Libia, che fine ha fatto?
Top

Libia, che fine ha fatto?

La Libia non fa più notizia. Mica è l’Ucraina tanto cara a Joe Biden. Globalist, come suo solito, va controcorrente e di Libia torna. a parlare. 

Libia, che fine ha fatto?
Guerra civile in Libia
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Luglio 2022 - 14.17


ATF

Do you remember Libya? Sì, la Libia. Per mesi e anni è stato al centro dell’attenzione europea, e dell’Italia in particolare. Un po’ per gli interessi petroliferi che il vero centro della politica estera del belpaese, l’Eni, ha da quelle parti. Un po’, molto, perché la Libia è alle porte di casa nostra ed è da lì che partono gran parte dei boat people, diversi dei quali affondano nel tentativo di raggiungere le coste italiane o quelle greche.

Un Paese “scomparso” dai media manistream

Ma sì, la Libia. Il core business della nostra politica estera, tanto da inventarsi una Conferenza internazionale a Palermo, con tanto di passarella fotografica dell’allora premier Giuseppe Conte che rivendicava, udite udite, per l’Italia la cabina di regia internazionale per la stabilizzazione del martoriato Paese nordafricano. 

La Libia, sì la Libia. La madre di tutte le esternalizzazioni delle frontiere. Tanto che per evitare una inesistente “invasione” di migranti, l’Italia continua vergognosamente a finanziare quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.  E mentre finanziavamo, armavamo e addestravamo questa gang in divisa, un ministro dell’Interno targato Pd dichiarava guerra alle Ong salvavita nel Mediterraneo, aprendo un’autostrada forcaiola al suo successore leghista al Viminale. 

La Libia delle elezioni fissate, poi rinviate e ancora rinviate. Fino a scomparire dai radar. La Libia che, dodici anni dopo la sciagurata guerra che ha fatto fuori Muammar Gheddafi, un tempo oggetto delle più servili genuflessioni di Amministratori delegati delle più grandi aziende pubbliche e private italiote, e non solo, diventato poi, come Saddam, testimone scomodo (vero Sarkozy?) di campagne presidenziali finanziate con i dollari libici e di altri affaracci da ricatto, e dunque fatto fuori in nome della difesa dei diritti umani calpestati dal Colonnello (trattamento non applicato, solo per fare un esempio, la macellaio di Damasco, quel Bashar al-Assad che ha fatto guerra al suo popolo e che è ancora al potere grazie al sostegno di Putin, dell’Iran e di Hezbollah libanese). 

La Libia non fa più notizia. Mica è l’Ucraina tanto cara a Joe Biden. Globalist, come suo solito, va controcorrente e di Libia torna. a parlare. 

La farsa elettorale

Ne avevamo scritto a suo tempo, con articoli e interviste. La farsa elettorale. Che pure aveva suscitato l’entusiastico sostegno del nostro ministro degli Esteri e di Bruxelles. Una farsa che continua.

E’ notizia di ieri.

Nulla di fatto a Ginevra, nell’ambito dei negoziati condotti dall’Onu sulla situazione politica in Libia, per arrivare ad un accordo tra i presidenti delle due camere rivali, con l’obiettivo di fissare una data per lo svolgimento di elezioni nazionali all’interno di un quadro costituzionale stabile.

“Sebbene i progressi compiuti durante i tre round di consultazioni al Cairo e questo round a Ginevra siano significativi, rimangono insufficienti”, ha affermato l’inviata delle Nazioni Unite, Stephanie Williams, al termine della tre giorni di negoziati presso la sede delle Nazioni Unite nella città svizzera.

I colloqui intra-libici erano volti a superare lo stallo politico: l’Onu, nel riferirlo, sottolinea che “persistono differenze sui requisiti per candidarsi nelle prime elezioni presidenziali”. Nonostante alcuni progressi fatti, “restano insufficienti come base per avanzare verso elezioni nazionali”, ha commentato ancora l’inviata Onu per la Libia.

Insomma, l’ennesimo flop diplomatico, l’ultimo, in ordine di tempo, di una innumerevole serie. 

La tragedia in mare

 Dalla farsa elettorale alla tragedia senza fine dei morti nel Mediterraneo. Un gommone con a bordo decine di persone che tentavano di raggiungere l’Europa è naufragato  al largo della Libia: mercoledì Medici Senza Frontiere (MSF), l’organizzazione che ha soccorso i migranti, ha detto che ci sono almeno 30 dispersi, tra cui 5 donne e 8 bambini, e che si teme siano morti.

