Afghanistan, il pessimismo della ragione e il (falso) ottimismo della volontà
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Afghanistan, il pessimismo della ragione e il (falso) ottimismo della volontà

Il motto gramsciano ben si addice alle conclusioni del G20 straordinario sull’Afghanistan fortemente voluto da Mario Draghi

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13 Ottobre 2021 - 16.29


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Afghanistan, il pessimismo dell’intelligenza, l’ottimismo della volontà. Il motto gramsciano ben si addice alle conclusioni del G20 straordinario sull’Afghanistan.

L’ottimismo della volontà

Il G20 straordinario sulla crisi afghana “è stato complessivamente molto soddisfacente e fruttuoso”. “Lo considero un successo. E’ stata la prima occasione in cui i leader hanno dato una risposta multilaterale alla crisi afghana”. “Il multilateralismo sta tornando come schema di lavoro dei paesi più importanti del mondo”. 

Così Mario Draghi, presidente del Consiglio, durante la conferenza stampa al termine della riunione straordinaria, ieri,  dei leader del G20 sull’Afghanistan. “C’è una consapevolezza diffusa di quanto l’emergenza umanitaria che si sta sviluppando in Afghanistan sia gravissima. I rappresentanti di istituzioni e Nazioni Unite hanno parlato di catastrofe umanitaria, e hanno notato come, con la vicinanza dell’inverno, la situazione stia precipitando. Ho cercato di mettere questo in massima enfasi, come argomento sul quale si poteva trovare il massimo accordo. E di fatto c’è stato”. “Il mandato alle Nazioni Unite è riuscire ad avere una road map per procedere con gli aiuti”, spiega Draghi in conferenza stampa. “Le nazioni Unite saranno il grande regista della risposta alla crisi umanitaria”, aggiunge il premier. C’è dovere di intervenire “C’è piena consapevolezza di questa emergenza e delle responsabilità enormi che ha il G20 nei confronti degli afghani e dell’Afghanistan, dove siamo rimasti per 20 anni. Noi siamo responsabili ed è nostro dovere intervenire”.  

E ancora: “lo considero un successo, è stata la prima occasione in cui i leader hanno dato una risposta multilaterale alla crisi afghana, una delle prime affermazioni di multilateralismo che c’è stata quest’anno. Il multilateralismo sta ritornando, con fatica, ma sta tornando come schema di lavoro dei Paesi più importanti”. “Occorre impedire il collasso economico dell’Afghanistan. Questo significa impedire che il sistema dei pagamenti del paese crolli, per cui non è più possibile effettuare pagamenti. Allora diventa molto difficile provvedere con l’assistenza umanitaria. Significa cercare di salvare quel poco del sistema bancario che è rimasto”, afferma il premier italiano.

Dalla Commissione Ue un miliardo per aiuti 

“La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato un impegno di un miliardo di euro per finanziare l’assistenza umanitaria all’Afghanistan” nel corso della riunione straordinaria dei leader del G20 sull’Afghanistan, organizzata nell’ambito della presidenza italiana del forum dei 20 grandi. Il sostegno europeo, stando a quanto evidenziato da Draghi, dovrebbe arrivare nel contesto di un coordinamento a guida Onu, il cui mandato e i cui contorni sono stati delineati durante la riunione. Sempre in quest’ottica, ha detto Draghi, il presidente americano Joe Biden ha annunciato un nuovo stanziamento da 300 milioni di dollari. 

Assenze pesanti

“Che io sappia”, l’assenza di Vladimir Putin e Xi Jinping “non era dovuta” a “motivi particolari di politica estera”, spiega in conferenza stampa il presidente del Consiglio. La loro assenza “è stata comunicata in anticipo” e “il coinvolgimento c’è stato moltissimo prima della riunione, che viene dopo l’Assemblea generale delle Nazioni unite e il meeting dei ministri degli esteri”. “E’ essenziale che Russia e Cina partecipino al G20, tutti sono consapevoli che senza la loro partecipazione ma anche dell’India gli impegni presi non sono realistici… Tutti sono consapevoli che i problemi travalicano i confini nazionali e possono essere affrontati solo insieme”.  

