G20 il giorno dopo: il piatto degli impegni piange, nonostante super chef Draghi.
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G20 il giorno dopo: il piatto degli impegni piange, nonostante super chef Draghi.

Spenti i riflettori, finita la gran cassa mediatica, liberata Roma da quattro giorni di assedio, celebrati i fasti mediatici è tempo di un bilancio serio, ragionato, sui risultati del summit

Il G20
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Novembre 2021 - 11.27


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Spenti i riflettori, finita la gran cassa mediatica, liberata Roma da quattro giorni di assedio, celebrati i fasti mediatici giustamente tributati al padrone di casa, Mario Draghi, è tempo di un bilancio serio, ragionato, sui risultati del G20 dei capi di Stato e di Governo conclusosi ieri sera con la dichiarazione d’intenti finale.

Bilancio in perdita

Il piatto degli impegni piange. E molto. Nessuna azione efficace o coraggiosa da parte dei leader del G20 in un momento decisivo per la ripresa dalla crisi economica e sanitaria innescata dalla pandemia. 

Un G20 privo di ambizione e incapace di offrire un piano d’azione concreto –  annoa Jörn Kalinski, Senior Advisor di Oxfam – Questo vertice avrebbe dovuto dare risposte efficaci, innovative ed eque a un mondo che faticosamente si avvia verso la fase post-pandemica, ma i leader non sono stati all’altezza delle sfide epocali in corso”.

Accesso ai vaccini: la beneficenza ai Paesi poveri non ci aiuterà a vincere la pandemia

Nonostante il G20 si sia impegnato a contribuire al target di vaccinare almeno il 40% della popolazione in tutti i paesi entro la fine del 2021 e il 70% entro la metà del 2022, non ha chiarito quali siano il piano, le tempistiche, le strategie e gli strumenti per aumentare la disponibilità di vaccini nei paesi in via di sviluppo, rimuovendo gli attuali vincoli di approvvigionamento e finanziamento. Secondo l’OMS, 82 paesi rischiano di non raggiungere tale obiettivo. 

Sarà fallimento sicuro se l’approccio rimane quello delle donazioni di dosi (urgenti ma insufficienti: al momento è stato consegnato solo il 14% del totale impegnato), delle licenze volontarie, del supporto generico al trasferimento tecnologico, di una risposta orientata unicamente al profitto.

“Un’assoluta e fatale assenza di leadership. Il G20 dice di voler contribuire a raggiungere l’obiettivo di vaccinazione del 70%, ma ancora una volta non produce alcun piano di attuazione. In questa fase della pandemia, aver chiesto ai ministri della salute di “esplorare” quali siano le strade per accelerare l’accesso ai vaccini è un insulto per i milioni di persone che hanno perso i propri cari e per gli operatori sanitari che hanno salvato vite in prima linea senza alcuna protezione – aggiunge Sara Albiani, policy advisor su salute globale di Oxfam Italia- Le promesse, non mantenute, di donare dosi non porranno fine a questa pandemia, né le patetiche speranze che le industrie farmaceutiche a un certo punto decideranno volontariamente di fare la cosa giusta e anteporre la salute pubblica al profitto. È scandaloso che Germania, Regno Unito e Unione europea abbiano usato la loro influenza per mettere a tacere la maggioranza dei membri del G20 che sostengono la sospensione dei monopoli farmaceutici in modo che la produzione di vaccini possa essere ridistribuita e ampliata in tutto il mondo. Ed è ancora una volta deludente che l’Italia non abbia svolto un ruolo nel portare il tema della proprietà intellettuale sul tavolo della discussione. I diritti e le tecnologie su questi strumenti salvavita devono essere condivisi adesso: il tempo sta per scadere.”

Sul clima timidi passi in avanti ma ancora troppo limitati rispetto alla portata dell’azione necessaria

In quanto rappresentativo delle maggiori economie mondiali nonché principale responsabile delle emissioni di gas serra, il G20 avrebbe dovuto dare importanti segnali sulla lotta al cambiamento climatico in vista della COP26, i cui negoziati prendono avvio oggi a Glasgow: ma nulla di dirompente è stato raggiunto. 

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“Confermare l’obiettivo di 1,5°C dell’Accordo di Parigi era un requisito minimo. Se questo impegno non è accompagnato da una revisione dei piani nazionali che permetta di riallinearsi su questo obiettivo, ben poco potrà cambiare. Il pianeta è in fiamme e siamo fuori tempo massimo. È fondamentale che la COP26 richieda nuovamente ora, e non tra cinque anni, la revisione dei piani nazionali per centrare l’obiettivo”, continua Kalinski.