MSF ha detto di aver raggiunto il gommone naufragato e di aver soccorso decine di persone: molte avevano bisogno di cure urgenti, altre erano in condizioni di ipotermia date le molte ore passate in acqua e una donna incinta è morta a bordo della nave con cui sono stati effettuati i soccorsi. Safa Msehli, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), ha detto ad Associated Pressche “questo è un esempio di ciò che accade settimanalmente, se non quotidianamente, nel Mediterraneo centrale”.

Non basta? 

Un nuovo rapporto Onu, reso noto ieri a Ginevra, denuncia gravissimi abusi sulla pelle dei migranti detenuti in Libia. Gli investigatori delle Nazioni Unite, nel documento, hanno stilato un elenco atroce di violenze che parla di omicidi, torture e di migranti tenuti in schiavitù, con un capitolo a parte dedicato alle donne che vengono violentate in cambio di cibo e acqua.

Nel rapporto viene esplicitato che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa subiscono violenze sessuali da parte di vari trafficanti, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine. “La missione conoscitiva dell’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro migranti in Libia”. Il documento si basa su numerose testimonianze rese dagli stessi detenuti. Migliaia di migranti sono detenuti nei centri gestiti dalla Direzione per la lotta all’Immigrazione illegale (Dcim), in strutture controllate da gruppi armati non statali o tenuti prigionieri dagli stessi trafficanti.

I migranti sono detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”, si legge nel rapporto.  Le donne migranti, anche minori, sono soggette a violenza sessuale sistematica e affermano di essere state “costrette a fare sesso in cambio di cibo o altri prodotti essenziali”.   

Tra le vittime di violenza sessuale figurano anche molti uomini. Gli autori del rapporto, inoltre, spiegano che proprio per il rischio “noto” di violenze sessuali, alcune “donne e ragazze migranti si sono premunite attraverso impianti contraccettivi prima di intraprendere il viaggio verso la Libia per evitare gravidanze indesiderate”. Una donna migrante, tenuta prigioniera ad Ajdabiya, ha raccontato agli investigatori dell’Onu che i suoi rapitori le chiedevano sesso in cambio di acqua, acqua di cui aveva bisogno per il suo bambino malato di sei mesi. 

La missione conoscitiva, creata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016. Il suo mandato sta finendo ma un gruppo di paesi africani ha depositato una bozza di risoluzione per prorogarlo di nove mesi. Se ne parlerà alla fine della prossima settimana. Lo scorso ottobre, gli investigatori hanno assicurato che crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia dal 2016, anche nelle carceri e contro i migranti. Tuttavia, l’elenco dei presunti autori di queste atrocità rimane riservato.

20 persone sono state trovate morte di sete nel deserto

E 20 migranti sono stati trovati morti per la sete nel deserto della Libia, ai confini con il Ciad, dopo che il loro veicolo è andato in panne nel caldo infernale. Lo hanno riferito il servizio di “soccorso ed emergenza” della città di Kufra, nell’estremo sud-est del Paese, in una nota pubblicata assieme a un video che mostra corpi in stato di decomposizione sulla sabbia vicino al mezzo.    

I corpi sono stati scoperti da un camionista che viaggiava attraverso il deserto e sono stati recuperati martedì a circa 310 km a sud-ovest di Kufra e 120 km dal confine con il Ciad. “L’autista si è perso… e crediamo che il gruppo sia morto nel deserto circa 14 giorni fa, dato che l’ultima chiamata trovata su un telefono cellulare c’è stata il 13 giugno”, ha detto al telefono il capo dell’ambulanza di Kufra Ibrahim Belhasan. Due dei corpi erano libici e si crede che gli altri fossero migranti provenienti dal Ciad che attraversavano illegalmente la Libia, ha detto Belhasan.

In questa zona arida del deserto libico con una popolazione molto bassa, le temperature possono superare i 40 gradi in estateIl deserto a sud della Libia, Paese sprofondato nel caos dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, è diventato negli ultimi anni un punto caldo per il contrabbando di merci e l’immigrazione clandestina.

Migliaia di migranti attraversano ogni anno i porosi confini della Libia dal Sudan, Niger e Ciad, per venire a lavorare in questo Paese o per tentare la traversata del Mediterraneo verso l’Europa. I casi di migranti dispersi o trovati morti in mezzo al deserto sono frequenti.

Nuove fughe

Ne scrive Antonio Bonanata su RaiNews: “Decine di migranti provenienti dal Libano, paese afflitto dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia, sono giunti a bordo di varie imbarcazioni di fortuna in prossimità delle coste italiane ma da lì sono stati trasferiti in Grecia. Lo riferiscono media di Beirut che citano alcuni degli stessi migranti, autori di video amatoriali diffusi in rete. Nei filmati, in cui si mostrano decine di persone sul ponte di una nave traghetto, un libanese afferma che l’imbarcazione sulla quale viaggiavano provenienti dal Mediterraneo orientale era arrivata in prossimità delle coste italiane, ma che “la guardia costiera dell’Unione Europea” li ha trasferiti a bordo di una nave in Grecia.

