Libia, l'assalto al palazzo e la follia delle elezioni
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Libia, l'assalto al palazzo e la follia delle elezioni

Nel caos armato che regna nello Stato fallito di Libia, il solo ipotizzare elezioni libere, democratiche, stabilizzatrici più che un azzardo è una follia. Pura, colpevole follia.

Libia, l'assalto al palazzo e la follia delle elezioni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Dicembre 2021 - 14.32


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Le avevamo definite in tanti modi: elezioni farsa, l’imbroglio libico, 98 pretendenti per una carica senza potere reale. E ancora: l’ultimo fallimento dell’Europa nel Mediterraneo, per arrivare a “ormai a crederci c’è rimasto solo il ministro Di Maio”. Eravamo stati facili profeti. Perché nel caos armato che regna nello Stato fallito di Libia, il solo ipotizzare elezioni libere, democratiche, stabilizzatrici più che un azzardo è una follia. Pura, colpevole follia.

Assalto al palazzo

L’ultima conferma è drammatica. Le milizie conosciute come Brigata Al-Samoud hanno circondato la sede del governo a Tripoli e l’ufficio del primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah a Tripoli. Lo riportano Sky News Arabia e alcuni siti di informazione libici. Il leader del gruppo armato ha annunciato che “in Libia non ci saranno elezioni presidenziali e chiuderemo tutte le istituzioni statali”. Le elezioni erano previste il 24 dicembre.Il presidente Mohammed al Menfi, che ha chiesto l’intervento delle forze di sicurezza, e i membri del Consiglio presidenziale sono stati trasferiti in un luogo sicuro, dopo aver ricevuto informazioni sull’intenzione delle milizie armate di assaltare le loro case. Sembra che la tensione sia legata alla decisione del Consiglio di presidenza, in qualità di Comandante supremo delle Forze armate, di sollevare dal suo incarico il comandante del distretto militare di Tripoli, Abdel Basset Marwan, e di nominare al suo posto il maggiore generale Abdel Qader Mansour. Secondo i media, inoltre, parti della capitale libica sono senza elettricità. Salah Badi, leader della milizia, figura nella lista nera del Consiglio di sicurezza dell’Onu dal novembre 2018. Oggi, riferisce al Arabiya, ha lanciato un duro attacco contro l’inviata delle Nazioni Unite, Stephanie Williams, che si è recata a Misurata per incontrare le autorità locali ma anche i leader militari e di gruppi armati in vista delle elezioni. Badi ha affermato che Williams “ha un ruolo criminale in Libia” e ha criticato le norme elettorali. Le elezioni, che dovrebbero traghettare la Libia fuori dal caos a dieci anni dalla caduta di Muammar Gheddafi, erano già appese a un filo dopo che sabato scorso a due settimane dal voto l’Alta Commissione elettorale libica (Hnec) aveva annunciato il rinvio sine die della pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali spiegando di dover ancora “adottare una serie di misure”, ma bloccando di fatto anche la già breve campagna elettorale .Sembra dunque sempre più improbabile che alla vigilia di Natale si svolga la sfida fra il generale Khalifa Haftar, il figlio del colonnello Seif al Islam Gheddafi e lo stesso premier Dbeibah. Una corsa potenzialmente allargata al presidente del parlamento di Tobruk Aqila Saleh, all’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha e al già vicepremier Ahmed Maitig. Il voto potrebbe quindi slittare al 2022, e la Libia scivolare in nuove sabbie mobili.

L’imbroglio libico

Scrive Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera, uno dei pochi che la Libia l’ha conosciuta e raccontata dal campo: “Torna un Gheddafi al centro dell’imbroglio libico. Per molti aspetti le controversie che accompagnano la candidatura di Saif al Islam alle elezioni presidenziali ben rispecchiano le enormi difficoltà sul percorso del voto. Sulla carta, così come chiesto dall’Onu, la Libia andrà alle urne il 24 dicembre.La speranza del rappresentante Onu, il neo-dimissionario Jan Kubis, era si effettuassero nello stesso giorno due scrutini: uno per scegliere i 200 parlamentari e l’altro per designare il presidente. 

Tuttavia, dopo lunghe schermaglie, si è optato per il primo turno delle presidenziali subito (con 98 candidati, di cui 5 predominanti, sarà impossibile un vincente subito con più della metà dei suffragi) e dopo 52 giorni le parlamentari assieme al ballottaggio delle presidenziali. Ad oggi, tuttavia, è guerra aperta tra i candidati presidenti.  Con una mossa annunciata da tempo, il 49enne Saif, noto come il figlio più politico di Muammar Gheddafi, ha presentato la sua documentazione all’ufficio elettorale. Con lui stanno i fedelissimi del Colonnello linciato alle porte di Sirte dieci anni fa, assieme a tanti disillusi dal caos in cui è piombato il Paesee i nostalgici di un nuovo uomo forte. Ma subito la Commissione elettorale centrale di Tripoli, controllata dalle forze legate al fronte islamico, l’ha bocciato, mentre le milizie di Misurata ne chiedono l’arresto immediato. 