Le dichiarazioni sulla necessità di finanziamenti per accompagnare i paesi più vulnerabili nell’adattamento al cambiamento climatico hanno poca valenza se non supportate da scadenze e obiettivi da raggiungere. Altrimenti i Paesi poveri continueranno a non avere risorse necessarie per proteggersi dai disastri causati da eventi climatici estremi. Questo Summit nel suo complesso ha perso l’opportunità di rinvigorire l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno che si sarebbe dovuto raggiungere già dallo scorso anno.  Accogliamo positivamente l’impegno dell’Italia ad aumentare lo stanziamento di risorse per la finanza climatica nei prossimi cinque anni, purché si tratti di risorse realmente aggiuntive e che non vadano a discapito di altri finanziamenti a sostegno dei paesi più vulnerabili. Degno di nota l’impegno a interrompere entro la fine di quest’anno il finanziamento di nuove centrali a carbone all’estero. Ma è deludente che un analogo impegno non sia stato assunto anche sul versante interno e che non sia stato esteso anche all’eliminazione graduale di altri combustibili fossili. Ciò significa che le dannose centrali a carbone possono essere costruite per altri dieci anni, il che è incompatibile con l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C.

Nessuna azione ambiziosa per la riduzione del debito dei paesi in via di sviluppo

Sono state disattese le speranze che i leader del G20 cogliessero l’opportunità di favorire una ripresa economica più equa e intraprendessero azioni coraggiose per la riduzione del debito dei paesi in via sviluppo. L’aumento del debito in molti paesi costituisce una minaccia considerevole per la lotta contro il Covid-19, in quanto sottrae risorse essenziali agli stati, che dovrebbero essere destinate alla salute pubblica e alla ripresa economica di paesi allo stremo.”Non è accettabile che i paesi ricchi e grandi player privati continuino a sottrarre risorse essenziali alla sopravvivenza delle persone più povere e vulnerabili del mondo, per di più durante una catastrofe globale senza precedenti nella storia recente – rimarca  Misha Maslennikovpolicy advisor di Oxfam Italia sui dossier di giustizia fiscale– È necessario lasciare al passato approcci ad hoc, pregiudizievoli dei debitori, e avviare risolutamente il processo di creazione di un’organizzazione internazionale autonoma incaricata di supervisionare la ristrutturazione del debito,assicurando ai paesi poveri l’opportunità di usare le proprie limitate risorse non al servizio del debito ma per contrastare la pandemia e garantire ai propri cittadini un futuro dignitoso”.

Diritti speciali di prelievo: servono impegni concreti da parte degli stati per la riallocazione

Oxfam reitera l’apprezzamento per il supporto del G20 all’emissione da parte dell’FMI di nuovi diritti speciali di prelievo (DSP) per far fronte ai pressanti problemi di liquidità associati alla pandemia e alla ripresa post-crisi. Riconoscendo il divario tra le quote di DSP ricevute dalle economie avanzate e dai Paesi a minor tasso di sviluppo, la manifesta ambizione del G20 di riallocare DSP per 100 miliardi di dollari alle economie più vulnerabili è altrettanto apprezzabile ma l’importo deve essere considerato come un target minimo.  

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“Ad agosto i paesi ricchi hanno ricevuto diritti speciali di prelievo per 400 miliardi di dollari. Abbiamo bisogno di impegni individuali generosi per riallocarne almeno 100 ai paesi in via di sviluppo. Ad oggi gli impegni assunti valgono 45 miliardi di dollari, meno della metà delle ambizioni dichiarate. È inoltre fondamentale che le risorse riallocate siano messe a disposizione dei paesi beneficiari senza interessi e condizionalità, e siano addizionali agli impegni esistenti in materia di aiuto pubblico allo sviluppo e finanza climatica”, aggiunge Maslennikov.

Nuove regole fiscali per multinazionali: tra ambizioni sbiadite e equità non pervenuta

I leader del G20 hanno anche apposto il proprio sigillo sulle nuove regole di tassazione delle multinazionali. Per Oxfam l’accordo OCSE-G20 mostra un livello di ambizione modesto e la sua ridotta portata redistributiva evidenzia come gli attori negoziali più potenti abbiano attribuito un’importanza limitata ai temi dell’equità. Sebbene l’accordo mostri come sia possibile e realistico tassare i profitti globali delle corporation, la prevista ridistribuzione degli utili è estremamente limitata e riguarderà meno di un centinaio di imprese. L’extra-gettito annuale per 52 dei paesi più poveri al mondo potrebbe attestarsi mediamente ad appena 10 milioni di euro. Vere e proprie briciole dopo la rimozione obbligatoria delle web tax nazionali. L’aliquota della tassazione minima fissata al 15% da applicare su una base imponibile ridotta da generose deduzioni, è poco audace e rischia di trasformare l’attuale corsa globale al ribasso in materia di fisco societario nella corsa al nuovo minimo.

In conclusione: “I leader che si sono riuniti al G20 di Roma avrebbero potuto intraprendere azioni urgenti per aumentare drasticamente la produzione dei vaccini Covid, garantendone l’accesso a miliardi di persone in tutto il mondo, promuovere un’equa ripresa economica, ridurre le emissioni di gas serra e aiutare i paesi più poveri ad adattarsi all’impatto sempre più devastante del cambiamento climatico. Ma questo vertice, ancora una volta, non ha centrato molti degli obiettivi chiave per il futuro del pianeta”, conclude Kalins.