Negli ultimi due anni i tentativi di fuggire dal Libano al collasso economico, dove secondo l’Onu quattro persone su cinque vivono in povertà, è aumentato in maniera esponenziale, facendo registrare un impennata del numero di persone in fuga via mare verso l’Europa. Le autorità del Libano e di Cipro hanno raggiunto un accordo perché si faciliti il respingimento di migranti dall’isola europea verso il Libano.

La zona da cui salpano più spesso le navi di migranti – per lo più di nazionalità libanese, siriana, palestinese – è quella di Tripoli, nel nord del Libano al confine con la Siria. E la destinazione più frequente è ormai l’Italia. Ad aprile più di 30 persone, tra cui donne e bambini, inclusi neonati, sono morti annegati a largo delle coste di Tripoli dopo che una barca della Guardia costiera libanese è intervenuta per fermare lo scafo di migranti. Due settimane fa, l’esercito libanese ha arrestato più di 30 persone che tentavano di partire via mare, dalla zona del sud del Libano, sempre verso la Penisola. A maggio, l’esercito aveva arrestato una sessantina di migranti che avevano provato a prendere la via per il mare, ancora una volta in direzione delle coste italiane.

La notizia sui sempre più frequenti tentativi di sbarco nel nostro Paese di migranti libanesi giunge nel giorno in cui il premier incaricato Najib Miqati ha consegnato al presidente della Repubblica libanese Michel Aoun la lista dei ministri del nuovo esecutivo, a un mese e mezzo dalle ultime elezioni. Un segnale insolitamente positivo, quello della formazione del nuovo governo, in una nazione paralizzata dallo stallo politico e dalla crisi economica”, conclude Bonanata.

La Libia, ancora. 

Dieci   anni  di impunità

In Libia, l’impunità regna sovrana da 10 anni. Nel 2012 una legge ha concesso piena immunità ai membri delle milizie per le azioni commesse al fine di “proteggere la Rivoluzione del 17 febbraio”. Il sistema giudiziario libico non funziona ed è inefficace: giudici e procuratori rischiano di essere sequestrati e assassinati semplicemente per il fatto di svolgere il loro lavoro. L’accertamento delle responsabilità resta una chimera, anche per i crimini commessi durante il regime di Gheddafi. Come il massacro del 1996 nella prigione di Abu Salim. I tentativi di portare di fronte ad un Tribunale i funzionari agli ordini di Gheddafi sono stati caratterizzati da gravi violazioni dell’equità dei processi, da torture e sparizioni forzate

La Libia entrata nel dodicesimo anno post-Gheddafi, è  un Paese senza pubblici poteri riconosciuti e credibili. Intanto la società civile libica, secondo diversi segnali colti da operatori umanitari, tende a percepire e valutare la situazione che si è creata in modi molto diversi: c’è chi crede di assistere ad una cospirazione internazionale – come del resto la cronaca degli avvenimenti ci conferma – che ha lo scopo di ridisegnare i perimetri di influenza nella regione. C’è poi chi invece ritiene che la “rivoluzione” di 12 anni fa, di fatto, ha raggiunto i suoi scopi. Altri ancora tendono a giudicare solo in base a quello che oggettivamente oggi si vede: un Paese allo sbando, insicuro, senza istituzioni e pubblici poteri riconosciuti solidi e credibili. 

Vale oggi quanto raccontato da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, in occasione dei dieci anni della “Rivoluzione del 17 febbraio”, che segnò la fine dell’era Gheddafi.

Dieci anni e sette mesi dopo, “in Libia – rimarcava  Noury – la giustizia per le vittime di crimini di guerra e di gravi violazionidei diritti umani – come omicidi illegali, sparizioni forzate, torture, sfollamenti forzati e sequestri di persona commessi da milizie e gruppi armati – si fa ancora attendere. Il motivo è semplice: omaggiandole sin dal 2012 con una legge che concesse piena immunità per le azioni commesse al fine di “proteggere la Rivoluzione del 17 febbraio”, le varie autorità libiche hanno promosso e legittimatocapi delle milizie responsabili di feroci violazioni dei diritti umani, mettendoli a libro-paga e integrandoli nelle istituzioni-chiave dello Stato, come i ministeri della Difesa e dell’Interno, o conferendo loro incarichi ad hoc. Alcune biografie di capi delle milizie sono inquietanti tanto quanto la loro ascesa al potere…”.

Questa è ancora oggi, la Libia.  

Native

Articoli correlati