Come se non bastasse, una squadraccia legata all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha impedito con la forza ai rappresentanti di Saif di fare ricorso. La cosa non è strana: Haftar, la cui candidatura è stata invece accettata ma ora viene rifiutata dalle milizie di Misurata, vede nel rampollo di Gheddafi un concorrente che «pesca» nel suo stesso elettorato. Mosca, che una volta sosteneva Haftar, oggi sta con Saif e chiede il rinvio del voto. Il premier uscente Abdul Hamid Dbeibeh preme invece per essere confermato. La via resta in salita e il rinvio possibile”.

Così Cremonesi.

Dieci anni dopo quella sciagurata guerra voluta dalla Francia e subita dall’Italia, non si vuol prendere atto che la Libia del post-Gheddafi è uno Stato fallito, dove a farla da padroni, quelli veri, sono signori della guerra, trafficanti di esseri umani, banditi di vario genere e caratura, improbabili “tecnici” spacciati per leader politici, signor nessuno come era l’ormai dimenticato Fayez al-Sarraj. Il tutto in un Paese in cui operano, direttamente o per procura, attori esterni che ambiscono a mettere le mani sulla torta petrolifera libica. L’elenco è lunghissimo. Solo per citarne i più attivi: Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar. E un po’, ma nemmeno tanto, defilato, la Francia. La verità che si cerca di nascondere è che l’obiettivo praticato da molti di questi attori esterni è quello della spartizione territoriale della Libia, e delle sue ricchezze di gas e petrolio. 

Quella fabbrica di tortura chiamata Libia. 

Urne chiuse, lager aperti. Una fabbrica a pieno regime, in attività h24. Finanziata con denari europei. E italiani. Una fabbrica che gode dell’attiva protezione delle autorità libiche. 

Stupri da praticare ed esibire. Torture da infliggere al buio e sevizie da mostrare alla platea di prigionieri, perché le ferite aperte dei malcapitati siano da esempio per tutti e continuino ad alimentare il business degli abusi «sotto il controllo assoluto delle autorità». Lo scrive la missione d’inchiesta indipendente dell’Onu in Libia. 

Rimarca su Avvenire Nello Scavo: “Sono state trovate altre prove di crimini di guerra e crimini contro i diritti umani, specie nei confronti di migranti e detenuti: «Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra, mentre la violenza perpetrata nelle carceri e contro i migranti potrebbe equivalere a crimini contro l’umanità». 

Tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, «hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra» ha affermato Mohamed Auajjar, che guida la missione, il cui rapporto mette in evidenza crimini come omicidio, tortura, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e stupri e stupri di gruppo. Sembra il romanzo nero di un mafia-state in grado di ricattare colossi come l’Europa agitando lo spauracchio dei flussi migratori per ottenere in cambio ogni genere di concessione, a cominciare dall’assoluta impunità nelle violazioni dei diritti fondamentali.  “Le indagini – si legge nel report – hanno stabilito che il viaggio di un migrante verso l’Europa inizia normalmente con il pagamento di denaro a un trafficante e il successivo imbarco su un barcone. La guardia costiera libica (Lcg) procederebbe poi con un’intercettazione violenta o sconsiderata, che a volte provoca dei morti”. Ma è solo una parte in commedia. Ci sono segnalazioni che le Lcg confisca gli effetti personali dei migranti. Una volta sbarcati, i migranti vengono trasferiti in centri di detenzione o scompaiono, con segnalazioni di persone vendute ai trafficanti”. Desaparecidos per mano delle autorità. “Le interviste con i migranti precedentemente detenuti nei centri di detenzione del Dcim (il dipartimento contro immigrazione illegale di Tripoli, ndr) hanno stabilito che tutti i migranti – uomini e donne, ragazzi e ragazze – sono tenuti in condizioni difficili, alcuni dei quali muoiono. Alcuni bambini sono tenuti con gli adulti, il che li espone a un alto rischio di abusi”. In generale la tortura (come le scosse elettriche) e la violenza sessuale (tra cui lo stupro e la prostituzione forzata) sono prevalenti”. Nonostante le centinaia di milioni di euro piovuti sulle autorità libiche, Italia ed Europa non hanno mai chiesto ufficialmente di modificare la legislazione libica: “Sebbene la detenzione dei migranti sia prevista dalla legge nazionale libica – denuncia la missione degli ispettori Onu -, i migranti sono detenuti per periodi indefiniti senza la possibilità di far riesaminare la legalità della loro detenzione, e l’unico mezzo praticabile di fuga è il pagamento di grandi somme di denaro alle guardie o l’impegno in lavori forzati o favori sessuali all’interno o all’esterno del centro di detenzione a beneficio di privati”. Diverse vittime hanno descritto con precisione “lo stesso ciclo di violenza, in alcuni casi subito fino a 10 volte: pagare le guardie per assicurarsi il rilascio, il tentativo di attraversamento in mare, l’intercettazione da parte dei guardacoste, il successivo ritorno alla detenzione in condizioni dure e violente, il tutto sotto il controllo assoluto delle autorità”.

Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani. Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani.

La missione è stata istituita dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha adottato una risoluzione nel giugno 2020 che chiedeva l’istituzione di un organismo di inchiesta da inviare in Libia. Gli esperti hanno raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato oltre 150 persone e svolto indagini in Libia, Tunisia e Italia. L’organismo delle Nazioni Unite ha affermato di aver stilato un elenco confidenziale di sospetti, i cui dettagli non saranno rivelati fino a quando non saranno stati condivisi con appropriati meccanismi di responsabilità.

Investigare non è stato facile. «Sono stati riscontrati notevoli ritardi nell’ottenere i visti necessari, che hanno interferito con la pianificazione e ritardato l’arrivo della missione» si legge nel report. «Durante un incontro tenutosi a Tripoli nell’agosto 2021, il ministro degli Affari esteri ha assicurato alla missione che il rilascio dei visti sarebbe stato facilitato in futuro». Non subito. Tanto che «le speciali procedure di autorizzazione applicabili alle organizzazioni internazionali che lavorano in Libia hanno ostacolato le interazioni della missione con le autorità e hanno anche interferito con le visite in loco della missione». Non bastasse alcune richieste di ispezione «in particolare presso prigioni e centri di detenzione per migranti, sono rimaste senza risposta».

La missione ha circoscritto la portata delle indagini alle violazioni e agli abusi più gravi. «Migranti, richiedenti asilo, rifugiati e prigionieri, sono particolarmente a rischio di violenza sessuale. Al di là dell’ambiente di detenzione, ci sono indicazioni credibili che la violenza sessuale è anche usata da agenti statali o membri delle milizie come strumento di sottomissione o umiliazione», specie per mettere a tacere coloro che potrebbero ribellarsi. Libici compresi. Gli esperti hanno esaminato «diversi rapporti secondo cui attivisti per i diritti sono stati rapiti e successivamente sottoposti a violenza sessuale per dissuaderli dal partecipare alla vita pubblica». Per rallentare il lavoro della commissione indipendente, le autorità hanno adoperato tutte le possibili pratiche burocratiche. Obiettivo: «ostacolare le interazioni della missione», con gli esponenti del governo di Tripoli che «hanno anche interferito con le visite in loco della missione». Nonostante questo «le prove raccolte hanno indicato che la violenza sessuale assume diverse forme». Gli investigatori non hanno avuto a che fare solo con la depravazione dei carcerieri, ma hanno ottenuto la conferma che l’istituzionalizzazione della tortura ha lo scopo di umiliare, assoggettare e anche mostrare a tutti i prigionieri cosa potrebbe accadergli se protesteranno: «Oltre allo stupro – si legge ancora –, le donne o gli uomini possono essere costretti a spogliarsi nudi, a compiere atti sessuali con altri o ad essere testimoni di uno stupro da parte di altri»…”.

Così Scavo.

La “profezia” Angelo Del Boca 

Avevo intervistato il più grande storico del colonialismo italiano in Nord Africa, recentemente scomparso,  pochi mesi dopo l’inizio della guerra. “E’ una storia  – affermò Del Boca, autore di una delle più documentate biografie su rais libico (Gheddafi. Una sfida dal deserto (Laterza)  – che si può guardare da molti lati, e comunque la si analizzi resta sempre una brutta storia. Perché è vero che c’è stata una risoluzione, la 1973, del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizzava l’attacco alla Libia di Gheddafi, ma poi questa facoltà è stata sicuramente snaturata, nel senso che ciò che si sta cercando di fare in tutti i modi è assassinare Gheddafi. Ormai nessuno tace su questa ipotesi. Gli stessi rappresentanti della Nato ammettono che se il Colonnello viene colpito e fatto fuori è ancora meglio…E’ quindi una guerra ‘strana’”. Strana, spiegò Del Boca, “perché in realtà la Francia ha un suo obiettivo, l’Italia un altro e gli Stati Uniti un altro ancora. Ma in definitiva nessuno sa come uscirne. E’ una guerra nata sotto una cattiva informazione e continua ad essere corredata da storie inverosimili, da veri falsi”. La realtà di questi dieci anni gli ha dato ragione. 

E oggi il cerchio si chiude. Si torna alla casella di partenza. Da Gheddafi a Gheddafi. Bel risultato davvero per gli sciagurati protagonisti della sporca guerra del 2011. 

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