Morte a Kabul: cosa racconta l'uccisione di Ayman al-Zawahiri
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Morte a Kabul: cosa racconta l'uccisione di Ayman al-Zawahiri

La notizia ha subito fatto il giro del mondo. Ayman al-Zawahiri è stato ucciso in un attacco americano compiuto con un drone dalla Cia a Kabul.

Morte a Kabul: cosa racconta l'uccisione di Ayman al-Zawahiri
Ayman al Zawahiri
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2 Agosto 2022 - 16.13


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Umberto De Giovannangeli

Era tornato laddove si era sentito più protetto, al sicuro. In quell’Afghanistan talebano da cui era stato scacciato dalla risposta americana agli attacchi dell’11 Settembre. Ma dopo la fuga dell’Occidente e il ritorno al potere degli “studenti del Corano”, il “dottore” era rientrato. Ed è morto. 

Ritorno a Kabul: tappa finale

La notizia ha subito fatto il giro del mondo. Ayman al-Zawahiri è stato ucciso in un attacco americano compiuto con un drone dalla Cia a Kabul. L’operazione è stata condotta durante il fine settimana e, secondo fonti dell’amministrazione americana, non ha causato vittime civili. A colpire il leader di al-Qaeda sono stati due missili Hellfire. A riferirlo è stato un funzionario dell’amministrazione americana.  Biden ha seguito il raid dalla Casa Bianca, dove si trova in isolamento a causa di una ricaduta per il Covid. Secondo un rapporto dell’Onu, fino al giugno del 2021 al-Zawahiri si nascondeva in una località di confine tra Afghanistan e Pakistan. I talebani condannano l’operazione in cui è stato ucciso al-Zawahiri.

In un comunicato riportato dal New York Times, i talebani confermano che il raid è avvenuto a Kabul, nella benestante area di Sherpur. Secondo i talebani, riporta sempre il New York Times, gli accordi di Doha vieterebbero i raid americani, una tesi che Washington contesta. La presenza del capo di al-Qaeda a Kabul è una “chiara violazione” dell’accordo che i talebani hanno firmato con Washington nel 2020 in cui promettevano di non permettere all’Afghanistan di tornare a essere un “porto sicuro” per il  jihad,  ha replicato una fonte dell’amministrazione Biden. Una cosa appare certa: i talebani erano a conoscenza della presenza di al-Zawahiri, a Kabul e dopo il raid si sono affrettati a rendere l’area non accessibile e a spostare rapidamente la famiglia di al-Zawahiri. Lo riferisce un funzionario della Casa Bianca, sottolineando comunque che i talebani non erano stati allertati del raid del 30 luglio. Secondo indiscrezioni, il leader di al-Qaeda era nell’abitazione di un consigliere-aiutante di Sirajuddin Haqqani e proprio membri di Haqqani avrebbero cercato di nascondere il fatto che al-Zawahiri era nell’abitazione. 

“Un gran numero di combattenti di al-Qaeda e altri estremisti stranieri allineati con i talebani si trovano in varie parti dell’Afghanistan” ed “è impossibile dire con certezza che i talebani manterranno l’impegno di eliminare ogni futura minaccia internazionale da parte di al-Qaeda in Afghanistan”. È quanto si legge in un documento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite datato 20 maggio 2021. “Una parte significativa della leadership di al-Qaeda risiede nella regione di confine tra Afghanistan e Pakistan”, si legge ancora nel documento in cui viene spiegato che talebani e membri di al-Qaeda agiscono insieme attraverso la rete Haqqani. “I legami tra i due gruppi – viene precisato – rimangono stretti, sono basati sulle stesse posizioni ideologiche e su lotte comuni e matrimoni misti”. Nel rapporto è inoltre evidenziato che “la situazione riguardante la sicurezza in Afghanistan rimane tesa e impegnativa come mai nella storia recente. Vi è incertezza attorno al processo di pace e i talebani reggono di fronte alle pressioni delle forze di sicurezza afghane”. “Il Paese – si legge ancora – continua ad ospitare una serie di gruppi armati comprendenti combattenti terroristi stranieri che si presume siano alleati con i talebani, al-Qaeda e l’Isis”.  

