Omicron e il caldo hanno salvato l'Africa dal Covid: ecco perché
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Omicron e il caldo hanno salvato l'Africa dal Covid: ecco perché

Le vaccinazioni hanno raggiunto solo l'11% di oltre 1,3 miliardo di abitanti

Omicron e il caldo hanno salvato l'Africa dal Covid: ecco perché
Covid in Africa
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8 Febbraio 2022 - 11.30


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Si temeva il peggio per l’Africa ma è riuscita a scampare alla temuta strage da Covid-19 pur rimanendo molto indietro sul fronte delle vaccinazioni, che hanno raggiunto solo l’11% di oltre 1,3 miliardo di abitanti. Come ha scritto Veronique Viriglio, Agi, durante il 2021 il principale ostacolo per il continente africano ha riguardato la fornitura troppo limitata di vaccini, rimasti per lo più nelle mani dei Paesi occidentali. Finora, secondo l’ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il continente ha ricevuto più di 587 milioni di dosi, ma fatica ad attuare le campagne vaccinali: solo il 60% delle dosi sono state effettivamente inoculate e in media solo l’11% della sua popolazione è vaccinata. Per raggiungere l’obiettivo del 70% di copertura vaccinale entro fino giugno 2022, l’Oms ha valutato che l’Africa deve moltiplicare per 6 il tasso di vaccinazione anti-Covid.

Il ritmo (basso) delle vaccinazioni
Ora in media in Africa 6 milioni di persone vengono vaccinate ogni settimana, un numero che deve essere portato a 36 milioni per arrivare al traguardo stabilito dall’Oms. Una soglia già raggiunta dalle isole Mauritius e Seychelles, mentre 7 Paesi hanno vaccinato il 40% della loro popolazione, altri 21 hanno raggiunto meno del 10% degli abitanti, in 16 meno del 5% e altre 3 nazioni meno del 2%. Le categorie maggiormente a rischio – anziani, pazienti con comorbidità e personale sanitario – sono ancora lontane dalla fatidica soglia di vaccinazione. Il timore principale riguarda proprio l’andamento troppo lento della campagna vaccinale continentale.

Non è solo una questione di disponibilità di vaccini ma di capacità degli Stati ad organizzare operazioni capillari sul proprio territorio, specialmente nelle aree più remote. Per sostenere gli Stati africani nell’organizzazione e l’attuazione di campagne vaccinali efficaci, l’Oms sta dispiegando i suoi esperti in una ventina di Paesi prioritari, a cominciare da quelli più popolosi – Repubblica democratica del Congo, Nigeria, Etiopia – e quelli considerati “molto a rischio”, come Senegal e Costa d’Avorio, in cui la copertura vaccinale è ancora troppo bassa e che faticano ad utilizzare le dosi ricevute.

L’eccezione del Sudafrica
“Non partiamo da zero: tutti i Paesi africani sono abituati ad organizzare campagne in poche settimane o addirittura pochi giorni, riuscendo a raggiungere milioni di persone. Il problema è che durante questa pandemia in pochi hanno fatto uno sforzo di pianificazione, soprattutto a causa dell’incertezza sull’accesso ai vaccini” ha spiegato Alain Poy, responsabile del programma di assistenza dell’Oms. Come minimo servirà 1,1 miliardo di euro per finanziare le campagne vaccinali in 40 Paesi, ma oggi solo metà di questa somma è disponibile. A complicare ulteriormente la situazione sono i messaggi contradittori in circolazione sull’efficacia dei vaccini anti-Covid, che rischiano di minare la fiducia della popolazione non solo su questi sieri ma sui benefici delle vaccinazioni in generale. Per quanto riguarda il Sudafrica – Paese che finora ha registrato il 35% di tutti i casi di Covid del continente – secondo le autorità sanitarie locali, a questo punto tre quarti della popolazione gode di una protezione significativa grazie all’effetto combinato di infezioni pregresse e vaccinazioni.

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Ma per molti versi il Sudafrica rappresenta un’eccezione sul continente e sicuramente tra tutti i Paesi è quello che oggi all’immunità più alta. I dati diffusi dall’Oms relativi ai tassi di vaccinazione e alle campagne vaccinali da attuare rilanciano inevitabilmente il dibattito sul perchè di un andamento epidemiologico cosi’ favorevole, che finora ha consentito all’Africa di evitare la temuta strage da Covid. Non è successo durante le precedenti ondate causate dai ceppi Wuhan e Delta, e nemmeno in quest’ultima trainata dalla variante Omicron che ha avuto origine lo scorso 25 novembre proprio in Sudafrica, mettendo poi in ginocchio l’Occidente. In estrema sintesi, neanche questa volta c’è stata un’ecatombe nonostante la bassa percentuale di vaccinati sul continente.

