunciato da Human Rights Watch, infatti, i palestinesi verrebbero trattati tutti come dei potenziali pericoli per la sicurezza pubblica, senza distinguere tra singoli individui che potrebbero rappresentare una minaccia effettiva e le altre persone appartenenti allo stesso gruppo etnico o nazionale. Atteggiamenti e politiche discriminatorie, insomma. ‘I palestinesi vengono sistematicamente discriminati semplicemente sulla base della loro razza, etnia o origine nazionale, vengono privati di elettricità, acqua, scuole e accesso alle strade, mentre i coloni ebrei che vi abitano affianco godono di tutti questi benefici garantiti dallo Stato’, ha dichiarato Bogert. Il risultato ottenuto dalle politiche discriminatorie di Israele, che secondo Hrwrenderebbero le comunità praticamente inabitabili, sarebbe, insomma, quello di forzare i residenti ad abbandonare i loro paesi e villaggi.

Secondo l’analisi realizzata da Human Rights Watch sia nell’area C che a Gerusalemme Est, la gestione israeliana prevederebbe in entrambe le zone generosi benefici fiscali e di supporto a livello di infrastrutture nei confronti dei coloni ebrei, mentre le condizioni per i locali palestinesi sarebbero tutt’altro che vantaggiose. Carenza di servizi primari, penalizzazione della crescita demografica, esproprio di terre, difficoltà amministrative per l’ottenimento di ogni genere di permessi: vere e proprie violazioni dei diritti umani, in quanto si tratterebbe di discriminazioni effettuate solo ed esclusivamente sulla base di un’appartenenza razziale ed etnica. Tutte misure che, secondo quanto denunciato da Human Rights Watch, avrebbe limitato, negli ultimi anni, l’espansione delle comunità palestinesi e peggiorato le condizioni di vita dei residenti”. Fin qui l’inviata di Unimondo.

Lo “Stato dei coloni”. 

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Lo “Stato” dell’illegalità e della violenza impunita. Lo “Stato” della “jihad” ebraica. Globalist lo ha documentato con articoli, reportage, interviste. Ora c’è anche la presa di posizione pubblica di importanti organizzazioni ebraiche americane, fra cui le federazioni rabbiniche (ortodossa, reform e conservative) contro le violenze di estremisti ebrei in Cisgiordania.

La lettera, di qualche mese fa, al Governo israeliano è firmata da Israel Policy Forum, the Anti-Defamation League, Central Conference of American Rabbis, National Council of JewishWomen, Rabbinical Assembly, Union for Reform Judaismand United Synagogue of Conservative Judaism.

Lettera al Governo d’Israele

“Primo Ministro Naftali Bennett Ministro degli Esteri Yair LapidMinistro della Difesa Benny Gantz Stato di Israele
Scriviamo per condannare con la massima fermezza il terrorismo e la violenza politica in corso commessi da estremisti ebrei israeliani in Cisgiordania contro palestinesi, civili israeliani e soldati dell’IDF. L’ultimo esempio di estremisti filmati mentre danno fuoco a un’auto e attaccano violentemente palestinesi e attivisti israeliani con bastoni fuori dal villaggio di Burin è particolarmente inquietante, ma non è un incidente isolato. Questa tendenza inquietante non deve essere condannata solo a parole, ma affrontata attraverso un’azione inequivocabile da parte del governo israeliano e dell’apparato di sicurezza. Riconosciamo che questi atti sono perpetrati da un piccolo gruppo di radicali.

Riconosciamo anche che questo non è un problema unilaterale e che gli israeliani sono anche vittime di continui e crescenti attacchi da parte dei palestinesi. Ma gli attacchi da parte degli israeliani sono aumentati costantemente e si sono intensificati nell’ultimo anno, e come organizzazioni ebraiche pro-Israele, siamo profondamente preoccupati da queste tendenze e vi chiediamo di affrontarle. Questi attacchi sono un affronto allo stato di diritto di Israele, alla democrazia israeliana e ai valori ebraici, mentre minano l’immagine di Israele e le relazioni con il governo degli Stati Uniti, il popolo americano e gli ebrei americani. Rendono più difficile apprezzare le legittime e continue esigenze di sicurezza di Israele e gli sforzi per risolvere il conflitto israelo-palestinese. Esortiamo l’intero governo israeliano a unirsi in una forte condanna contro questi atti, a lavorare con decisione perindividuare i responsabili, e ad affrontare le crescenti minacce poste da questi estremisti con la determinazione e la serietà che questa grave situazione richiede”. 