E tra gli “ospitati” c’era anche il numero uno di al-Qaeda.

Scrive Barbara Schiavulli su Repubblica: “La Cia e il presidente americano Biden lo sapevano da tempo, ma soprattutto i talebani, i nuovi dirigenti dell’Afghanistan non potevano non sapere che il leader di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri  fosse in una palazzina a più piani nel quartiere di Shirpur, nel cuore di Kabul, dove c’è la casa dell’ex ministro della Difesa del governo precedente, l’ambasciata turca e quella iraniana. Non si nascondeva neanche troppo, lo si vedeva sul balcone a diverse ore della giornata a godersi l’aria inquinata della capitale. Ed è lì che gli americani lo hanno colpito su quel balcone che lo ha esposto al mondo e ad una storia che verrà ricordata a secondo di chi la racconta. […]I talebani sapevano che al Zawahiri era a due passi della leadership talebana?

È la domanda da 25 milioni di dollari. Non lo ammetteranno mai, come non lo ammisero nel 2011 i pachistani quando Bin Laden venne ucciso in un raid ad Abbottabad, in una villetta a 4 chilometri dell’accademia militare dell’esercito pachistano. Secondo indiscrezioni provenienti da Kabul, la casa dove si trovava uno degli uomini più ricercarti al mondo, appartiene ad un aiuto di Sirajuddin Haqqani, ministro degli Interni del governo talebano e leader della famigerata rete Haqqani considerata da sempre l’anello di congiunzione tra i talebani e al Qaeda. La rete Haqqani è un’organizzazione terroristica islamista fondata da Jalaluddin Haqqani, emerso come importante Signore della guerra e comandante dei ribelli durante la guerra antisovietica. È difficile che i talebani non sapessero, solo qualche giorno prima l’inviato degli americani Thomas Cook ha incontrato una delegazione talebana a Doha per parlare – ufficialmente – dei 7 miliardi di dollari delle riserve afgane congelate nelle banche straniere e bloccate dagli americani. Zawahiri, per i talebani, avrebbe potuto essere l’obiettivo perfetto per un po’ di respiro finanziario…”.

Di grande interesse è anche la ricostruzione degli eventi che hanno portato all’eliminazione del capo di al-Qaeda, fatta per Agi da Massimo Basile: “Undici anni dopo Osama bin Laden, gli Stati Uniti hanno eliminato il suo erede alla guida di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, 71 anni, considerato il ‘numero uno’ del terrorismo internazionale. Allora Biden era il vicepresidente di Barack Obama. Stavolta è stato lui a guidare l’operazione. “Giustizia è fatta, questo terrorista non c’è più”, ha esultato Biden con un breve intervento dalla Casa Bianca trasmesso dai maggiori network televisivi americani.

“Non importa – ha aggiunto – quanto tempo serve, o dove ti nascondi. Se sei una minaccia, gli Usa ti scovano”. L’attacco è avvenuto quando a Washington era sabato sera, le 21.48, e a Kabul – separata da otto ore e mezza di fuso orario – domenica mattina. Quello è stato il momento in cui al-Zawahiri, come aveva fatto altre volte in passato, è andato in terrazza, al terzo piano di un edificio in una zona residenziale della capitale afghana, nel quartiere di Shirpur, sotto il controllo del ministero della Difesa afghana.