Il pessimismo della ragione

Annota Pierre Haski, direttore di France Inter, nel suo scritto per Internazionale: “Come prevedibile, il mondo sta constatando che i taliban non hanno mantenuto gli impegni presi in merito ai diritti umani e soprattutto alla condizione delle donne. Fino a poco tempo fa tre milioni di ragazze frequentavano la scuola, e oggi sembra incredibile che siano private di questa opportunità. Le prime misure adottate dai nuovi padroni del paese puntano verso l’invisibilità delle afgane, anche se questo processo si svolge in modo meno brutale rispetto alla prima volta che gli studenti coranici arrivarono al potere, nel settembre 1996.  Per quanto riguarda il terrorismo, gli occidentali ricordano che diversi esponenti del governo taliban sono sulla lista delle sanzioni dell’Onu per i loro legami con Al Qaeda. La faccenda è complicata dal fatto che gli stessi taliban sono il bersaglio di una campagna terrorista condotta dal ramo afgano del gruppo Stato islamico. Ma questo non li esonera dall’impegno a non offrire rifugio alle organizzazioni terroristiche.  In ogni caso sono già avvenuti alcuni scambi con i taliban: statunitensi ed europei hanno infatti avuto quelli che hanno definito “contatti operativi” con il regime, in Qatar, paese che funge da intermediario. Gli occidentali ribadiscono che non si tratta di un riconoscimento ufficiale né di un avvio della normalizzazione. Il 12 ottobre, a Parigi, il governo francese ha sottolineato che questo riconoscimento internazionale a cui aspirano i taliban e lo sblocco di fondi attualmente congelati restano le uniche carte a disposizione del mondo esterno per influenzare il regime di Kabul, dunque non saranno utilizzate alla leggera. 

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In ogni caso  – conclude Haski – è chiaro che è il momento di gestire futuri fallimenti, non di porre le proprie condizioni in un rapporto di forze favorevole. I taliban si mostrano intransigenti malgrado la situazione catastrofica e rifiutano qualsiasi vincolo. Questi integralisti sono arrivati al potere per imporre il loro programma, e niente glielo impedirà, nemmeno il crollo dell’economia”.

Catastrofe umanitaria

In Afghanistan sono 14 milioni le persone che affrontano l’insicurezza alimentare e oltre 3,2 milioni di bambini sotto i cinque anni rischiano di soffrire di malnutrizione acuta entro la fine dell’anno. “Da metà agosto – quando i talebani hanno preso il potere – abbiamo visto questa situazione peggiorare velocemente. Gli aiuti umanitari devono arrivare entro la metà di novembre, altrimenti sarà impossibile fornire assistenza nelle zone in cui è già arrivato l’inverno”. È l’allarme lanciato da Mary-Ellen McGroarty direttrice in Afghanistan del World Food Programme (Wfp), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, durante un briefing online da Kabul. “Lavoro con il Wfp da molti anni ma la portata della crisi cui sto assistendo non l’ho mai vista prima”. 

Secondo la direttrice in Afghanistan del Wfp, “la crisi economica sta avendo eco in ogni aspetto della vita per gli afghani quindi abbiamo bisogno anche di soluzioni macroeconomiche che permettano ai servizi di base di continuare a funzionare, l’economia è il motore del Paese per proteggere la popolazione”.  Da agosto milioni di persone hanno perso il lavoro e non riescono a trovarne uno nuovo, le attività commerciali sono fallite, le banche restano chiuse per giorni e i prezzi del cibo stanno aumentando. “Le persone stanno lottando per riuscire a nutrirsi”, ha raccontato McGroarty, per questo motivo l’agenzia delle Nazioni Unite ha esortato i leader mondiali e le organizzazioni internazionali “a tendere una mano di speranza, di assistenza al popolo afghano”.

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I più indifesi tra gli indifesi

Da un recente rapporto dell’Unicef, L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia: “ “Oggi, circa 10 milioni di bambini in Afghanistan hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere. Si stima che un milione di bambini soffriranno di malnutrizione acuta grave quest’anno e, senza cure, potrebbero morire. Un numero stimato di 4,2 milioni di bambini non vanno a scuola, fra cui oltre 2,2 milioni di bambine. Da gennaio, le Nazioni Unite hanno registrato oltre 2.000 violazioni gravi dei diritti dei bambini. Circa 435.000 bambini e donne sono sfollati interni.  Questa è la dura realtà che i bambini afghani affrontano, e rimane tale indipendentemente dagli sviluppi politici in corso e dai cambiamenti governativi.   I bisogni umanitari dei bambini e delle donne, inoltre, aumenteranno nei prossimi mesi a causa di una forte siccità e della conseguente carenza d’acqua, delle devastanti conseguenze della pandemia da Covid-19 e l’inizio dell’inverno. 

La grave crisi alimentare che coinvolge i bambini afgani in un paese colpito dalla siccità rischia di peggiorare gravemente a causa della sospensione degli aiuti, mettendo a rischio migliaia di vite”. È l’allarme lanciato da Save the Children ricordando che l’Afghanistan, già prima dell’avanzata dei talebani, era il secondo paese a livello globale per numero di persone colpite dall’emergenza fame e malnutrizione.  Secondo le stime, entro quest’anno la metà dei bambini al di sotto dei 5 anni nel paese è a rischio di malnutrizione acuta e avrà bisogno di trattamenti specifici per poter sopravvivere. A giugno – ricorda ancora l’organizzazione – è stato dichiarato ufficialmente lo stato di siccità in l’Afghanistan, per la seconda volta in quattro anni in un paese già sprofondato nella fame e nella povertà. Un rapporto di giugno del Wfp (un) segnalava 14 milioni di persone in Afghanistan – oltre un terzo della popolazione – colpite dalla fame e una carenza di fondi per fornire assistenza adeguata. Tra loro si contavano circa due milioni di bambini dipendenti dagli aiuti alimentari.  Il Covid-19, le restrizioni della circolazione, l’impossibilità di lavorare e l’aumento dei prezzi del cibo hanno fatto il resto portando la crisi alimentare nelle aree urbane a livelli senza precedenti. Dall’inizio di giugno più di 80.000 bambini in Afghanistan – secondo i dati Onu – sono fuggiti dalle loro case a causa dell’escalation delle violenze. “Abbiamo un dovere nei confronti del popolo afghano e del lavoro umanitario che deve continuare. I bambini hanno un disperato bisogno di accesso ai servizi essenziali, compreso il supporto nutrizionale per poter sopravvivere.” Ad affermarlo è  Hassan Noor, direttore regionale di Save the Children in Asia aggiungendo: “la comunità internazionale ha l’obbligo assoluto di garantire la loro protezione, i loro diritti e la loro sopravvivenza”.