Il quadro lascia ben sperare
Tra le ipotesi avanzate da medici e comunità scientifica per spiegare un quadro epidemiologico che lascia ben sperare, c’è la minor gravità dell’ultima variante, anche se più contagiosa delle precedenti. Sulla minor gravità di Omicron, gli scienziati sudafricani avevano avvisato per primi i colleghi occidentali, che hanno accolto le loro valutazioni con un certo scetticismo. A posteriori gli scienziati sudafricani hanno accusato i Paesi del Nord del mondo di aver ignorato i primi elementi che indicavano in Omicron una variante benigna, bollando la loro diffidenza di “approccio razzista”, di “rifiuto di credere nella scienza quando arriva dall’Africa”. Per il professor Shabir Madhi, esperto di vaccini all’Università Witwatersrand di Johannesburg, “sembra che i Paesi ad alto reddito siano molto più capaci di assorbire le cattive notizie quando provengono da Paesi quali il Sudafrica rispetto a quelle buone”.

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Secondo le loro previsioni, l’ondata Omicron sarebbe durata due volte meno a lungo rispetto a quelle precedenti, provocando meno ricoveri e decessi rispetto a Delta. “Il virus evolve per adattarsi all’ospite umano, per diventare un virus di stagione” ha spiegato Marta Nunes, ricercatrice del dipartimento di analisi dei vaccini e delle malattie infettive dell’Università di Johannesburg. Numeri alla mano, in Sudafrica il tasso di mortalità causato da Omicron è stato molto ridotto, i ricoveri 4 volte inferiori rispetto a Delta e il ricorso alla ventilazione è stato anch’esso limitato.

I numeri
Nel corso dell’ultima settimana l’intero continente ha registrato 9.613 nuovi casi, di cui un terzo (3.266) nel solo Sudafrica, seguito dal Botswana (3.066), Algeria (951), Zambia (790), Etiopia (334), Ghana (300), Zimbabwe (158), Mozambico (100) oltre a poche decine in Kenya, Rwanda, Namibia, Burundi e in altri 17 Paesi africani.

Nel corso del mese di gennaio, il numero di nuovi casi è aumentato in media tra il 2 e il 5% a settimana, ad indicare una fase calante. Oltre a questa spiegazione sulla minor gravità di Omicron gli esperti fanno riferimento all’immunità acquisita durante le precedenti ondate e ai piccoli passi avanti realizzati sul fronte della campagna vaccinale. Dall’inizio della pandemia nel marzo 2020, in tutto in Africa ci sono stati 7,87 milioni di casi e 164.253 morti nei 54 Paesi del continente, con una popolazione totale di oltre 1,314 miliardi.

Un’altra spiegazione che viene spesso avanzata per giustificare contagi limitati riguarda le condizioni meteorologiche del continente, ovvero temperature più alte. Nel caso dell’ondata Omicron, effettivamente si è manifestata in Sudafrica durante l’estate, quando la popolazione svolge maggiormente le sue attività quotidiane all’aria aperta, ma ci sono state le festività di fine anno e in molte bidonville la promiscuità è grande, in ogni stagione.

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E a chi argomenta che l’età media della popolazione in Africa è di gran lunga inferiore rispetto a quella dei Paesi occidentali – ad esempio 17 anni di meno in Sudafrica rispetto al Regno Unito – scienziati e medici del continente rispondono che il vantaggio dell’età demografica è ampiamente controbilanciato dalla cattiva salute di molti abitanti. “Effettivamente abbiamo una popolazione più giovane ma abbiamo una popolazione dalla salute meno buona per la prevalenza più alta di altre comorbidità, quali obesità e Aids” ha sottolineato il professor Madhi.

Durante la pandemia, il numero di decessi in eccesso sopraggiunti in Sudafrica ha superato quota 290 mila, quindi 480 ogni 100 mila persone, il doppio rispetto al dato britannico. Infine viene evocata la capacità molto ridotta a testare le popolazioni, che sarebbe in media di 1,5 milione di test settimanali per l’intero continente, con circa 307 mila nuovi casi registrati ogni settimana durante il mese di gennaio, l’equivalente del numero di positivi diagnosticati in Francia ogni giorno. Pertanto la reale diffusione di Omicron, e delle precedenti varianti, sul continente è di gran lunga superiore rispetto ai bilanci ufficiali.

A questo punto per scienziati e ricercatori africani, il basso tasso di mortalità di Omicron – responsabile in media del 3% dei decessi da Covid sull’intero continente – indica che “siamo in una fase differente della pandemia, che definirei come convalescente” secondo l’esperto di vaccini all’Università Witwatersrand. “Pensiamo che il virus non sarà sradicato dalla popolazione umana, ma ora dobbiamo imparare a convivere con lui e lui con noi” ha sottolineato la collega Nunes. Ora, nella lotta al Sars-Cov-2, una speranza concreta arriva proprio dal Sudafrica dove una società di biotecnologia ha fabbricato il primo vaccino mRNA sulla base del sequenziamento del Moderna. Una scoperta, quella della Afrigen Biologics and Vaccines di Città del Capo sostenuta dall’Oms e dall’iniziativa Covax, che potrebbe essere cruciale per potenziare le future campagne di immunizzazione del continente, ma per i primi test clinici del vaccino sudafricano bisognerà aspettare fino a novembre.

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