La versione di Mario

La conferenza stampa finale di Mario Draghi, in qualità di presidente di turno del G20 va letta e riletta, soffermandosi sugli aggettivi, cogliendone le sfumature lessicali. “Il G20 è stato il momento finale di un anno di lavoro. È stato riformato il sistema di tasse internazionale. Questo risultato era stato perseguiti per decenni e non ci si era riusciti. Abbiamo superato il protezionismo sui prodotti sanitari, abbiamo lavorato per assicurarci una preparazione ai prossimi inevitabili danni sanitari. Abbiamo gettato le basi per una ripresa più equa e trovato nuovi modi per aiutare i Paesi più deboli”. E questa si può definire una corretta fotografia dell’avvenuto. “Rispetto alla situazione precedente l’impegno è un pochino più verso il 2050. Nel linguaggio del comunicato non è un impegno preciso nel 2050 ma prima era un impegno assolutamente assente, si parlava addirittura di fine secolo. C’è stato uno spostamento, con un linguaggio più ricco di speranza anche da parte di paesi che fino a oggi avevano detto no, io ne riparlo alla fine del secolo”. E qui sta invece il senso di una difficoltà insormontata. Perché la salvezza del pianeta è questione di scelte nette, radicali, pienamente condivise dal consesso internazionale.  Certo, come recita il documento finale, tutti i Paesi membri hanno assunto, sulla carta, responsabilità comuni ma “differenziate”, e quest’ultima è una puntualizzazione cruciale. C’è poi, non meno dirimente, la questione di tempi. Lo ha detto il premier Mario Draghi commentando le posizioni di Cina e Russia sull’obiettivo di emissioni zero. “Queste cose cominciano con gli aggiustamenti nei comunicati stampa poi diventano azioni concrete. C’è da essere abbastanza soddisfatti, secondo me gradualmente ci si arriverà”, ha concluso. 

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Ora occhi su Glasgow

“L’umanità ha esaurito il tempo sui cambiamenti climatici. Manca un minuto all’ora X e dobbiamo agire ora”. Così il premier britannico Boris Johnson nel discorso che tiene oggi alla cerimonia di apertura della Cop26 a Glasgow, in Scozia, secondo le anticipazioni diffuse da Downing Street e riportate dalla stampa locale. “Se non prendiamo sul serio il cambiamento climatico oggi, domani sarà troppo tardi per i nostri figli”, sottolinea Johnson che spingerà gli altri leader mondiali ad adottare misure concrete per eliminare gradualmente l’uso del carbone, accelerare la transizione ai veicoli elettrici e fermare la deforestazione. 

I leader mondiali avranno una responsabilità colossale. Il mondo non sta facendo abbastanza e questo summit deciderà le sorti del pianeta”. A dirlo, in un’intervista a Repubblica, è la premier scozzese Nicola Sturgeon, che ospita la Cop26 a Glasgow. “Il motto della Cop è di ‘tener vivo il sogno di 1,5 gradi’ e preparare il terreno affinché questo obiettivo possa essere raggiunto nei prossimi anni ed evitare così la catastrofe”. Un obiettivo comune che ha fatto passare in secondo piano anche rivalità antichissime: “Nonostante molte nostre divergenze, con Londra c’è stata grande collaborazione negli ultimi mesi e spero che il governo britannico raggiunga un ottimo risultato con la Cop26. Inoltre, vogliamo essere un esempio: la Scozia si è impegnata, in maniera vincolante, a raggiungere emissioni zero entro il 2045 (cinque anni prima di Regno Unito e Ue), e ridurle del 75% entro il 2030”. “Bisogna avere – aggiunge poi Sturgeon – il giusto approccio alla transizione verde. Consumare di meno, sviluppare alternative energetiche, e allo stesso tempo riqualificare le decine di migliaia di persone che lavorano nei settori petroliferi e del gas. Il nostro partito indipendentista è stato eletto in passato anche per le promesse sullo sfruttamento del petrolio. Non possiamo lasciare indietro questi lavoratori. Quindi, sì, bisogna essere veloci nella transizione, e al momento quasi il 100% della nostra elettricità domestica viene da energia pulita. Abbiamo un enorme potenziale in quella eolica. Ma questa rivoluzione va fatta nella maniera giusta”. 

Parole sante. Da sottoscrivere una per una . Se non fosse che per fare questa rivoluzione “nella maniera giusta” ci sarebbe bisogno del consenso e dell’attivo impegno dei Grandi inquinatori, a cominciare dalla Cina, per proseguire con la Russia e il Qatar, per non parlare del Distruttore del più grande polmone verde al mondo, la Foresta amazzonica: il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Se poi si aggiunge l’enorme potere pervasivo, e corruttivo, delle grandi multinazionali del carbone e affini, il quadro è completo. Certo, la speranza è l’ultima morire. Ma per pensare che a Glasgow si possa compiere un miracolo ambientale, di fede ce ne vuole proprio tanta. 

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