Afghanistan oggi

A darne conto sono due tra i più grandi inviati di guerra italiani: Lorenzo Cremonesi e Guido Rampoldi, due che l’Afghanistan l’hanno raccontato dal campo e non da un comodo salotto mediatico.

Scrive Cremonesi su Il Corriere della Sera: “Un Paese al buio, in attesa, incerto sul futuro, in pieno collasso economico, ancora traumatizzato dal recente passato. Resta forte l’ultima immagine lasciando Kabul meno di dieci giorni fa, con l’aeroporto deserto.

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i talebani vigili ai posti di blocco, le lunghe code di civili alle porte delle banche. E i tagli all’elettricità, con gli ambulanti che vendono candele presi d’assalto per fare fronte all’approssimarsi delle lunghe notti invernali. Scuro, incertezza e freddo da allora non hanno fatto altro che diventare più crudamente tangibili. A due mesi dall’irruzione delle colonne armate talebane nel centro di Kabul l’intero Afghanistan vive giorno dopo giorno una gravissima crisi  che per coloro che hanno più di trent’anni ricorda tragicamente quella seguita al collasso dell’esercito sovietico, il venir meno degli aiuti americani e l’imporsi della guerriglia tra bande rivali sino alla vittoria dei radicali guidati dal Mullah Omar….A pagare le conseguenze di uno scenario tanto incerto restano le donne e la società civile nel suo insieme. Nonostante le promesse, ancora oggi le ragazze possono frequentare solo le scuole elementari, superiori e università sono loro aperte solo a Mazar-i-Sharif. Ma anche qui la maggioranza non frequenta per paura. Lo stesso vale per il mondo del lavoro. Tranne poche eccezioni, le donne lavorano solo nelle strutture mediche. Al loro dramma, si aggiunge quello sulla censura dei media. Si vive di voci sulla rete, di sentito dire. I giornalisti hanno paura. Capire cosa succede sarà sempre più difficile”.

Scrive Guido Rampoldi: “Nel 1996 la più radicale tra le organizzazioni umanitarie internazionali, Oxfam, lasciò l’Afghanistan pur di non piegarsi alla fatwa sulle donne dell’emiro Omar, che obbligava le ong a mandare a casa tutto il personale femminile (e a sostituirlo di fatto, con gli spioni imposti dai Taliban). Sei anni dopo, gli Usa lanciarono l’attacco all’emirato benché l’Afghanistan fosse irrilevante nella geopolitica degli idrocarburi che premeva all’amministrazione Bush. Motivo reale: l’emiro aveva rifiutato di espellere (espellere, non consegnare) Osama bin Laden, ritenendolo innocente. Condannabile ubris imperiale? Forse. Ma se vi mettete nei panni di tante ragazze afghane, anche voi avreste concluso che l’Impero portava una speranza di libertà.

Nell’oscena viltà dell’epilogo, il fiasco occidentale è così traumatico da incitare a disinteressarci dell’Afghanistan e di quelle ragazze, ad accondiscendere alla ‘pace’ come la interpretano i Taliban e le dittature più feroci. Eppure, un residuo di dignità dovrebbe spingerci a cercare strumenti e strategie per interferire, nell’interesse nostro e dei diritti umani. ‘Ingerenza umanitaria’ non è esattamente una formula popolare, soprattutto in questo momento. Ma la ‘pace’ afghana mostrerà presto le sue linee di frattura, e allora forse comincerà a condensarsi un Afghanistan nuovo, diverso da quello delle caste guerriere (di qua pashtun, di là uzbeche, tagiche, hazara) che da 40 anni si contendono la carcassa del Paese, in un sinistro buskashi. Se l’Europa esiste, quell’Afghanistan futuribile non solo oggi va accolto se profugo, ma va anche aiutato, con ogni mezzo risultasse efficace, a liberare la patria”.

Ecco due esempi, magistrali, di cosa sia il pessimismo dell’intelligenza. Che non maschera la realtà piegandola ad un, spesso ipocrita, ottimismo della volontà. 

 

 

 

 

 

 

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