Lo “Stato” dei coloni

Settecentocinquantamila abitanti. Centocinquanta insediamenti. Centodiciannove avamposti. Il 42 per cento della West Bankcontrollato. L’86 per cento di Gerusalemme Est “colonizzata”. Uno Stato nello Stato. Dominato da una destra militante, fortemente aggressiva, ideologicamente motivata dalla convinzione di essere espressione dei nuovi eroi di Eretz Israel, i pionieri della Grande Israele. Quella che si svela è una verità spiazzante: oggi in Terrasanta, due “Stati” esistono già: c’è lo Stato ufficiale, quello d’Israele, e lo “Stato di fatto”, consolidatosi in questi ultimi cinquant’anni: lo “Stato” dei coloni in Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank).

A dar conto delle dimensioni di questo “Stato” sono i dati di un recente rapporto di B’tselem (l’ong pacifista israeliana che monitorizza la situazione nei Territori). Lo Stato “di fatto” ha le sue leggi, non scritte, ma che scandiscono la quotidianità di oltre 750mila coloni.

Lo “Stato di Giudea e Samaria” è armato e si difende e spesso si fa giustizia da sé contro i “terroristi palestinesi” che, in questa visione manichea, coincidono con l’intera popolazione della Cisgiordania. Molti attacchi contro i palestinesi sono stati registrati nelle aree di Ramallah e Nablus (Cisgiordania occupata). In particolare, nella zona vicina agli avamposti della Valle Shiloh e in quella in prossimità degli insediamenti israeliani di Yitzhar (Nablus) e Amona (Ramallah), quest’ultimo da poco evacuato dal governo israeliano. Nel villaggio di Yasuf(governatorato di Salfit), i residenti palestinesi si sono svegliati con i pneumatici di 24 auto bucati e alcune scritte razziste in ebraico (“Morte agli arabi” tra le più diffuse) lasciate sulle loro abitazioni. Sono i cosiddetti “price-tag” (tag mechir in ebraico) ovvero gli atti di ritorsione (il “prezzo da pagare”) compiuti dagli attivisti di destra e coloni israeliani contro i palestinesi in risposta ad un attacco da parte di quest’ultimi.

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Citando ufficiali della difesa, Haaretz scrive che gli attivisti di destra più estremisti sono “i giovani delle colline”, molti dei quali vivono negli avamposti illegali della Cisgiordania e il cui numero è stimato intorno alle trecento unità. Un dato interessante è che la maggior parte dei responsabili delle violenze è giovanissima (tra i quindici e i sedici anni). Nel 1997, a un anno dal primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro, c’erano circa 150.000 coloni in Cisgiordania. Due decenni dopo il numero dei coloni è vicino ai 600.000, esclusi i quartieri di Gerusalemme est oltre la Linea Verde. Questi dati non includono i coloni che vivevano negli avamposti illegali (complessivamente si superano i 750.000). 

L’amara verità

Si può essere d’accordo o no con Massimo D’Alema, ma è innegabile la sua competenza in politica estera. In particolare per quanto concerne il Medio Oriente. Sul conflitto israelo-palestinese, l’ex presidente del Consiglio dice verità scomode. Scomode perché smontano narrazioni demonizzanti, verso una parte, della stampa mainstream, e giustificatorie verso l’altra.  Scomode perché mettono a nudo le responsabilità della comunità internazionale nell’aver permesso la perpetuazione di un’occupazione. Scomode perché smascherano soluzioni impossibili, anche se ripetute all’infino. Come quella due “due Stati”.

“Io temo che prima o poi dovremo fare un esercizio di utile realismo dal momento che la comunità internazionale non è in grado di intraprendere e di sostenere la via dei Due Stati e del rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Tanto vale prendere atto di questa impotenza, sgombrare il campo della retorica e cominciare a guardare ai problemi veri”. Così D’Alema nel suo intervento al convegno “I grandi mutamenti internazionali e il conflitto tra Israele e Palestina”, promosso da Campo Democratico-Socialismo e Cristianesimo.

“Lasciamo stare lo Stato palestinese, che non ci sarà mai. Diciamo piuttosto che i palestinesi sono cittadini di serie C, sotto occupazione militare, privi di diritti e di tutele che, però, lavorano per Israele e sono un pezzo del miracolo economico israeliano. Io penso – ha proseguito D’Alema – che il vero ‘game changer’ potrebbe essere il primo Paese europeo che decide di non dare più i soldi per pagare lo stipendio a migliaia di funzionari pubblici di una pseudo Autorità palestinese, priva di qualunque autorità, di cui, invece, secondo il diritto internazionale si dovrebbe occupare Israele come Paese occupante”.

Quel primo Paese potrebbe essere l’Italia…Ma questo, con i tempi che corrono, è destinato a restare un sogno a occhi aperti. 

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