All’inizio di quest’anno l’intelligence americana aveva ricevuto notizie riguardo l’arrivo a Kabul di moglie, figlia e nipoti di al-Zawahiri. Ad aprile la Cia aveva avuto conferma che il capo di al-Qaeda si nascondeva in una palazzina nel quartiere residenziale. Da lì non era mai uscito. Ma sono state necessarie altre settimane per avere la certezza che fosse lui. Il primo luglio è cominciato il conto alla rovescia con un vertice a cui hanno partecipato il direttore della Cia, William Burns, la direttrice della National Intelligence, Avril Haines, quella del controterrorismo Christine Abizaid, e il consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan. Nelle ultime settimane ci sono state numerose riunioni alla Casa Bianca, tutte caratterizzate dalla richiesta di Biden di evitare la morte di persone innocenti, inclusi gli stessi familiari del terrorista. Per assicurarsi che tutto fosse pianificato, “minimizzando” gli effetti collaterali, è stato addirittura costruito un modellino dell’edificio. Biden ha chiesto informazioni e ottenuto rassicurazioni. Il 25 luglio l’ultima riunione. Poi l’ordine finale. L’abitudine di al-Zawahiri di passare molto tempo sul balcone ha facilitato le operazioni e ridotto al minimo i rischi di colpire altre persone”.

 Oltre a Biden, pochi erano a conoscenza di un’operazione di cui si era cominciato a discutere a maggio e le cui modalità sono state sviscerate in numerosi meeting, col presidente sempre a chiedere che fosse assicurata la sicurezza dei civili. La decisione di agire è stata infine presa lo scorso 25 Luglio, dopo aver analizzato attentamente pure le ricadute sulle relazioni con i talebani. Biden si è consultato con i principali consiglieri. E convintosi che l’eliminazione di Zawahiri darà effettivamente un colpo alla struttura di al-Qaeda, ha dato l’ok a procedere. 

L’organizzazione da lui controllata, secondo un recente rapporto dell’Analytical Support and Sanctions delle Nazioni Unite, si era espansa, diventando molto forte: radicandosi ormai pure nell’Africa settentrionale e orientale. Ultimamente Zawahiri ne teneva le fila appunto dall’Afghanistan, dove, sempre secondo il rapporto dell’Onu aveva fra l’altro avuto “un ruolo consultivo con i talebani durante i negoziati con gli Stati Uniti”.  

La trincea del Jihad: ripasso storico

Gli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre lanciarono nell’ottobre del 2001 l’offensiva contro l’Afghanistan dei talebani, diventato un safe haven, un rifugio sicuro per i terroristi di al- Qaeda.

Vent’ani dopo, in Afghanistan operano una costellazione di gruppi jihadisti, come il Network Haqqani, manovrato dai Servizi pachistani, e lo Stato islamico, che ha cellule nella capitale e controlla una piccola fetta di territorio al confine con il Pakistan.  L’Afghanistan non è l’Iraq o la Siria, dove gli affiliati all’Isis combattono i curdi, i cristiani e gli sciiti. Qui il potere è conteso ad altri sunniti, i Talebani, e più che per conquistare nuovi territori al “califfato”, si combatte per assicurarsi il controllo delle rotte del commercio dei narcotici. La “fabbrica” talebana di oppiacei mantiene salda la prima posizione mondiale, infatti l’eroina afghana raggiunge quasi tutto il globo. Due dati particolarmente indicativi: copre il fabbisogno del 90% del Canada e dell’85% circa delle richieste mondiali.

La produzione e gestione del traffico di droga è la fonte principale di finanziamento dei talebani. Un traffico enorme, fortemente consolidato nella sua catena di produzione-vendita-incasso di milioni di dollari di profitti. Il prodotto viaggia sfruttando tutti i mezzi di trasporto: le rotte aeree e marittime permettono all’eroina afghana di giungere ovunque (eccetto il Sud America, qui vi sono i cartelli narcos che hanno il ‘loro’ prodotto). Le vie terrestri coinvolgono pesantemente Iran e Pakistan, costretti ad impiegare sempre più risorse per contrastare questi flussi. Lo Stato islamico è entrato in questa partita. La provincia di Nangarhar, nella parte orientale del Paese, al confine con il Pakistan, e ora è in buona parte occupata dall’Isis. L’invasione è cominciata nell’estate del 2014, quando dal confine sono arrivati un centinaio di talebani pakistani che, dopo essere scappati dall’esercito, si sono uniti a una fazione di talebani afghani. 

