Hiroshima e Nagasaki in una foto: il bimbo con il fratellino morto sulla schiena
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Hiroshima e Nagasaki in una foto: il bimbo con il fratellino morto sulla schiena

L'immagine di Joe O'Donnell è passata alla storia. Documenta tutta la tragedia del sei agosto 1945 quando "Enola Gay" sganciò su Hiroshima "Little Boy", la prima bomba atomica a uso bellico

La foto di Joe O' Donnell
La foto di Joe O' Donnell
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6 Agosto 2022 - 11.12


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Sono passati 73 anni. Il 6 agosto 1945, alle 8.15 del mattino, il Boeing USA B-29 Superfortress “Enola Gay” sganciò su Hiroshima “Little Boy”, la prima bomba atomica a uso bellico, cogliendo di sorpresa la città, importante centro navale e militare. Lo spostamento d’aria di eccezionale potenza rase al suolo case e edifici nel raggio di circa 2 km. Ai gravissimi effetti termici e radioattivi immediati (80.000 morti e quasi 40.000 feriti, più 13.000 dispersi) si aggiunsero negli anni successivi gli effetti delle radiazioni, che portarono le vittime a quota 250.000. L’esperimento fu ripetuto il giorno 9 agosto: “Fat Man”, la seconda bomba, fu lanciata su Nagasaki . Morirono 70.000 persone prima della fine del 1945 e altrettante negli anni successivi. Il 14 agosto, la riunione del governo nel rifugio antiaereo del Palazzo imperiale vide l’imperatore Hirohito annunciare la volontà di arrendersi dopo i drammatici bombardamenti delle due città. Il 15 agosto, il suo discorso di resa fu consegnato alla radio. Era definitivamente conclusa la Seconda Guerra Mondiale.


Vogliamo ricordare quell’anniversario di morte con questa foto che è passata alla storia. Una foto scattata nel 1945 dalla macchina fotografica di Joe O’Donnell, giornalista e fotografo americano che lavorò per la United States Information Agency, inviato in Giappone per documentare gli effetti delle due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki.


“Ho visto un ragazzo di circa dieci anni a piedi. Portava un bambino sulla schiena. In quei giorni in Giappone, spesso abbiamo visto i bambini che giocavano con i loro piccoli fratelli o sorelle sulle loro spalle, ma questo ragazzo era chiaramente diverso. Si vedeva chiaramente che era venuto in questo posto per una ragione seria. Non indossava scarpe. Il viso era contratto. La piccola testa del bambino (sulle spalle) era piegata come se fosse addormentato. Il ragazzo stette lì per cinque o dieci minuti. Poi gli uomini in maschera bianca gli si avvicinarono e cominciarono tranquillamente a togliere la corda che legava il bambino. Allora ho visto che il bambino era già morto. Gli uomini presero il corpo per le mani e i piedi e lo adagiarono sul fuoco. Il ragazzo era fermo, immobile, fissava le fiamme. Stava mordendo il labbro inferiore così forte che brillava di sangue. La fiamma bruciava bassa come il sole che scendeva. Il ragazzo si voltò e se ne andò in silenzio”.


Così Joe O’Donnell raccontò l’immane tragedia che colpì il Giappone dopo il 6 e il 9 agosto 1945.
Per sette mesi Joe viaggiò documentando macerie, morti, cremazioni, orfani, feriti, menomati. Alla fine della sua esperienza, nella quale raccolse centinaia di immagini durissime, si convinse che usare l’atomica era stata una scelta sbagliata.


Solo una ventina di anni fa O’Donnell decise di rendere pubblici molti degli scatti che aveva conservato per tutta la vita. Più volte prima di morire si espresse contro l’orrore della guerra

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