All’ombra di Osama

Braccio destro di Osama bin Laden, e poi suo successore dopo l’uccisione del primo leader di al-Qaeda il 2 maggio 2011, al-Zawahiri è stato uno degli uomini chiave negli attacchi dell’11 settembre. Con i suoi scritti e le sue argomentazioni il medico egiziano aveva profondamente plasmato al-Qaeda e i movimenti terroristici correlati. L’attacco con i droni è il primo attacco statunitense conosciuto all’interno dell’Afghanistan da quando le truppe e i diplomatici statunitensi hanno lasciato il Paese nell’agosto 2021. La mossa potrebbe rafforzare la credibilità delle assicurazioni di Washington che gli Stati Uniti possono ancora affrontare le minacce provenienti dall’Afghanistan senza una presenza militare nel Paese, anche se non è chiaro come gli Stati Uniti abbiano avuto la conferma che al-Zawahiri fosse morto.

Più volte nel corso del suo intervento di conferma e rivendicazione dell’uccisione del successore di bin Laden, Biden si è rivolto alle famiglie delle vittime dell’11 settembre augurandosi che la morte del braccio destro di bin Laden possa aiutarle a voltare pagina. Descritta solo a grandi linee, l’operazione solleva molti dubbi su come ora si evolveranno i rapporti fra il governo dei talebani e gli Stati Uniti. Parlando di operazione legale, Washington ritiene che i talebani abbiano violato l’accordo di pace consentendo al leader di al- Qaeda di entrare nel Paese. I talebani ritengono invece che siano stati gli Stati Uniti ad aver violato gli accordi con il raid.

Nato in Egitto nel giugno del 1951 in una famiglia agiata a borghese, al-Zawahiri – medico e chirurgo – si era avvicinato ai movimenti jihadisti da giovanissimo, a soli 17 anni, prima di laurearsi. Entrò nella jihad islamica egiziana nel 1979, diventando ‘emiro’ (comandante) responsabile per il reclutamento. Nel 1981 finì in carcere durante una ondata di arresti di integralisti islamici in seguito all’assassinio dell’allora presidente Anwar Sadat. Rimase in prigione quattro anni per porto abusivo di armi, perché gli inquirenti non riuscirono a trovare elementi contro di lui su un coinvolgimento dell’omicidio del presidente egiziano.

Uscito di prigione nel 1985, al-Zawahiri andò in Arabia Saudita, e poco dopo si spostò in Pakistan, dove conobbe bin Laden. Ultima tappa l’Afghanistan, all’inizio degli anni novanta. Oltre agli attacchi dell’11 settembre, al-Zawahiri si è attribuito la ‘paternità’ dell’attacco a Charlie Hebdo del 2015 a Parigi, che avrebbe ordinato personalmente. Negli ultimi anni si è parlato più volte della morte di Zawahiri, che da tempo si diceva fosse in cattive condizioni di salute.   Il 13 gennaio 2006 fu l’obiettivo di un attacco missilistico americano vicino al confine del Pakistan con l’Afghanistan. Morirono quattro membri di al-Qaeda, ma al-Zawahiri si salvò. Due settimane apparve in un video in cui avvertiva che “né Bush né tutte le potenze della terra” avrebbero anticipato la sua morte – rispetto al destino – di un secondo. al-Zawahiri si è fatto sentire, di tanto in tanto con messaggi audio e a volte video – l’ultimo l’11 settembre di due anni fa – per incitare i suoi seguaci alla guerra contro l’Occidente. Sulla sua testa gli Stati Uniti avevano messo una taglia da 25 milioni di dollari.

Chissà se qualcuno l’intascherà. 

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